Greil Marcus, storico del rock americano, ha spesso approfondito il rapporto fra punk e Dadaismo: sull’argomento ha scritto diversi volumi tra cui Lipstick Traces (1989), rimasto nella storia della musica. Nel libro Marcus riscriveva la lunga stagione del punk rock inglese degli anni Settanta, e lo faceva partendo da un presupposto di esperienze situazioniste che rendevano difficile una classificazione univoca dei fenomeni e delle problematiche.
Da questo discorso prendono spunto Camilla Pignatti Morano e Pelin Uran per “This Story is not Ready for its Footnotes”: un progetto curatoriale che prevede quattro step espositivi. Fase dopo fase, viene raccontata una scena artistica contemporanea che, nonostante l’eterogeneità delle modalità di approccio, lascia sempre aperta l’interpretazione, accogliendo l’inatteso e l’irrazionale, incluse tutte quelle dinamiche psico-sociali che spesso vengono trascurate. Le due curatrici scelgono per questa narrazione Ex Elettrofonica non il consueto white cube ma una galleria estremamente caratterizzata dal punto di vista architettonico, in cui l’assenza di spigoli costringe a correggere il passo mentre si procede nel bianco ovattato, come disorientati, in sintonia con i contenuti della mostra.
La prima fase di “This Story is not Ready for its Footnotes” dà voce ad artisti che, ognuno a suo modo, stimolano una lettura della società contemporanea. Una lettura che non necessita della chiave giusta. Di chiavi ce ne sono tante, e il fruitore può sentirsi libero di venire incalzato dai video senza ricevere una risposta unica. L’unicità è bandita, a vantaggio di libere interpretazioni per opere che spesso fanno dell’indefinito il territorio di partenza. Così è nel caso di Asli Sungu che, con Just Like the Mother & Just Like the Father (2006, due video su schermi adiacenti), mette in scena le diverse proiezioni mentali dei genitori sull’identità della loro figlia femmina.
Dagli interni famigliari di Sungu si passa agli interni personali di Jakup Ferri che nei suoi lavori rende ironicamente protagonista se stesso facendosi carico di una critica rivolta alle dinamiche di potere del mondo dell’arte. Si prosegue con gli esterni surreali di Giorgio Andreotta Calò che con Volver (2008) rovescia contesti ordinari in situazioni fuori dal tempo e dallo spazio, al di là delle percezioni abituali. Fuori dall’ordinario è anche il lavoro del collettivo Ha Za Vu Zu: What a Loop (2009) riprende i cliché della cinematografia e li svuota di senso, semplificandoli all’inverosimile. Il cinema è anche la suggestione di fondo del lavoro di Christelle Lheureux, che mescola in un filmato in bianco e nero, denso e fumoso come la terra vulcanica in cui è ambientato, ricordi che si rifanno alla Nouvelle Vague e al Neorealismo. I personaggi del video Non ricordo il titolo (2008) si muovono a Stromboli ispirati da Marcello Mastroianni e Ingrid Bergman, che nel video vengono evocati in maniera offuscata e nostalgica, quasi lunare così che i riferimenti sono eterei quanto quelli di una coppia di sconosciuti che si incontra senza mai sfiorarsi.