Loredana Barillaro: Nella serie fotografica dal titolo“Sassi” è presente una forte emotività. Che relazione esiste fra il tuo stato mentale e l’ambientazione scarna di molte foto in cui tu stessa ti ritrai?
Sabina Grasso: È un riflesso. Il luogo induce a quel tipo di emotività. È una rappresentazione, sì, ma è anche un stato emotivo reale. Anche per questo gli spazi si ripetono, come le emozioni.
LB: L’atmosfera sembra essere la stessa, un luogo intimo ma al contempo freddo, forse a voler sottolineare la solitudine, una certa intimità del dolore?
SG: La serie “Sassi” è nata per la mia necessità di visualizzare uno stato emotivo. Quando si vede da fuori il proprio dolore spesso lo si riesce a circoscrivere e a limitare. Una volta che si è avuta coscienza, sparisce. Dopo l’esplosione rimane l’ombra sul muro, impressa come fosse l’ultimo ricordo della persona.
LB: Qual è l’elemento da cui parti per costruire un ambiente verosimile, che sia prova di una certa atmosfera opprimente?
SG: Il mio lavoro parte da situazioni reali, poi tradotte in immagini. Se l’ambiente è opprimente lo è per sua natura, sia che si tratti di estrapolazioni di dati reali sia ricostruiti. Io faccio poco per aumentare il pathos: scelgo come inquadrare lo spazio e mi ci metto in mezzo. Le cose accadono nella relazione che si instaura tra uno stato emotivo e il suo palcoscenico.
LB: Sembra che tu voglia estrarre un carattere per volta dai tuoi personaggi; li metti a nudo per concentrarti solo su un aspetto, fai una sorta di selezione emotiva.
SG: Si tratta di una riduzione volontaria di un unico aspetto: individuare e mettere in evidenza un gesto, un’emozione, un dialogo. È un isolamento irreale, che nel flusso convulso della vita è difficile vedere. Ma mi interessa quello spazio che sta tra rappresentazione e vita. È un modo di fare ordine e dare importanza a certe cose che altrimenti sfuggirebbero. Infilarsi nelle cose e uscirne con il pugno pieno. Per esempio, nella performance della serie “Spin off” l’azione compiuta da un personaggio di un film viene estrapolata, isolata, ricontestualizzata e reinterpretata nella stretta relazione che corre tra il personaggio del film stesso e la necessaria individualità del performer.
LB: L’attenzione dei tuoi personaggi è rivolta al loro interno, ciò che li circonda dunque non è altro che un puro stato mentale?
SG: Sì, l’esterno riflette l’interno. Lo spazio va inteso come un set in cui inserire e far risaltare il personaggio, ma è anche come se fosse generato dal personaggio stesso. Mi piace tenermi su questo equilibrio: come il fuoco di una videocamera impostato su automatico che con poca luce continua a spostarsi tra primo piano e sfondo, tra il personaggio e l’ambiente in cui è immerso.