Premessa
Effettuare una ricognizione sui giovani artisti è sempre un’impresa ardua, poiché equivale a spiegare i parametri stessi che ne permettono l’individuazione: l’evoluzione del singolo percorso, la pertinenza dei contenuti rispetto all’attualità dell’arte e il tipo di contributo alle ricerche internazionali. La difficoltà aumenta se deve essere fatta rispetto a un contesto territoriale particolare come quello toscano. Questo perché la storia delle energie presenti sul territorio negli ultimi cinquant’anni ancora non è stata scritta, o meglio, si è avuta una ri-scrittura a livello localistico che ha portato sempre ad azzerare le esperienze precedenti, non fornendo così parametri interpretativi o una sua sintesi per chi non viveva lo scenario dal suo interno. Questo in parte è dovuto alla mancanza di istituzioni che potessero registrare queste ricerche e dessero loro continuità (il Museo Pecci a Prato riuscirà ad aprire uno spazio dedicato alla collezione permanente solo il prossimo anno), ma allo stesso tempo tale condizione ha stimolato e costretto a una dimensione di “auto-organizzazione” molto forte. Questa attitudine, riscoperta da curatori come Hans-Ulrich Obrist alla fine degli anni Novanta e attualizzata adesso in varie parti d’Europa dalla costante crescita di spazi non profit, è forse la caratteristica genetica della Toscana. Ciò rende ancora più difficile tracciare un’unica storia poiché questi spazi nascevano non in opposizione a una programmazione ufficiale, ma per colmarne l’assenza. Tale situazione fa si che parlare di una scena artistica emergente in Toscana equivalga a interrogarsi sulla coscienza dell’identità di questo territorio soprattutto rispetto al territorio stesso.
I luoghi
Ora esistono finalmente tre spazi istituzionali dedicati al contemporaneo, ovvero EX3, (ex Quarter, fondato da Sergio Risaliti nel 2004 e diretto adesso dall’ex gallerista Sergio Tossi, con la collaborazione dei curatori Arabella Natalini e Lorenzo Giusti), il Centro di Cultura Contemporanea Strozzina (CCCS) diretto da Franziska Nori e il Museo Marino Marini che, diretto da Alberto Salvadori, ha avuto una sterzata inaspettata e fondamentale verso il dibattito contemporaneo. Da segnalare inoltre il nuovo programma espositivo della Fondazione Alinari di Firenze, la riapertura di Palazzo Fabroni a Pistoia sotto la curatela di Ludovico Pratesi, l’ampliamento del Museo Pecci a Prato e la nuova attività espositiva diretta da Angelika Stepken a Villa Romana, residenza fiorentina per gli artisti tedeschi.
Vista dall’interno, la situazione non è serena poiché la precarietà del futuro di questi luoghi (per la mancanza di finanziamenti costanti) si unisce a un senso di delusione stratificato negli anni. Un sintomo lampante di questo malessere era già stato dato dall’annuncio, negli anni Sessanta, dell’apertura del museo di arte contemporanea di Firenze presso le ex Officine Galileo e poi bloccato per varie diatribe legate alla ristrutturazione, idea rispolverata a ogni nuovo decennio. Per questo, quando nel 2007 è nata la Strozzina nelle cantine del famoso Palazzo Strozzi, la reazione iniziale è stata di indignazione poiché appariva come la conferma che il contemporaneo a Firenze è sempre stato irrilevante rispetto ai monumenti storici e ai musei del Rinascimento. In un contesto in cui il turismo e il fascino esclusivo per l’arte antica hanno reso la città impermeabile all’arte contemporanea, le persone hanno reagito auto-organizzandosi, creando luoghi di sperimentazione e di dibattito con le ricerche internazionali. Tra gli esempi degli anni Sessanta possiamo citare Paolo Masi, Riccardo Guarneri e Lanfranco Baldi, vicini per le ricerche attorno alla pittura astratta di tipo analitico, che decisero di non esporre più nelle gallerie d’arte, ma all’interno delle Case del Popolo per avere un contatto diretto con gli spazi pubblici. Maurizio Nannucci tra le varie attività artistiche fondò il gruppo di ricerche F/Uno e poi nel 1974, con Masi e Mario Mariotti, aprì Zona, spazio non profit caratterizzato fin dall’inizio dal fruttuoso scambio tra le ricerche internazionali e quelle locali. Nello stesso periodo nacquero la Galleria Schema, diretta dall’artista Alberto Moretti, la Galleria Area, lo spazio Art/tapes/22 di Maria Gloria Bicocchi, primo centro in assoluto di produzione di video d’arte in Europa. Inoltre, all’inizio degli anni Settanta, vi era Tecne, spazio espositivo della omonima rivista, curato da Pier Luigi Tazzi; fu proprio quest’ultimo a ideare, con Egidio Mucci, il convegno di critica a Montecatini, a cadenza biennale dal 1978 al 1984 (gli atti del primo convegno dal titolo “Critica 0” furono pubblicati da Feltrinelli sotto il titolo Teorie e pratiche della critica d’arte). Questo fermento intellettuale avvenne in contemporanea allo sviluppo del CentroD, la casa editrice che stampò i primi libri teorici di Achille Bonito Oliva assieme a molti altri.
Se da una parte la storia del Rinascimento è troppo ingombrante per il contemporaneo, dall’altra però questa mitologia legata al luogo e soprattutto al paesaggio toscano è stata un asso nella manica e un nuovo banco di prova per tutte le ricerche legate all’installazione ambientale e alla scultura pubblica. In questa ottica possiamo citare due luoghi che sono all’origine di un approccio particolare con il territorio. Il primo è la mostra annuale ideata da Luciano Pistoi a Volpaia (SI) che, dagli anni Settanta fino all’inizio dei Novanta, è stata una vera e propria palestra per gli artisti di tre differenti generazioni. Il secondo è la Fattoria di Celle (Pistoia), il cui proprietario, Giuliano Gori, colleziona opere ideate per il suo parco di sculture, dando nuove applicazioni alla pratica di arte ambientale.
Negli anni Novanta, più che luoghi fisici di riferimento, sono nate alcune manifestazioni culturali che, a cadenza annuale, hanno invitato artisti internazionali a confrontarsi con l’idea di trasformazione o di dialogo con il paesaggio toscano. Nel 1996 è sorta Tuscia Electa a Greve in Chianti (FI) a cura di Fabio Cavallucci, che dalle edizioni successive ha coinvolto differenti comuni e assunto una cadenza biennale (dal 2003 con la curatela di Arabella Natalini). Nello stesso anno si inaugurava la manifestazione “Arte all’Arte”, a cura dell’Associazione Arte Continua di San Gimignano, che per dieci anni consecutivi ha coinvolto differenti comuni del Chianti senese. Nello stesso periodo, inoltre, sono stati attivi i progetti a Serre di Rapolano (vicino a Siena) e la Fondazione Teseco per l’Arte a Pisa. Successivamente si era sviluppata la manifestazione “Dopopaesaggio”, presso il Castello di Santa Maria Novella a Barberino Val d’Elsa (FI), che dopo una serie di convegni e mostre aveva stabilito una stretta collaborazione tra vari artisti e i comuni limitrofi per la realizzazione di infrastrutture pensate per una nuova integrazione con il paesaggio. Nascevano poi la Fondazione Lanfranco Baldi a Pelago (FI), Villa la Magia a Quarrata (PT), e lo spazio Archivio Moretti a Carmignano (PO). “Spreed in Prato”, mostra annuale curata da Pier Luigi Tazzi con l’associazione Dryphoto, dal 2001 è uno dei pochi casi che registra il cambiamento sociale e urbano della città, creando uno strano contrasto tra opere fotografiche e video e i vari contenitori scelti, che spaziano dalle fabbriche storiche del tessile ai luoghi legati all’insediamento di una delle più grandi comunità cinesi in Europa.
Tutto questo è avvenuto parallelamente alle attività di due istituzioni importanti che hanno mirato a creare una nuova attenzione nel pubblico esterno alla regione. La prima era il Palazzo delle Papesse, fondato e diretto da Sergio Risaliti nel 1999 per la città di Siena, mentre la seconda era il progetto Networking fondato da Marco Scotini nel 2002 per la regione, orientato a facilitare le connessioni fra curatori e artisti. Mentre fuori dal capoluogo toscano alla fine degli anni Novanta nascevano differenti iniziative, a Firenze vi erano Base / progetti per l’arte, spazio non profit nato da un collettivo cospicuo di artisti nel 1998, la Fondazione Pitti, istituzione privata curata da Francesco Bonami, e “Rotte Metropolitane”, la mostra dell’archivio giovani artisti di Firenze, coordinata da Daniele Ciullini, che saltuariamente ha permesso a giovani curatori e artisti di presentarsi alla città.
Da questo breve elenco è interessante notare che se il sistema dell’arte in Italia e all’estero attualmente scopre una nuova vitalità fornita da spazi autogestiti che nascono parallelamente agli spazi istituzionali, adesso a Firenze si assiste al processo inverso. Stiamo passando dalla condizione che ha visto per decenni l’attivismo di “progetti spontanei” alla sola presenza di luoghi istituzionali… o quasi. Come interpretare questo cambio di direzione? I giovani artisti, per lo meno quelli presenti in questo articolo, sembrano gli unici ad aver raccolto la ricchezza di queste esperienze precedenti, visto che puntano a stabilire un forte grado di partecipazione del pubblico, tentando di eliminare la distanza tra lo spettatore e l’autore, a favore di un dialogo diretto e praticato con costanza e non solo agognato.
Gli artisti
Alla fine degli anni Ottanta gli artisti che riscontravano un successo non solo locale erano Daniela De Lorenzo, Antonio Catelani e Carlo Guaita. Pur non costituendosi come un gruppo, erano legati da un’affinità di approccio alla scultura minimalista che li ha portati ad analizzare e a scarnificare i codici della stessa per interrogarne le possibilità di sviluppo nello spazio.All’inizio degli anni Novanta hanno fatto irruzione le ricerche legate alla figurazione, le quali hanno introdotto una nuova energia nello sviluppo della relazione tra l’oggetto pittorico e quello scultoreo. Così, Massimo Barzagli creava i suoi quadri usando come pennello il modello stesso (polpi, fagiani e poi donne), cosparso di colore sulla superficie; Vittorio Corsini sviluppava con gesti irruenti nuove possibilità sculturali, partendo da oggetti o immagini ormai innocue, come un piatto di frutta o un ponte; Andrea Marescalchi analizzava l’uso dei simboli come quello delle carte da gioco realizzando pattern decorativi particolari; Paolo Fabiani modellava rappresentazioni ironiche con l’argilla, rifacendosi ai soggetti del teatro di strada e all’oggettistica tipica dei soprammobili kitsch.
Questo ritorno al colore e alla sperimentazione tattile di differenti materiali viene ripreso e sviluppato da altri artisti, ma in una direzione quasi opposta alla loro e che affonda le radici più nel codice dell’astrazione geometrica che nella pittura figurativa. Questo approccio costringe a realizzare “immagini” che prima di tutto sono una riflessione sulla rappresentazione (modalità e motivi), la quale deve avvenire soprattutto rispetto alla novità della “comunicazione e distribuzione veloce di immagini/informazioni” fornita dall’uso di Internet. Luca Pancrazzi realizzava quadri e installazioni di frammenti di paesaggio definibili “non luoghi” con i quali analizzava i frutti della modernità; Andrea Santarlasci predisponeva disegni di alberi senza foglie per un mobilio de-funzionalizzato; Paolo Parisi praticava una riflessione sul monocromo attraverso i nuovi usi delle mappe geografiche e delle immagini satellitari; Massimo Bartolini con le sue installazioni e performance rileggeva in chiave romantica il minimalismo di matrice americana. In questo percorso si inserirono anche Loris Cecchini, con le sue immagini digitali e gli oggetti quotidiani presentati in gomma grigia come simulacri di loro stessi, e il duo Pantani-Surace, con le loro installazioni che contraddicevano la funzionalità degli oggetti. Tali artisti hanno introdotto una strana vena di ironia surreale che ha spinto Cecchini a indagare, negli anni successivi, i rapporti con l’architettura e Pantani-Surace la performance senza autore.
Gli artisti attivi dal 2000, le cui ricerche sono orientate verso il medesimo dialogo tra scultura e pittura di fine anni Ottanta, sono il frutto di una tensione o ossessione mai risolta tra il controllo e la libertà della forma rispetto alla superficie del quadro o dello scatto fotografico perfetto. Così Emanuele Becheri presenta grandi carte nere a parete, le cui forme sono generate non più dalla mano dell’artista, ma dalla natura stessa, come il fuoco, o da lumache che vi camminano sopra trasformando e “disegnando” la superficie. Le fotografie di Giovanni Ozzola puntano a esaltare il momento di una luce particolare all’interno di uno spazio fisico ben preciso in cui sono installate. David Casini, invece, porta alle estreme conseguenze la riflessione sulla decorazione e sugli oggetti archetipici disegnando, o meglio cucendo le immagini sopra superfici in pelle. Anche se contemporanei, appaiono come degli outsider rispetto al clima toscano gli artisti Robert Pettena, con le sue sperimentazioni video in cui documenta azioni “mangiatempo” di giovani persi nella provincia o nella natura, Michele Dantini, con le documentazioni fotografiche del museo perfetto o del rapporto tra spazio naturale e spazio artificiale, e Michelangelo Consani, con le sue installazioni fragili e rarefatte che creano dei ritratti di figure considerate marginali rispetto alla società a cui appartengono. Le loro opere anticipano in parte le ricerche che si sono sviluppate successivamente, forse proprio perché si rivolgono alla vita e non ai meccanismi interni all’oggetto d’arte, allontanandosi così da un manierismo ossessivo e auto-referenziale, critica ricorrente mossa alle generazioni precedenti.
Dalla seconda metà del 2000 i giovani artisti che si affacciano sulla scena lo fanno praticando in maniera disinvolta il dialogo con il presente. Infatti, le loro “indagini” contengono, già perfettamente mixate, le caratteristiche di arte relazionale, arte politica, arte sociale e il concetto di opera site specific, tutti aspetti che negli anni Novanta erano visti come elementi di novità all’interno dell’opera fino a essere confusi addirittura con delle categorie estetiche. Questa idea di opera d’arte come dispositivo per stabilire un nuovo dialogo e abbattere la distanza tra spettatore e autore, anche se è un dato acquisito per la nuova scena artistica internazionale, può divenire una vera e propria chiave di lettura ed elemento che fa la differenza nel contesto toscano, dove comunque il tema del ruolo dell’arte contemporanea è sempre stato scottante.
La novità di questa scena artistica che finalmente si è formata in Toscana è dovuta al cambiamento di atteggiamento rispetto alla condizione di immobilità storica della regione. Se prima questa portava gli artisti verso una condizione di amore/odio o attrazione/fuga rispetto ai luoghi di origine, oggi lo diviene in maniera più elaborata, in quanto agevolata dallo snellirsi dei mezzi di comunicazione. In questa ottica il concetto di viaggio acquista non una dimensione di fuga (non occorre fuggire da niente ormai), ma è più un “ritornare”, un “riscoprire”. Di particolare interesse è l’attuale oscillazione tra “celebrazione dell’istante”, come per stabilire un nuovo sguardo sul mondo, e l’esigenza di riconquista di una memoria collettiva attorno a cui creare un nuovo dialogo concreto sull’idea di comunità. Questa sfumatura è un contributo interessante alla domanda generale e internazionale che si pongono altri artisti, legata alla riflessione sullo stato dell’identità collettiva/personale.
Le opere di Francesca Banchelli, per esempio, nascono sempre dalla volontà di cogliere le dinamiche di relazione, anche momentanee, tra le persone e il paesaggio, per analizzare la possibilità di raccontare il reale attraverso l’uso del video e della performance. Il film in pellicola Antitesi popolare del 2008 racconta, imitando i Super 8 degli anni Settanta, un viaggio in barca per compiere un’azione artistica, ma la narrazione si concentra sull’attesa e sui dialoghi tra le persone presenti facendo saltare il rapporto di causa/effetto. I lavori di Francesco Carone, come la corda per ancore recuperata dal mare e presentata per la sua recente personale a EX3, sono legati all’idea di viaggio e di eroicità che poi deve fare i conti con il quotidiano, permettendo così una particolare riflessione sui codici della scultura minimalista. Yuki Ichihashi evidenzia con vari mezzi una dimensione magica per far riconsiderare il modo con cui si osserva e si stabilisce il rapporto con la realtà, come nel video A Song, ottenuto da una sua precedente installazione del 2008-2009, in cui un castello sembra sgretolarsi verso il cielo solo per mezzo di palloncini che levitano su di esso. Rapportarsi con gli archivi collettivi permette a Mirko Smerdel di mettere in evidenza il contrasto tra la versione ufficiale e le infinite riletture e versioni personali della stessa. Infatti, per la mostra “Nothing but a Show” al Castello Sforzesco di Milano nel 2009, ha presentato tra i vari monumenti funerari del passato il giornale uscito il giorno della morte di Togliatti con la scritta “Mille antenne ripetono: addio…”, sollecitando un sottile cortocircuito tra il concetto di grande Storia e quello di informazione mediatica. Moira Ricci per il progetto “Da buio a buio” (2009) a Ferrara, a cura di Andrea Lissoni, ha presentato frammenti di giornali e documentazioni varie, evocando le storie di strani personaggi, come l’uomo lupo, e sottolineando che spesso il concetto di appartenenza a un gruppo si genera solo evidenziando un’estraneità, un nemico. I video e le fotografie di Martina Della Valle mettono in luce le tracce lasciate dalla relazione tra singolo e ambiente circostante, la quale porta alla trasformazione di entrambi in una strana e particolare sintonia. Per la mostra collettiva “Re-Enacted Painting” (2007), a cura di Milovan Farronato, presso lo spazio Viafarini, Della Valle ha presentato un grande wallpaper con l’immagine “fantasmatica” della facciata di un palazzo segnato dalle tracce degli appartamenti del palazzo accanto appena distrutto. Enrico Vezzi effettua una riflessione sul paesaggio e sul concetto di Storia, evidente con l’opera Paesaggio italiano del 2009 esposta alla Galleria Vianuova di Firenze. Questo approccio gli permette di fare un’analisi sull’attualità e sul ruolo dell’arte relazionale e dell’arte politica oggi. Per la mostra “Emerging Talents” presso il Centro di Cultura Contemporanea Strozzina nel 2009 ha presentato un video in cui, assieme a un gruppo di persone, l’artista segue un botanico che descrive le piante e le loro tipologie, il quale è l’unico ad avere una torcia nella notte per cui le sue affermazioni non possono essere confutate, ma solo accettate. Eugenia Vanni documenta e stimola situazioni surreali per meglio riflettere sul rapporto tra contenuto e contenitore e sul concetto di viaggio (mentale e fisico), come è accaduto con le opere esposte nella personale “Ognuno sa ciò che l’altro pensa” alla Galleria Riccardo Crespi di Milano. Nel video Repetition is competition: azione diurna (2010), ottenuto dalla performance collettiva realizzata nella Scuola del Marmo di Carrara, l’artista ci fa osservare in maniera nuova il laboratorio pieno di copie in marmo, trasfigurato e rivitalizzato da luci stroboscopiche azionate dal martellio degli stessi studenti a lavoro. Gli interventi del gruppo Studio ++ (Fabio Ciaravella, Umberto Daina, Vincenzo Fiore) puntano a mettere in evidenza il processo con cui l’opera stessa si manifesta e si realizza. Questa attitudine li porta ad associare situazioni inconciliabili, come accade con l’opera Coraggio del 2009, in cui la lancetta di un semplice orologio al quarzo non può continuare a segnare il tempo visto che sbatte contro il bordo della base di marmo che lo sostiene. Irina Kholodnaya applica i codici della ricerca astratta geometrica, ancora molto presente in Toscana, a una riflessione sulla variazione delle tracce lasciate dall’esperienza quotidiana, indagando allo stesso tempo differenti tecniche, tra cui il formato libro e la progressione della perfezione matematica, fino a creare un’installazione, per la collettiva “Niente da vedere tutto da vivere” presso Vianuova, con grandi stoffe a terra su cui alcuni cerchi colorati definivano un sorta di linguaggio matematico a codici binari, corrispondenti ai nomi dei suoi tre nonni scomparsi. Jacopo Miliani indaga attraverso oggetti semplici i meccanismi che stanno dietro all’opera d’arte, istituendo un’atmosfera di attesa, tensione, incomprensibilità e inquietudine. Questo era il movente del progetto In a Room, a Dance presentato lo scorso ottobre alla Fondazione Lanfranco Baldi a Pelago, consistente nella canzone in loop Bandiera bianca che accoglieva i visitatori nella piazza in cui si trova lo spazio espositivo.
Una chiave di interpretazione per il futuro
Le attuali ricerche dei giovani artisti presenti in Toscana sono accomunate dalla stessa esigenza di riflettere sui meccanismi con cui viene percepito il reale sia a livello fisico sia mentale. Questo approccio, applicato nel territorio toscano, li costringe ad ampliare la questione sulla memoria collettiva verso una dimensione pragmatica di individuazione e rappresentazione o concretizzazione dello spazio fisico collettivo-condivisibile. Probabilmente la novità rispetto alle ricerche europee è che le loro opere non puntano a rappresentare il paesaggio, ma a progettare uno spazio possibile da riscrivere e da praticare a livello di comunità. Infatti, questo punto di vista è un’evoluzione del contrasto tra spazio osservato, spazio esperito e spazio da attraversare che è sempre stato una questione centrale fin dalla generazione degli anni Settanta (basti poi pensare alla famosa mostra “Volterra ’73”, e alle ricerche legate all’astrazione geometrica e sulla natura negli anni Ottanta) fino alle generazioni più recenti. Forse proprio questo tentativo di trovare un equilibrio tra la natura o il territorio in generale e le persone che lo vivono è da considerare la vera chiave di lettura con cui abbiamo potuto valutare al meglio le ricerche più valide presenti in Toscana oggi. Allo stesso tempo è anche una chiave interpretativa per osservare le evoluzioni e l’attualità degli artisti delle generazioni precedenti, come per esempio Paolo Parisi, Vittorio Corsini, Massimo Nannucci, Robert Pettena, Michelangelo Consani, Massimo Bartolini, ecc. Sarebbe interessante continuare a ritroso questo percorso per individuare nuove affinità e prospettive di ricerca nelle opere degli artisti dei decenni precedenti che, forse, negli anni in cui sono state prodotte erano sottovalutate o inaspettate.