Un esempio per tutti: l’emblematico lavoro di Zbigniew Libera, Lego Concentration Camp (1996). Attraverso l’immediatezza di uno dei giochi d’infanzia più famosi al mondo, viene messa in scena una delle realtà più atroci della storia del Novecento: il campo di concentramento. La lucida semplicità di un gioco e l’accecante razionalità del sistema; immagini elementari, prive di ogni formalismo, documentano ludiche costruzioni che si trasformano nell’angosciante testimonianza dei pericoli del condizionamento culturale.
Questa attenzione critica, spesso politica, che investe l’arte legandola inscindibilmente alla memoria storica e alle specificità identitarie, caratterizza quasi tutti i lavori in mostra e costituisce una costante del pensiero artistico dell’Est Europa. Si tratta di un’arte che fa riferimento al vissuto personale interpretandolo come necessaria conseguenza del contesto pubblico (sociale) e che giunge alla consapevolezza di una precisa assunzione di responsabilità civile. Una tensione critica che caratterizza, tranne rare eccezio- Storia Memoria Identità Francesca Mila Nemni ni (più intimiste, meno impegnate o troppo formali), i lavori dei ventinove artisti entrati a far parte della collezione di fotografia contemporanea della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, e che denuncia — forse inconsapevolmente — un sistema dell’arte diverso, cui siamo generalmente abituati, ovvero quello occidentale (soprattutto italiano), e il suo essere in primo luogo autoreferenziale. I lavori di Maja Bajevic, Banu Cennetoglu, Anetta Mona Chisa & Lucia Tkacova, Alexandra Croitoru, Gintaras Didziapetris, Swetlana Heger, Gruppo Irwin, Julius Koller, Oliver Musovik, Roman Ondák, Adrian Paci, Mladen Stilinovic, Milica Tomic e Artur Żmijewski parlano, infatti, di cose reali: nazionalismo, economia di mercato, migrazione, razzismo, fanatismo religioso, ideologia, propaganda, vita quotidiana, ruolo della donna e dell’arte. Sono davvero espressione della società e ne mettono in luce i conflitti, le problematiche, i trascorsi.
Il percorso espositivo, che si snoda attraverso gli spazi complessi dell’Ex Ospedale Sant’Agostino, testimonia con chiarezza l’eredità storica di una concezione del mondo — quella orientale — per molti aspetti ancora distante dalla nostra, e dimostra che uno scollamento tra arte e vita reale non solo non è necessario, ma il più delle volte è penalizzante, così come può esserlo il compiacimento narcisistico dell’Occidente. Se una coscienza critica aderente al reale e una riflessione profonda sulle proprie radici e sulle proprie condizioni sono premesse fondamentali del fare arte, allora l’oggetto artistico può essere davvero uno stimolatore di pensiero e di idee. Ed è ciò che accade nella mostra “Storia Memoria Identità. Fotografia contemporanea dell’Est Europa”.