Veneto, Veneto, Veneto. La locomotiva d’Italia, la sacrestia del Bel Paese, la terra della Lega. Un luogo pensato spesso per luoghi comuni, dove amano andare gli inviati speciali dei grandi giornali per capire dove si addensa parte della ricchezza mondiale. Il Veneto è una megalopoli inconsapevole, con 5 milioni di abitanti, estesa come Los Angeles, con sette province, emblema della città diffusa, come scrive Richard Burdett: 2.500 zone industriali, 340 musei, 450.000 imprese, 15.000 SUV e un reddito pro-capite tra i più alti al mondo.
La sola provincia di Vicenza esportava nel 2001 quanto la Grecia e il Portogallo insieme. Un’incredibile piattaforma economica che riserva un’altrettanto curiosa e bulimica capacità di produzione contemporanea in un atipico, quanto fortunato, dialogo tra design, produzione, arte e invenzione. Qui vengono pensati e prodotti quasi tutti i grandi marchi dell’abbigliamento: da Diesel a Replay a Gas, dalla Maison Margiela a Bottega Veneta, da Diadora a Benetton, alle nuove collezioni di Yamamoto. Lo stesso vale per il design: dagli storici vetri Venini alle nuove forme di Foscarini, dalla sperimentale Magis alla rombante Aprilia, alla sicurezza di Dainese, al lusso di Bisazza. Una densità incredibile, che fa formulare l’idea che ci troviamo nel cuore dell’industria creativa mondiale. Dato ammesso anche dalla Comunità Europea, ma non ancora riconosciuto internamente. Ed è per questo che il Veneto ha sempre un vago retrogusto di provincia della provincia.
E l’arte contemporanea? Dando per assodate le realtà storiche, come la Biennale di Venezia (con le sue criticità, le sue declinazioni, la sua insularità e la sua storica chiusura autoreferenziale), le Fondazioni (Collezione Peggy Guggenheim, Bevilacqua La Masa, Querini Stampalia) e qualche Palazzo (da Palazzo Grassi a Palazzo Forti, al Museo Castelvecchio), esistono pochissimi progetti contemporanei affermati. Le gallerie sono ancora rose senza spine (da segnalare la Galleria ArteRicambi per il coraggio), le fiere senza una progettualità definita (la più importante è Art Verona), i centri indipendenti pochissimi; gli artisti invece sono molti, unica nota davvero positiva. Tra gli indigeni famosi, come Maurizio Cattelan, Elisabetta Di Maggio e Grazia Toderi, sta nascendo una nuova generazione post Lara Favaretto, tra cui Nico Vascellari e Luca Trevisani. E su quella si innesta il lavoro di mappatura e rilancio della benemerita Fondazione Bevilacqua La Masa, con le residenze e il Premio annuale riservato a giovani artisti.
Ma è soprattutto un atteggiamento generale che si sta generando. Anche grazie a una visione, poco istituzionale ma efficace, della Regione del Veneto che sta sostenendo il nuovo fermento underground. C’è infatti una grande voglia di contemporaneo. Stanno nascendo collettivi tra l’arte e il design, come i giovani Fram_menti o Start-up a Castelfranco Veneto (TV), nuovi spazi, Interzona di Verona con il suo ultimo ciclo sulla nuova video arte italiana o i 400 mq di Monotono a Vicenza. Nuove fondazioni, tra pubblico e privato, come la Fondazione March di Padova, costituita da Silvia Ferri De Lazara e Porsche Italia, stanno realizzando progetti con continuità. Agli incontri serali di Fuoribiennale, per il ciclo “Creative R’Evolution”, con artisti, architetti, curatori (da Rem Koolhaas a Bruce Sterling a Gilles Clément) arrivano anche 350 persone. Una villa veneta è diventata la sede di C-4, il primo centro italiano di formazione per l’arte contemporanea dedicata ai manager, con progetti, tra gli altri, di Olafur Eliasson, Dan Graham o Lucy + Jorge Orta. E sei grandi aziende locali, da Trend a Arclinea, sono starting partner di una triangolazione con il Guggenheim di Venezia, Unicredit e Regione. Un macello di fine Ottocento, l’Archivio Bonotto, sul ponte di Bassano del Grappa sta diventando un grande centro d’arte, con una collezione-archivio in progress di 4.000 lavori Fluxus e uno spazio temporaneo dedicato a giovani artisti. Per il ponte nuovo c’è un concorso internazionale che tra gli invitati annovera Zaha Hadid e David Chipperfield. Un mulino dei primi del Novecento, il 503 di Dainese, è diventato un centro espositivo tra arte e design, mentre il magazzino Dainese, detto il cubo nero, è un imponente landmark territoriale. Una fabbrica come Sinv Holding, che produce Moschino e Dimensione Danza, in giardino ha la casa del vento di Steven Holl, quella in cui vive Richard Tuttle nel New Mexico, e negli show room di abbigliamento espone progetti speciali realizzati da giovani artisti, scelti con Franco Noero. Piccole zone industriali, come la Zermeghedo, chiamano il Gruppo A12 per inventare una barriera idrologica, ma artistica; vecchie fornaci, come quella per l’Innovazione di Asolo, diventano incubatrici di imprese creative ma anche sedi di mostre e di formazione al contemporaneo.
Ville venete si trasformano in “fabbriche del sapere” tra arte e danza, con programmi di residenze e progetti site specific come la palladiana Da Porto di Montorso Vicentino, o Villa Pisani che si lascia sedurre da interventi di Michel Verjux, e che ha già in programma un denso calendario di interventi di artisti internazionali. Ci sono luoghi come la vecchia tipografia dei Rumor che oggi sono la sede dello studio Flavio Albanese, grande collezionista e Direttore della rivista Domus, un continuo punto di riferimento per molte discipline. E tra le villette a schiera e le grigie zone industriali non mancano esempi di architettura come quella di Alvaro Siza, o di Massimiliano Fuksas per la distilleria Nardini, una delle più antiche aziende del mondo che si rinnova con un segno architettonico. E luoghi magici come la Fabbrica Alta di Schio, sede della prima industrializzazione italiana, con i suoi 12.000 mq e 5 piani, si sta reinventando con una dismissione creativa.Insomma, non solo e non più l’idea del museo d’arte come panacea di tutti i mali, ma soprattutto l’idea che solo attraverso la triangolazione tra un territorio, le sue risorse economiche e la contemporaneità possa succedere qualcosa di nuovo. E inaspettato. Che cambi la vita della gente prima che l’arte. Un grande e unico distretto culturale evoluto, per citare le ricerche illuminanti di Pierluigi Sacco. Il Veneto oggi ha la pretesa, ma soprattutto la voglia di chiamarsi Innovetion Valley, il luogo a più alta densità per metro quadro di industrie creative, ovvero diventare uno dei veri hot-spot europei. Collegatevi.