Nell’ultimo mese, in seguito alle aste di ottobre a Londra e alla Frieze Art Fair, i media, in modo più o meno esplicito, hanno lanciato segnali di allarme verso il mercato dell’arte contemporanea, per taluni fenomeno finanziariamente ancora poco attraente in Italia, certamente più maturo e appetitoso all’estero, che ha peculiarità proprie e si muove secondo logiche non così facilmente riconducibili a quelle speculative. Infatti, il 7 novembre, sono bastate tre opere invendute di Van Gogh, Gauguin e Picasso (qualitativamente modeste) all’asta newyorkese di Sotheby’s per far registrare una perdita del 38% al titolo della famosa casa d’aste: immediatamente si sono generate aspettative al ribasso da parte degli acquirenti, che hanno pesato sulle aste della settimana successiva. Molti quotidiani hanno riportato la notizia puntando l’attenzione sul flop del risultato, e se il fenomeno “dell’invenduto d’eccellenza” si fosse ripetuto, pur rimanendo nella sfera dell’eccezione, gli effetti sarebbero stati più pesanti e persistenti. Ma, a parte il fatto che l’informazione dovrebbe essere riportata nella maniera più completa, nessun giornale ha sottolineato gli altri ottimi risultati della stessa asta, o dell’asta serale dell’8 novembre da Christie’s, che ha stabilito nuovi record e registrato pochissimi invenduti.
Potremmo continuare a focalizzare l’attenzione sugli impressionisti e su Van Gogh, ma in questa sede vorrei soffermarmi sull’analisi del contemporaneo. Quali sono i suoi segnali più interessanti? I Rothko da 30 milioni, i Bacon da 50 milioni o i Koons da 20 milioni di dollari? Questa è senza dubbio la fetta grossa che sta sostenendo il mercato dell’arte, ma l’attenzione deve spostarsi su risultati più contenuti e più significativi, descrivibili con impennate che portano artisti più o meno affermati degli anni Settanta alle quotazioni dei nostri Fontana e Manzoni.
Quale è il senso di una top ten del contemporaneo? Non credo nelle classifiche, in quanto ritengo che non siano adatte al mondo dell’arte: nell’ultima di ArtReview, ad esempio, non compare nemmeno un nome italiano, e non siamo sicuramente al centunesimo posto. Anche il valore di un artista non è misurabile esclusivamente attraverso le sue quotazioni di mercato, in quanto la domanda è soggetta a molte variabili, specie se questa cresce a dismisura. Alcune di esse sono semplici da individuare: una grande mostra personale presso un’istituzione importante, una galleria di riferimento influente, il supporto della critica, la presenza in qualche biennale, a documenta o a Manifesta, o più semplicemente una mirata produttività che ha come conseguenze liste d’attesa, opere introvabili e dealer che selezionano i compratori con criteri discutibili.
Ma passiamo a qualche esempio concreto. La pittura costruttivista e astratta di Mark Grotjahn, classe 1968, ha raggiunto il risultato di 937.000 dollari nell’ultima asta newyorkese di Phillips de Pury del 15 novembre (il precedente record di 537.787 dollari risale all’asta londinese di ottobre). La sua prima tela era andata in asta lo scorso maggio a New York (stima di partenza: 40.000-60.000 dollari): l’opera fu battuta per 360.000 dollari, aiutata dallo spazio dedicatole in una vendita serale e dalla presenza in sala di alcuni grandi collezionisti del contemporaneo.
Nessun collezionista di Mark Handforth, americano classe 1969, immaginava di comprare le sue sculture per 10.000-15.000 dollari da Gavin Brown e da Franco Noero e poi vederne le stime quintuplicate fino alla cifra di 150.000 dollari. Mark Handforth era per molti un artista “comune”, per altri un bravo artista che ha saputo mantenere un ottimo equilibrio tra la sua visione della storia dell’arte e i riferimenti al proprio vissuto personale.
Le ascese da record di Rudolf Stingel e Anselm Reyle
Non si hanno sorprese solo con artisti alle prime apparizioni in asta, ma anche con quelli dalla carriera decennale, come Rudolf Stingel, americano, italiano d’adozione, classe 1956, che ha raggiunto negli ultimi anni una certa notorietà senza però mai essere consacrato dal mercato, nonostante la presenza al suo fianco di gallerie importanti come Paula Cooper a New York e Massimo De Carlo a Milano. Nel 2007 le sue opere hanno raggiunto cifre elevate, e il suo record è recentissimo: 1.945.000 dollari per uno dei suoi lavori più belli e poetici, le impronte sulla neve. L’opera è stata venduta triplicando la stima massima da Phillips de Pury (New York) a novembre (segue il risultato di 1.217.000 dollari da Christie’s, il doppio della stima di partenza). Stingel inizia la sua ascesa nel 2005, facendo registrare risultati via via sempre più alti fino al primo stacco nell’ordine di 132.000 dollari da Phillips, con una tela degli anni Ottanta (maggio 2006) e con un insolito lavoro in polietilene rosa del 1999, battuto per 225.000 dollari a Londra in ottobre, raddoppiando la stima di partenza. Un’ascesa altrettanto rapida è stata quella di Anselm Reyle, artista tedesco, scoperto dalla promettente galleria Giti Nourbakhsch di Berlino e ora nelle mani di Gagosian. Cosa che non sorprende, visto il suo record di 635.000 dollari ottenuto da Christie’s a Londra (stima iniziale: 35.000-50.000 dollari). Le sue composizioni a strisce, ispirate contemporaneamente a Ellsworth Kelly e ai canali di prova televisivi, hanno registrato risultati tra i 300.000 e i 490.000 dollari tra ottobre (Londra) e novembre (New York) da Christie’s e Sotheby’s. Un’impennata, considerando che la sua storia nel mondo delle aste comincia in una Saturday@phillips nell’ottobre del 2006 e raggiunge, solo 6 mesi dopo e sempre da Phillips, i 192.000 dollari.
Steven Parrino ha purtroppo trovato la sua fortuna solo dopo la morte prematura nel 2005 e la sua presenza alla Biennale del Whitney del 2006, che lo ha consacrato figura di riferimento per un’intera generazione. Sembra impossibile che una sua tela, Silver Surfer del 1987, sia rimasta invenduta nel 2002 da Sotheby’s Olympia (stima di 2.000-3.000 dollari), per poi raggiungere la cifra di 390.000 dollari lo scorso maggio da Phillips. Il suo recentissimo record, con Blue Idiot (1986), è di 657.000 dollari.
Il fenomeno Banksy
È ormai noto e altrettanto misterioso il fenomeno Banksy, alimentato dal passaparola e dalla curiosità generatasi attorno allo street artist dall’identità nascosta. Tutti ingenuamente alla ricerca del nuovo Basquiat hanno riportato su tela i suoi murales a spray realizzati negli ambienti underground di Londra, nel grottesco tentativo di riuscire a venderli al metro. Forse la presentazione è cinica, ma l’impressione rimane: Brad Pitt e Jude Law lo acquistano, o così raccontano i giornali, e le sue opere arrivano in asta senza intermediari di settore con cifre record di 660.000 dollari (Sotheby’s, Londra). L’opera è The Rude Lord (2006), un quadro raffigurante un personaggio d’epoca che mostra il dito medio allo spettatore.
Il fenomeno del passaparola è determinante, soprattutto quando parte da mercanti o collezionisti di rilievo, i cosiddetti trand maker, come François Pinault o Charles Saatchi. Non siamo più ai livelli di “Sensation”, di cui possiamo già vedere i risultati, ma in esposizioni come “The Triumph of Painting” (2005) o “USA Today” (2006) l’attenzione su alcuni artisti può essere stata senz’altro manipolata. Non a caso, artisti come Peter Doig, Rudolf Stingel, Mark Grotjahn e Anselm Reyle hanno fatto parte di questa mostra; ma non solo, anche quelli alle prime esperienze nel mondo delle aste come Dana Schutz, Amy Sillman e Lucy McKenzie hanno un buon potenziale di crescita; altri, come Hernan Bas, Jonathan Meese, Franz Ackermann e Tal R sono invece in costante ascesa. E se fondate e ponderate sono state fino ad oggi le scelte di Pinault, non da meno si sono dimostrate quelle di altri collezionisti privati che hanno consentito a un pubblico più ampio di conoscere gli aspetti più intimi del collezionista, la sua personalità o le politiche più argute, decidendo di vendere le loro raccolte sul mercato internazionale: è il caso di “The Veronica’s Revenge” di Marion Lambert, che includeva una collezione di altissimo livello di sola fotografia contemporanea con una vendita del 100% dei lotti; o delle più recenti collezioni di John L. Steward, innamorato delle avanguardie russe, di Howard Farber, collezionista di arte cinese, o della Collezione Golinelli, eclettica e giovane (tutte in asta da Phillips de Pury a Londra); della Pierre Huber Collection, che mostrava il vero cutting-edge in vendita da Christie’s a New York lo scorso febbraio, o della Cap Collection, battuta a giugno da Christie’s (Londra).
Il vero impasse del mercato dell’arte contemporanea è sapersi muovere in questa giungla, senza pensare a quanti nuovi mercati, come quello cinese, russo e indiano, detengono un potere di incidenza impensabile fino a qualche anno fa.
Per quanto concerne la mia esperienza, ripensando alle collezioni di chi ha scommesso sul contemporaneo, i punti di partenza sono stati la ricerca della qualità, la passione e l’istinto, diffidando delle speculazioni e dei rumors di settore.