Celeste, Rita, Eva, Dobrochna, Amalia, Eleonora. E poi Giulia. Sono loro le protagoniste dell’educazione sentimentale di Valerio Rocco Orlando, documentata nei suoi lavori video, veri e propri ritratti femminili in movimento di donne belle e affascinanti, eleganti. E molto, molto, contemporanee: sospese tra un ideale nobile di perfezione e il richiamo del glam. Ma anche voci, musiche, parole, respiri di esistenze tutte declinate al femminile. Celeste (2002) è un’Alice nel Paese delle Meraviglie con ombrellino e altalena, Rita (2003) è una trasformista di se stessa dalla bellezza camaleontica, Eva (2004) — che riconosciamo subito come la modella Eva Riccobono, ma non sembra interessarci più di tanto — sospesa tra un prima e un dopo, Dobrochna (2005) è la giovane donna destinata a essere madre, Amalia (2006) canta ammaliandoci, Eleonora (2006) cammina passo dopo passo misteriosa. Solo e soltanto loro, eroine di oggi, guardate, spiate, ascoltate e, con rispetto, comprese da Valerio Rocco Orlando, milanese, classe 1978. L’artista le filma con camera a mano, eleganza e cura per il dettaglio, senza distogliere quasi mai l’attenzione dal loro primo piano, escludendo tutto il resto, mondo maschile in primis. Sono cammei parlanti, dotati di parole che sembrano rumori di sottofondo, capaci però di trasmettere verità e segreti: l’improvvisazione jazz di Amalia, affascinante lady in red, il ritornello stonato di una canzonetta di Tiziano Ferro ripetuto malinconicamente da Eva, appollaiata alla finestra sullo sfondo di una notte newyorkese, la favola per bambini sussurrata con dolcezza da Dobrochna nella sua lingua madre. Ognuno dei sei video è stato realizzato autonomamente a partire dal 2002, e soltanto quest’anno in occasione della mostra personale alla Galleria Maze di Torino sono stati ricomposti e presentati in un’unica installazione, The Sentimental Glance. Affascinante il risultato finale, che testimonia la forza sentimentale dello sguardo dell’artista nei confronti dell’universo femminile e la capacità di addentrarsi nel suo mistero. Ultimo ritratto in movimento di Valerio Rocco Orlando è quello di una bambina, Giulia, protagonista insieme al fratello gemello Giacomo del lavoro più recente, Bisiàc, commissionatogli da Andrea Bruciati in occasione della personale in programma a gennaio alla Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone. Qui le voci sono il sussurro di una filastrocca, cantata in un dialetto che sta scomparendo, il bisiàc, e un tono più forte, il rumore assordante del fiume. Attraverso il lavoro sulla lingua, l’artista si tiene vicino allo spazio che lo ospita, per celebrare la sua prima opera su commissione: il bisiàc è originario del territorio della provincia di Gorizia, delimitato dal Timavo (a est) e dall’Isonzo (a ovest), prossimo a Monfalcone.
Per la prima volta Valerio Rocco Orlando abbandona la dimensione intima a due dei suoi video precedenti per confrontarsi con una storia e una realtà corale e plurima. Bisiàc è una grande installazione incentrata sul tema della malinconia, quella delle cose che stanno scomparendo, come un dialetto o le tradizioni popolari. Su uno schermo vediamo i due bambini vestiti con gli abiti tradizionali locali intonare filastrocche nel dialetto bisiaco e giocare nelle acque d’argento dell’Isonzo. Lo stesso di Ungaretti, simbolo di un passato doloroso di guerra e di divisioni. Giocano con i ciottoli rotondi e levigati, cantano, mentre il rumore dell’acqua (sul secondo video) che scorre incessante da sempre, registrato in presa diretta, si fa portavoce di un racconto universale che copre e sovrasta le voci infantili, portandosele via, insieme a chissà quante mille altre parole, dette e gridate in altri mille idiomi. Come sempre l’artista riconferma di saper dare voce, ma soprattutto sentimento, alla bellezza pulita, quasi cinematografica delle sue immagini, che lo spettatore non può non ascoltare e vivere.