Tra il 1957 e il 1961, Robert Smithson (1938–1973) espose un corpus di opere che presentavano un’affinità stilistica con l’Espressionismo astratto, tendenza dominante in quegli anni a New York. Sebbene radicalmente diversi in termini formali dalla sua produzione successiva, questi lavori presentavano già motivi ricorrenti della sua pratica e instauravano un’interazione con il mezzo utilizzato mediante riferimenti diretti a una serie di lavori di Max Ernst e attraverso l’uso di strisce di carta dipinta. Tuttavia, dopo aver lavorato per diversi mesi a Roma, nel 1961 Smithson si ritirò dai circoli artistici per immergersi in un periodo di esplorazione che durò fino al 1964. Durante quell’intensa fase di ricerca, il suo lavoro prese direzioni del tutto nuove, in linea con la rottura artistica operata dalle avanguardie degli anni ’60. È a questo periodo cruciale che la galleria Marian Goodman di Parigi dedica a Smithson una mostra monografica, “Primordial Beginnings” – in concomitanza con “Hypothetical Islands”, un’altra mostra di Smithson, presso la sede londinese di Goodman. La mostra di Parigi include anche opere grafiche più tarde, come gli schizzi preparatori di Smithson per i suoi primi lavori di Land Art, tra cui 1,000 Tons of Asphalt (1969) e Partially Buried Woodshed (1970), e opere minimaliste come Surd Deposit (s.d.).
La sperimentazione visiva di questo corpus nella sua ricerca si configura più come un tuffo geologico e stratificato, che genealogico. Fa eco alla ricorrenza dei motivi che la percorrono, e ai paradigmi che sottendono i suoi scritti, restituendo uno spaccato illuminante della sua opera. I concetti smithsoniani quali sedimentazione ed entropia, che trovano qui un’incarnazione visiva, si ricollegano a quelli dell’Antropocene, evidenziando così la radicale attualità dell’artista.
Un insieme di tre opere su carta senza titolo del 1961 genera una descrizione geologica fantasmagorica, un motivo centrale in Smithson. L’intensità delle tinte nere piatte e l’utilizzo di un processo bicolore rosa e nero richiamano alla mente Matisse. L’uso che ne fa Smithson però, è legato alle nozioni di vuoto e abisso in un mondo protostorico e di fantascienza, nonché alla nozione di caduta che ritroviamo nella Divina Commedia. Una di queste opere pittoriche compie un rovesciamento del motivo radice, che viene poi riutilizzato nella serie Valley of Suicides (1962), che richiama Dante, e nell’opera tridimensionale Upside Down Tree (1969). Questi riferimenti ci aiutano a comprendere opere smithsoniane come Spiral Jetty (1970) e A Nonsite (Franklin, New Jersey) (1968), che si basano sulla nozione di stratificazione e sulla duplice dimensione di ciò che è visibile, o inventariato, e ciò che è invisibile o sotterraneo. Il processo a due colori sottolinea l’ubiquità di tali concetti nelle sue opere, in particolare in Spiral Jetty.
Questi motivi visti nell’insieme sono alla base dei bozzetti esposti in mostra, come Evolution of Anphibians (1962) e lo studio preliminare Labyrinthodtia (1962); o opere grafiche come Untitled (1962), che sovrappone la figura dell’Angelo a quella del dinosauro ed elementi biblici; e Dull Earth (1962), che utilizza il motivo geologico. Questo è anche il caso dei collage: Algae, algae (1961-1963) sovrappone la reiterazione all’infinito della parola algae a una superficie dalla tonalità verde che raffigura gli abissi più profondi del mare, in cui navigano una serie di vignette di immagini in bianco e nero di tartarughe ritagliate dalle riviste, che sembrano muoversi in un oceano di lettere. Untitled (1963) rappresenta un insieme di vignette di rettili circondati da sfumature rosa che circoscrivono una donna nuda posta centralmente – che evoca la pin-up dell’opera tridimensionale The Machine Taking a Wife (1964). Il motivo della macchina lo ritroviamo in Paris in the Spring (1963) – raffigurante un angelo con indosso occhiali da sole a forma di cuore, un dinosauro, la Torre Eiffel e una vignetta che illustra diverse strumentazioni – e prova la convinzione di Smithson per cui “Gli strumenti tecnologici attuali altamente raffinati non sono poi così diversi da quelli dell’uomo delle caverne”. Questi riferimenti all’opera di Duchamp confermerebbero il pensiero secondo cui la cosiddetta prassi “popolare” di Smithson riecheggia di fatto quella delle avanguardie dagli anni ’20 agli anni ’40.
(Traduzione dall’Inglese di Eleonora Milani)