Trisha Baga invita alla percezione di un tempo dilatato in cui l’esplorazione del reale coincide con la dimensione digitale, in uno specchiamento reciproco che può durare all’infinito. La sua mostra personale da Gió Marconi, “Time Machine”, propone l’annullamento del confine tra fisicità e alterità tecnologica e rende indistiguibile la differenza tra la tangibile concretezza di un presente esperibile e la dimensione mediata e moltiplicata offerta dall’interfaccia. La tridimensionalità dell’ambiente fisico si appiattisce insieme ai paesaggi immaginifici degli screensaver Mac e la figuratività della pittura diviene spazio di penetrazione.
In mostra le quattordici tele e le due sculture in ceramica si offrono allo spettatore in un allestimento essenziale, ma non didascalico. A prima vista, i dipinti appaiono come una successione di apparizioni sfumate da una cromia sottile e rimandano a una dimensione onirica, a tratti metafisica. Allo stesso tempo, la spinta surrealista che sembra dominare lo spazio della galleria diviene concreta nello specchiamento della freddezza di un reale manifestato dal righello che si staglia su una nuvola e della lampada al neon al centro di una galassia.L’occhio che guarda il quadro è lo stesso che quotidianamente scandaglia i contenuti che appaiono sullo schermo del computer: l’unica finestra apribile all’infinito su uno scenario diverso da quello della casa o lo studio nel periodo di reclusione forzata vissuto da ciascuno di noi nel 2020. Non si tratta tuttavia di un racconto postumo della pandemia, ma di una riflessione sul tempo, lo spazio e il corpo. L’artista dilata le impressioni di quel periodo con la distanza di un ricordo che sembra dissolversi.
I lavori prodotti nel 2022 hanno origine dalla riflessione avviata nel 2020 con il club di pittura P-Lub, composto da Baga, Lu Zhang e Herb Tam. Se l’attività condivisa nel primo anno ha prodotto dipinti collaborativi annunciati negli episodi di Virtual Studio Visit Loop (2020), le riflessioni dell’artista filippino-americana sono andate oltre. I dipinti rievocano la dimensione della quotidianità e non si distaccano molto dalla modalità con cui formalizza le sue più frequenti video installazioni tridimensionali. In lavori come There’s No “I” in Trisha (2005-2007/2020), la pittura ricreava lo sfondo di una narrazione condotta dal video e popolata da oggetti comuni. Nello slittamento al piano bidimensionale della tela, quella composizione è ricreata solo attraverso un trattamento stratificato e luministico del mezzo pittorico.
Cuore della mostra, l’autoritratto in studio BIG MIRROR BIG MIRROR (2022), in cui si assiste a una fluttuazione dell’oggetto e del soggetto in un’atmosfera di sospensione data dal riflesso della figura umana nello schermo e dalla corrispondenza tra esterno e interno. Il senso di estensione temporale è bilanciato dalla forza centripeta che sembra risucchiare senza distinzione ciò che è “dentro” il monitor, quello che vi si specchia e le altre tele esposte nello spazio. Il concetto di specchiamento diviene fondamentale, non c’è una presenza tangibile in uno specchio come non c’è nello schermo: tutto è proiezione e rappresentazione di sé, come nella produzione video che può frantumare la veridicità dello spazio e del tempo percepibile e moltiplicare i livelli di realtà. Le tele ricreano quello stesso tipo di raffigurazione interattiva, stratificata, affrontata con differenti registri.
Sulla parete destra prendono posto i paesaggi, tra cui CATALINA (2022), nome di uno dei sistemi operativi macOS, quasi a dichiarare la derivazione digitale dell’unica raffigurazione priva di elementi specchianti, dominata dal trattamento della geometria della montagna che si ricompone con l’uso degli occhiali 3D. Oppure SLEEP MODE e VOLUME (entrambi 2022), in cui l’iconografia Apple è contaminata ma arricchita dall’esterno: nel primo caso sembra che la Via Lattea sia una proiezione mentale che occupa la stanza dal letto, con le lampade da notte assunte a nuove supernova; nel secondo, il dichiarato riflesso dei neon del soffitto si fa punto di fuga e simbolo di un’assoluta compenetrazione di artificiale e reale. Sulla parete sinistra, l’artista espone TIME MACHINE 2016 e TIME MACHINE 2045 (2022), tra i quali installa, quasi a creare una cesura, SO SOWLY, SO SLOWLY (2022).
Le prime due opere presentano la medesima composizione, ma una gamma cromatica più accentuata e calda nella proiezione futuristica; in entrambe le stesse finestre digitali si propagano come quelle aperte sulla città: una New York in cui l’atmosfera invernale del 2016 diventa tropicale nel 2045. SO SOWLY, SO SLOWLY, invece, materializza la delicata rappresentazione di un corpo femminile raggomitolato su sé stesso, in una rifrazione che sembra comporre una silente e tetra coreografia. La macchina del tempo non può funzionare senza un essere umano che la metta in moto. Che le riflessioni di Baga invitino all’interruzione del flusso di moltiplicazione automatizzata?