Maurizio Cattelan: La tua prima mostra… mi pare sia stata in Danimarca, vero?
Piotr Uklanski: Non so di cosa stai parlando.
MC: Parlo di The Full Burn. Ho visto la performance nel 1998 alla mostra di artisti “europei” a Manifesta 2. Solo due anni dopo eri fra gli artisti di “The Americans. New Art” al Barbican di Londra. Sei un “vecchio europeo” o un “nuovo americano”?
PU: Che ne pensi di un “nuovo europeo”? Le truppe polacche — a proposito, anche quelle italiane — non sono forse schierate in Iraq?
MC: Ti identifichi come un artista polacco?
PU: Sì. Non penso ci siano da fare tanti panegirici. Il luogo d’origine fa parte di te, non importa come tu intenda considerarlo. Allo stesso tempo trovo la discussione sui temi relativi all’identità nazionale sempre meno interessante. Sembra che adesso sia divenuta solo un’espressione da pubbliche relazioni. Sai, i padiglioni nazionali, le quote internazionali alle biennali… Avere la nazionalità giusta può dimostrarsi molto vantaggioso.
MC: Quindi credi che l’essere polacco abbia aiutato il tuo lavoro? Intendo dire, è stata una buona pubblicità?
PU: Beh, ho pensato che se non avessi avuto il maggior numero di mostre nel più breve tempo possibile, allora avrei dovuto diventare americano.
MC: The Nazis è un lavoro sull’Europa o su Hollywood?
PU:…
MC: Ami la polemica?
PU:…
MC: Quando hai presentato The Nazis a Londra, la stampa ebraica e l’Evening Standard hanno protestato contro la mostra. A Varsavia mi pare che uno degli attori polacchi sia venuto alla tua mostra e abbia tagliato la sua fotografia con una spada, come trovata pubblicitaria contro di te.
PU: Sì, è stata per me un’esperienza traumatica, specialmente perché non è venuta a me l’idea di mettere in scena una cosa simile, ma è stato lui a brandire la spada per primo.
MC: Credi che questo tipo di attacchi siano una forma di critica d’arte?
PU: È così difficile decifrare la differenza tra “critica” e marketing di questi tempi.
MC: A questo proposito: nell’ultima edizione della Biennale hai fotografato i curatori. Si è trattato di marketing o di critica? Alcuni dei curatori si sono insospettiti?
PU: Come per i ritratti su commissione che faccio, credo che, quasi sempre, i soggetti sappiano esattamente cosa otterranno. E questo è proprio il motivo per cui decidono di farsi ritrarre. È una sicurezza: un ritratto dove puoi a stento identificare il soggetto. Non mette in questione l’immagine che hanno di loro stessi.
MC: Hai fatto anche alcuni autoritratti Untitled (Bursting Tiger) o Untitled (Self-portrait with a Mohawk). Sono in relazione con gli altri ritratti o con The Nazis? In un certo modo si tratta ancora di costruire delle identità. Come in quell’immagine del teschio, quella specie di foto in cui Playboy si mescola a Dalì.
PU: (ride) Sì, Hugh Hefner e Dalì, a volte è difficile distinguerli. Comunque credo che lo sfruttamento, l’uso di se stessi, l’assegnazione di un ruolo e la sovraesposizione siano modelli molto potenti.
MC: Quindi stavi sfruttando anche quella curatrice francese sulle pagine di Artforum lo scorso settembre?
PU: Cercavo di fare del mio meglio.
MC: Si trattava anche di vanità o di soldi e compromessi? O solo di sesso?
PU: Si trattava del culo della curatrice.
MC: Parlami della sincerità del tuo lavoro.
PU: Mi ricordo un commento su Wet Floor in una recensione, in cui l’autore s’interrogava in maniera retorica su quali particolarità differenziassero le burle di Piotr Uklanski da quelle di Maurizio Cattelan. Sono sicuro che fosse un complimento.
MC: No, non lo era.
PU: Sì che lo era.
MC: Parliamo delle immagini. Le tue foto di tramonti, fiori, montagne, luci urbane, o anche i collage di fulmini ed eclissi: sembrano tutte fotografie commerciali. Non sarebbe stato più facile usare immagini preesistenti?
PU: Sono un fanatico del lavoro. Ho bisogno di compiti impegnativi per passare il tempo.
MC: Questo suona come qualcosa che avrebbe potuto dire Alighiero Boetti. Ti piace Boetti? Per qualche motivo i tuoi collage mi fanno pensare a lui.
PU: Sì. I miei lavori con i residui di matite appuntite mi fanno pensare al primo Arman, Wet Floor a Lynda Benglis, i pannelli di Cross-Eye a Michael Snow e il Dancefloor a Carl Andre.
MC: Giusto. Ti ispiri anche al lavoro di altri artisti? Il teschio deriva da Dalì, non è vero?
PU: Un’idea rubata non rende l’opera automaticamente debole. Spesso la migliora. Dovresti saperlo.
MC: Non ti senti la coscienza sporca?
PU: Sempre.
MC: Parlando del consumo di tempo, tutti i tuoi lavori sono manufatti molto rifiniti. Tuttavia, in qualche modo, l’immagine che ottieni è banale, intendo dire in senso positivo.
PU: È frutto della mia insicurezza. Il manufatto compensa il consumatore che deve sopportare la banalità del contenuto.
MC: Interessante. Cos’altro puoi dirmi?
PU: …(tossisce).
MC: Di cosa tratta il tuo lavoro? Una volta hai detto che riguarda la terra, il vento e il fuoco. Non è un po’ New Age?
PU: Cattolico, in realtà.
MC: Quindi qual è il significato del tuo lavoro? Ti preoccupi di quest’aspetto? Del Dancefloor la gente dice che è una scultura sociale e di The Nazis che riguarda la violenza e dei collage, probabilmente, la bellezza banale.
PU: Non mi interrogo sul senso dei lavori, questo riguarda lo spettatore. Quando sei piccolo vuoi fare il pompiere, il dottore, il poliziotto, il calciatore, tutto nella stessa vita. Per rispondere alla tua domanda, voglio essere tutto questo: un modernista, un post-minimalista, un pop-concettuale, un fotografo, un dilettante, la musa di un pittore, un artista politico come Boltanski e un regista come Polanski.
MC: A proposito di Polanski: non c’è molto sesso nel tuo lavoro. Ho notato che non sono molti gli europei che usano il sesso. Pare che ci piaccia di più la morte. Che ne pensi?
PU: Non credo che la questione sesso/morte riguardi il binomio europei vs americani. Credo che sia più relativo all’età delle persone.
MC: È vero che Polanski scriverà un testo in un libro sul tuo lavoro?
PU: Sì.
MC: Perché? È un buon scrittore?
PU: Non riguarda la scrittura ma piuttosto una certa posizione che lui rappresenta.
MC: Quale? Quella di polacco immigrato?
PU: Aspetta di leggere il testo.
MC: È strano che tu non abbia fatto più sculture. Credo che lavori come Cross-Eye, Wet Floor o Dance-floor siano da considerarsi tali ma sono tutti abbastanza “piatti”.
PU: Sono un artista piuttosto bidimensionale.
(Butta giù la cornetta del telefono).