Sergio Breviario e Guido Zazzu si incontrano nell’abitazione di quest’ultimo a Genova. Si parla di un po’ di tutto, anche della casa dove si trovano, degli arredi e degli oggetti.
Capitolo 1: BUDDHA E SHIVA
Guido Zazzu: … Sa, ci son tanti pezzi strani in questa casa, come questo Buddha che ho raccolto per strada. Un rabattino l’aveva scartato. Era completamente grigio. Lo raccolsi e lo presi con me anche se dovetti sorbirmi tutti gli improperi del rabattino, che riteneva questo pezzo non degno di considerazione e per questo l’aveva scartato e buttato a terra. Una volta a casa lo pulii dalla polvere e lo posai qui sul mobile dove sta adesso. Trascorso qualche giorno non era più grigio ma emersero i colori che vede.
Sergio Breviario: È per via della pulizia o altro?
GZ: No, la pulizia non c’entra niente, l’ho solo spolverato e inizialmente era rimasto grigio, anche se non voglio dire che sia un oggetto mistico o magico o roba del genere.
SB: Un pochino strano è.
GZ: Credo sia stato il calore della casa. Il calore può cambiare molte cose.
SB: Diversi Buddha hanno queste pettinature a boccoli, sembrano moduli che si ripetono, molto simili a delle pettinature di sculture della Mesopotamia o ai Kouros dell’antica Grecia. Sono di epoche e luoghi lontani, eppure le scelte formali sono simili. Alcune forme sembrano appartenere all’umanità. Questa cosa mi rassicura. Posso dire di essere un fan dei falli di Shiva. A me piacciono tantissimo. Mi sembra di rivederli continuamente nelle architetture, negli oggetti… Stamattina mi trovavo a Pietra Ligure, guardavo la Basilica di S. Nicolò con i due campanili laterali che sembrano due enormi falli di Shiva, molto simili ad alcuni falli cambogiani che ho visto in collezioni occidentali. Semplicemente un’altra scala ma la forma è davvero molto simile: bella, sia piccola come un salino da tavola, sia grande come un campanile. È costituita da una base cubica sormontata da un cilindro o un solido a base ottagonale su cui poggia una cupola. Ovviamente per me, nato in Italia, questa è solo una forma, ma per un indiano credo sia tutto diverso. Io agisco come un archivista.
GZ: Questo ci potrebbe far immaginare che c’è un’ascendenza comune, un patrimonio genetico che ci portiamo dentro, per cui conosciamo tutti alcune forme pur dando poi nel tempo significati e valori diversi. Però il linguaggio del simbolo viene prima. In tutte le culture il simbolo chiave di una etnia è fallico: campanili, minareti, obelischi, torri…
Credo, è una mia lettura, il fallo fornisca una serie di emozioni che non sono ritrovabili in altro modo.
Capitolo 2: TESTA DI VERME
Guido Zazzu è un terapeuta e si occupa di corpi. Sergio Breviario è un artista e si occupa di forme.
GZ: … altro aspetto che tengo sempre presente è questo: il nostro fisico oltre a portarci in giro, ha anche una pelle che diventa il nostro biglietto da visita e ha anche un volto, e lei pensi che cosa strana: io mi posso guardare le gambe, i piedi, le mani, ma il volto con cui mi presento a lei non lo vedo, vedo il suo.
E questo è affascinante secondo me. Per cui la cura del volto è una cura preventiva. Mentre, se mi trovo un segno sulla mano me lo vado a lavare o lo copro, se ho qualcosa sulla faccia lo vede lei. Non può che dirmelo lo specchio, il volto ci costringe sempre all’alterità.
SB: Io sono affascinato dalla testa perché ha quattro sensi su cinque.
GZ: In realtà li ha tutti e cinque perché oltre il gusto, la vista, l’udito, l’olfatto, ha anche il tatto. Di solito noi sentiamo il freddo o il caldo sulla faccia. Abbiamo la sensibilità, il calore di un ambiente lo sentiamo in faccia, così come la pioggia o il vento. La nostra pelle è il tatto.
SB: Uso a volte, per i miei lavori, un titolo che mi piace molto: Se le teste avessero le mani conquisterebbero il mondo. Mi piace l’idea di attaccare le mani alla testa in modo da darle anche una possibilità tattile, per farle raggiungere una sorta di autosufficienza, di perfezione, anche se mostruosa. La immagino senza il corpo, ma in grado di sostenere da sola tutte le competenze solitamente deputate al corpo.
GZ: Noi apparteniamo a una cultura che ci ha indirizzato verso la coscienza dell’unicità dell’essere umano, come frutto della creazione, l’idea della somiglianza a un Dio ci ha sempre condizionato. Però io ho immaginato fin da piccolo che l’evoluzione del corpo potesse essere pensata così: come questi piccoli vermi che stanno nella terra e hanno questa piccola testa, veloce, rapida nei movimenti; poi la testa si evolve allungandosi e dandosi tutti gli strumenti per potersi affrancare dallo strisciare. Ecco questi vermi, in verità dalle teste sempre più affusolate, si sono dati poi tutti gli strumenti per potersi affrancare da questo strisciare.
SB: Quindi la testa, già preesistente e perfettamente evoluta, secondo tale teoria, poco a poco si è costruita un corpo per smettere di strisciare. Ho capito bene?
GZ: Le mani la testa se le è date dove poteva, perché pian piano ha fatto spazio anche a tutta una serie di altre cose funzionali. È una follia, ma mi piace pensare a questa immagine.
Capitolo 3: SIMPATIA
SB: Potrei sintetizzare quello che faccio dicendo che costruisco forme. Ci sono forme preesistenti che unendosi fra loro originano nuove forme. Io cerco di incoraggiare queste unioni.
GZ: Un qualcosa che ha a che fare col “sentire”?
SB: Esattamente. Per quanto mi riguarda non mi occupo mai del significato della forma. Non mi interessa. Accosto cose diverse fra loro facendo nascere una relazione, una simpatia. Mi spiego meglio: se si prendono due elementi fra loro completamente diversi e li si accosta, il risultato sarà un’immagine che, con buone probabilità, si potrà definire intrigante. Non si è realizzata una forma, per la semplice ragione che i nostri due elementi mantengono la loro identità. Per realizzare una forma è necessario che questi due elementi si fondano insieme e diano origine a una cosa nuova. Questo non può avvenire con delle costrizioni. Per tale ragione prima ho utilizzato il termine simpatia, perché tutto deve essere semplicemente naturale e non portare i segni di una frustrazione. Fare una forma vuol dire cercare di costruire un’identità. Credo che funzioni così e aggiungo anche che non mi è mai sembrata e non mi sembra una cosa semplice. Difatti il processo che ho appena descritto non credo riguardi la mia persona o il mio modo di lavorare; mi sembra riguardi il modo di costruire le cose, un’attitudine comportamentale dell’essere umano.
GZ: La mia tesi fu proprio quella di studiare alcune erbe dell’occidente, secondo i principi dell’ayurveda, per scoprire che in questo modo avevamo erbe nostre che potevano svolgere lo stesso ruolo delle erbe orientali. Questo mi consente per esempio di suggerire a delle persone che hanno difficoltà a modificare la loro alimentazione di prendersi il basilico invece della curcuma o l’origano al posto dello zenzero, perché poi alla fine il risultato è lo stesso. Dalla metà degli anni Novanta sto lavorando come fa lei, per cercare la forma che va bene di qua e va bene di là. L’essenza!
Capitolo 4: MARIA CALLAS
GZ: È in corso un cambiamento antropologico. Qualche giorno fa leggevo su un quotidiano che si è rilevato che oggi gli uomini hanno le braccia più lunghe e il pene più corto rispetto a qualche decennio fa. Fino alla Seconda Guerra mondiale la maggior parte degli italiani non arrivava al metro e sessanta, oggi siamo tendenzialmente sopra l’uno e settanta. Secondo me, oltre a mangiare meglio e di più, siamo più protetti dal freddo avendo case riscaldate e il freddo consuma molta energia.
A proposito di cambiamenti antropologici, c’è un bellissimo video su YouTube: la Callas che canta a Parigi nel 1958. Guardi il corpo delle donne del coro. Hanno le caviglie grosse, come oggi non se ne vedono più. In cinquant’anni la fisicità è completamente cambiata. A quei tempi era normale, ma oggi in nessuno spettacolo televisivo metteremmo in prima fila persone con quella fisicità.
SB: Riguardo al corpo, nella mia professione, si pone da sempre un problema su cui mi sento di prendere posizione. Siamo abituati alla presenza fisica dell’uomo ed essa ci aiuta a dedurre le misure dimensionali degli spazi. Se in un modellino aggiungiamo un pupazzetto con le fattezze di una persona, questo subito ci dà l’idea di quanto sia grande l’ambiente in scala reale. L’identità del corpo viene espressa solo se lo si usa senza modificarne le dimensioni, se lo si rimpicciolisce o ingrandisce si perde la sintonia con lo spettatore e diventa semplicemente una rappresentazione, diversamente da quanto si diceva prima a proposito del fallo di Shiva. Io non amo le rappresentazioni, perché servono a esprimere un significato e credo non sia il fine dell’opera d’arte. Vorrei che l’opera esprimesse se stessa come un corpo deve poter esprimere se stesso, e non essere il mezzo per raccontare qualcosa d’altro. Quando disegno dei volti utilizzo sempre un foglio 32 x 23 cm. Uso questa misura perché mi piace che il volto disegnato sia grande come la testa dello spettatore specchiata nel disegno. Il volto disegnato e il volto di chi guarda si equivalgono nella dimensione.
Capitolo 5: RADIO MARIA
SB: Mi sembra di averle già parlato del fatto che resto sempre affascinato da cose e comportamenti a me incomprensibili. Mi sento un archivista: prendo cose che per qualche strana ragione mi sorprendono e le metto da parte, per la verità in maniera disordinata. Ogni tanto le tiro fuori dall’archivio e le uso. Spesso viaggio in macchina, spesso ascolto la radio e, a volte, ascolto Radio Maria. Non ho molto da condividere con le cose che professano nelle loro trasmissioni, ma mi colpiscono. Una volta ho sentito l’intervento di un esorcista, il quale suggeriva ai genitori, in particolare alle mamme, alcune pratiche che non saprei come definire; racconto brevemente: per essere certi che la propria figlia non sia posseduta dal demonio, basta aggiungere all’acqua della pasta qualche goccia di acqua santa. Ovviamente se la giovane fanciulla dovesse rifiutare la pasta la tesi accusatoria avrebbe a disposizione una prova schiacciante. Non male. Capisco che per me possa essere una stranezza anche un po’ troppo estrema, ma per il nostro esorcista, e parte delle persone che lo ascoltano, questa è la verità. È una verità diversa dalla mia.
GZ: … e quindi io sarei l’alter ego di Radio Maria?
SB: (ride) No, perché accontentarsi dell’alter ego quando sarei potuto andare dall’esorcista?