La retrospettiva di Urs Fischer, che comprende le opere dagli inizi negli anni Novanta a oggi, si apre nell’atrio di Palazzo Grassi con l’istallazione Madame Fisscher. L’opera, da cui prende nome l’intera rassegna, curata dall’artista insieme alla curatrice Caroline Bourgeois, allude a Madame Tussauds, la creatrice del museo delle cere, ma strizza l’occhio a Rrose Sélavy di Duchamp. Nel percorso della mostra, in cui le opere vengono disseminate secondo una logica che esprime la vivace e ironica personalità dell’artista, siamo messi di fronte alla ricchezza dell’opera di Fischer. L’artista, non rinunciando a sorprenderci anche mentre ci spostiamo nei percorsi obbligatori e sulle scale, riflette con umorismo e ironia paradossale sullo stato dell’arte e in particolare sulla scultura, sul rapporto tra l’oggetto e la sua immagine, sul rapporto tra il corpo umano, la natura e la sua rappresentazione. L’artista medita sulla indeterminatezza e sul movimento, nutrendosi spesso della storia dell’arte, ma anche della poesia, della musica e di film assurdi e noir come La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati o Drive, He Said di Jack Nicholson, presenti nelle due piccole sale cinematografiche allestite all’interno della mostra. L’artista così coglie l’occasione di creare un insieme di opere, costruendo una mostra multiforme, quasi come se fosse un’opera d’arte, una specie di Gesamtkunstwerk che metabolizza e attinge da Franz West, Martin Kippenberger, Paul McCarthy, Thomas Hirschhorn, ma anche da Salvador Dalì e Jean Tinguely. Concentrandosi su vari aspetti della scultura contemporanea, Fischer parte da essi per creare un passaggio tra gli oggetti pop, i calchi sospesi dei frammenti del corpo umano, le composizioni surreali con verdure, torte e altri alimenti destinati a decomporsi nel corso della durata della mostra.
La mostra è densa di cambiamenti inaspettati che riflettono il mondo complesso e ludico dell’artista. Si passa così dal pieno al vuoto, come suggerisce Fischer “nella scultura puoi o aggiungere o togliere”. Frammenti di figurazioni in gesso, oggetti in cera, in polistirolo, sculture in alluminio, oggetti trovati, un frigorifero con oca e gatto ricoperti da un’uniforme patina bianca. E ancora, appunti, schizzi e modellini esposti sulle pareti, fogli stracciati e trattati come spazzatura, serigrafie surreali e iperrealiste che ritraggono bellissimi volti femminili attraversati da chiodi giganti, chiodi giganti appoggiati contro la parete che creano l’ombra suggeriscono il rapporto tra oggetto e immagine. La modella in carne e ossa in Necrophonia, installazione creata in collaborazione con Georg Herold, si misura e si colloca accanto agli oggetti e alle sculture in alluminio. Le sculture-candele, l’autorittratto e il ritratto dell’amico artista Rudolf Stingel si sciolgono non sempre casualmente, ma secondo un sistema ben calibrato e controllato. Dopo, rischiamo di inciampare nella scatola accartocciata di sigarette Camel che si muove appesa su un filo quasi impercettibile trascinata da un braccio meccanico, apparendoci magicamente leggera sotto i nostri piedi, mentre attraversiamo una stanza del palazzo apparentemente vuota. È un percorso attentamene creato per il visitatore che potremmo paragonare allo slam, poesia della strada che esiste solo nella forma orale, e che ha la funzione di metterci in guardia o richiamare la nostra attenzione (slam in inglese significa letteralmente schiaffo).
Fa parte dalla mostra anche il progetto speciale creato da Fischer insieme agli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, che prevede la creazione e il posizionamento di sculture di argilla in vari luoghi della città, che si dovrebbero disintegrare con il trascorrere del tempo.