Massimiliano scuderi: Com’è nato Gravity One – Fleeting Vision, esposto recentemente a L’Aquila? Che rapporto intercorre tra quest’ultimo lavoro e i precedenti?
Sergio Limonta: Gravity One – Fleeting Vision è un’installazione sonora; si inserisce in un percorso ormai lungo una decina d’anni che ha avuto inizio dai primi lavori con i vinili Eterno, Mohol e più tardi FAR. In quel caso ero interessato all’aspetto scultoreo del supporto vinilico: un bassorilievo inciso da uno spostamento d’aria, prodotto dalle vibrazioni sonore e che, ripercorso con una semplice punta metallica, restituisce dei suoni organizzati. Decisi allora di lavorare sulla “scultura” abradendo il solco originale, rimodellandolo in modo sempre più minuzioso e ottenendo di conseguenza anche nuove sonorità. Prima di questo lavoro avevo realizzato un video, Dominatrix, dove avevo modificato con delle carte vetrate il nastro magnetico di un VHS, così che le figure che vi erano registrate, nell’atto di amplessi espliciti, diventassero delle animazioni magmatiche che si scioglievano sul fondo. Da lì è cominciato l’interesse per il difetto, l’errore, lo scarto come elemento dal quale far partire nuove ipotesi. In più, la base sonora era ottenuta convogliando diverse tracce sonore provenienti da diversi apparecchi, radio, giradischi, ecc., anche malfunzionanti. In Gravity One diversi vinili sono stati modificati con l’utilizzo di magneti, in modo che producessero scratch e tonfi, che diventassero elementi sonori. Il tutto, come sai, organizzato in modo che la risultante sonora fosse comunque sorprendentemente armonica e rappresentasse una vera e propria composizione.
MS: Le tue sculture sono il risultato di un lungo lavoro incentrato sull’utilizzo delle forze esauste di oggetti abbandonati. Che importanza ha, quindi, il tempo nel tuo lavoro?
SL: Il tempo è sempre importante nel lavoro. Quando un’opera comincia ad affacciarsi nel pensiero, ha spesso bisogno di un tempo di gestazione fino a che non capisci che è matura. Serve tempo per tradurre l’idea in materia e tempo per familiarizzare con l’opera una volta che si mostra come presenza fisica ed esprime la sua identità che ancora non poteva mostrarti quando era latente.
MS: Mi ha incuriosito molto un’opera dedicata a un lavoro del ’68 di Giovanni Anselmo, in cui fai una replica fedele della scultura, realizzandola però in cartone e decontestualizzandola. Che relazione c’è tra l’immagine da te indotta e quella appartenente al linguaggio dell’Arte Povera?
SL: L’Arte Povera è l’ultimo grande movimento moderno ed è contemporaneo al tempo stesso, vitale ancora oggi. Si definisce negli anni in cui si affermava definitivamente la Pop Art americana. Gli oggetti comuni nella Pop sono pretesti per generare un nuovo materialismo; nell’Arte Povera gli oggetti ordinari sono imposti in un gioco che conduce all’affermazione di un’attitudine, più che di un’estetica. Un atteggiamento che mi è sempre sembrato più attento a comprendere il mondo, piuttosto che a crearne uno artificiale. È un movimento che potremmo definire “francescano” per l’amore che ha verso il mondo. In questo senso, il rispetto per la natura ha una certa inerenza. Progetto Anselmo nasce proprio come tentativo di salvaguardare la natura dal disprezzo e dall’indifferenza. Quel simulacro di cartone rappresenta un guardiano della natura, con l’aspetto di qualcosa estremamente nobile che interagiva con la natura, ammonendo chi avesse voluto farne scempio.
MS: La tua ricerca però nasce con la pittura tanti anni fa. In questo modo hai elaborato un metodo di approfondimento dei meccanismi più profondi del lavoro. Mi spieghi meglio questo aspetto?
SL: La pittura rimane il medium artistico per eccellenza, non puoi mentire quando dipingi. È un mezzo sintetico, dove ti metti alla prova sotto tutti gli aspetti. Tutto quello che c’è si vede e quello che non c’è manca. O raggiungi l’obiettivo o fai degli adesivi colorati. Molta pittura contemporanea è caratterizzata da una certa serialità che, in qualche misura, può anche funzionare nell’insieme, ma spesso le singole opere sono insoddisfacenti. I grandi pittori li distingui subito da questo: anche in una comprensibile continuità del lavoro, ogni opera regge la solitudine e lo spazio, affrontando lo spettatore con forza. Questo è un aspetto fondamentale che ho provato ad adottare in tutto il mio lavoro, anche quello non pittorico. Piero della Francesca ha realizzato una manciata di lavori e ognuno è un capolavoro assoluto. Quando entro in una galleria o visito una fiera e vedo quadretti, disegnucci ecc. di artisti che normalmente fanno tutt’altro, con la sola giustificazione di esser lì per coprire le spese della galleria, mi sembra che non ci siamo proprio. Io non ho mai realizzato roba del genere, non ci sono schizzi, quadretti o foto in più edizioni e tirature. Ogni opera è un lavoro, quello è il lavoro, il resto è scarto.
MS: Che ne pensi allora del sistema dell’arte italiano, tu che hai 38 anni e vivi a Lecco?
SL: “Sistema” è una parola che ci serve per nascondere la mano che ha lanciato il sasso; anzi la persona alla quale appartiene quella mano. Non esiste il sistema, esistono le persone. Ognuno fa le scelte secondo la propria indole. Più si parla di qualcosa che riguarda l’Italia e più si perde di vista la questione. Chi continua a guardare le cose del mondo per poi confrontarle con quelle di una comunità, che forse nemmeno esiste in una identità così peculiare, continua a restare lì dentro come in una prigione. Una comunità è sempre uno spazio dove è possibile entrare, non qualcosa dove si è rinchiusi. In merito al fatto che vivo a Lecco, anzi nei pressi, ti dico che la periferia è uno stato mentale non fisico, tanto più oggi che ci si sposta facilmente sia fisicamente che virtualmente. Da lì dipendono una serie infinita di luoghi comuni. Nel lavoro dell’arte è la testa che sta al centro dei problemi o che, al contrario, ci gira solo intorno. Poi siamo d’accordo, i beduini coltivano la menta nelle oasi del deserto e poi vanno a Gerusalemme a venderla nella città vecchia perché la gente passa di lì. Dunque anche il tuo lavoro lo devi portare al mercato.
MS: Su cosa stai lavorando ora e quali sono i tuoi progetti futuri?
SL: In questo momento sto lavorando sulla trasformazione della materia biologica.