22 marzo 2019, TILE Project Space, Milano. La Musa addormentata di Brancusi si sveglia. La ragazza ora è insonne, travagliata, ma vigile. Un gesto semplice, svegliarsi, che ci vuole? La maggior parte di noi lo fa tutte le mattine senza particolare sforzo. Allora perché si ha l’impressione che Ragazza insonne di Viola Leddi, nel misurarsi con le forme dell’iconica scultura del 1910, alterandole, provochi un cortocircuito?
Tra le problematiche che interessano Viola Leddi c’è quella della rappresentazione delle donne nella storia dell’arte occidentale e, più in generale, nell’immaginario collettivo contemporaneo derivato da un retaggio culturale d’estensione secolare. Una fra le iconografie più frequenti è quella della donna che dorme. Donne immerse in sonni profondi, in catalessi, quasi morte (talvolta per davvero) costellano il firmamento artistico e letterario occidentale e disseminano il terreno della cultura popolare, alimentando perversi fantasmi del possesso1. Nelle fiabe, fonte da cui l’artista spesso attinge spunti di riflessione, la figura della giovane donna addormentata è proposta a più riprese: Biancaneve morde la (biblica) mela e cade in catalessi; Rosaspina si punge il dito con il fuso di un arcolaio e cade in catalessi. Un bacio non richiesto e le dormienti si svegliano e, “come d’incanto”, non sono più bambine. Sono donne adulte, pronte alle nozze. Cosa ne è stato della pubertà, delle prime mestruazioni? Ci è forse sfuggito qualcosa? Cosa nascondono i sonni incantati, i prolungati stati di letargia e incoscienza che espongono queste giovani agli approcci indesiderati del primo che passa?
Un meccanismo di sostituzione è in atto. Il sonno rimpiazza quella fase critica della vita di una donna che è la transizione dall’infanzia all’età adulta, un passaggio guardato con inquietudine a livello collettivo e messo al centro delle ricerche artistiche recenti di Leddi – vedasi il ciclo delle “Creature adorabili” (2019) o Pigiama Party (2021). L’emergere della sessualità femminile, concepito come un fenomeno da controllare e contenere, tende a essere storicamente occultato, rimosso dalla cultura visiva e narrativa occidentale. Senza attraversare l’adolescenza, queste donne-bambine sono improvvisamente pronte a entrare nel ruolo (di sposa, madre, serva, eccetera) confezionato su misura per loro da secoli di tradizione patriarcale. E per coloro che a entrare nella parte non sono pronte, coloro che non si sottomettono o il cui carattere presenta ancora dei lati forti, “da smussare”, esiste sempre un rimedio: la mutilazione, metafora della violenza che l’inserimento nel ruolo comporta. Così, nel momento in cui devono indossare la scarpetta e dimostrare in questa maniera di essere adeguate al matrimonio col principe, le sorellastre di Cenerentola si vedono costrette a mozzarsi delle parti del piede2.
La ragazza senza sonno di Leddi resiste a questo meccanismo narrativo/rappresentativo e insieme alla mutilazione; vive appieno il manifestarsi della propria sessualità, stravolta dalle pene d’amore e dalle pulsioni erotiche che la attraversano e la tormentano. Nella sua insonnia, si discosta dalla tradizione in cui s’inserisce un lavoro come quello di Brancusi e di chi, come lui, ha fatto della donna addormentata un’icona dell’arte moderna. Scrivo “donna” ma, come il titolo dell’opera indica chiaramente, il soggetto di Brancusi non è una donna, è una musa: uno tra gli intramontabili miti della cultura occidentale che hanno concorso a marginalizzare e annichilire la soggettività femminile nel processo creativo. L’immanenza della ragazza senza sonno smaschera il meccanismo di oggettificazione storicamente insito nel sistema dell’arte, volto a ridurre le donne a sussidiarie erogatrici di servizi (la compagna, la custode, la modella, la spettatrice per eccellenza3) o a tramutarle in simbolo (la musa ispiratrice, l’oggetto dello sguardo o del desiderio, l’opera d’arte stessa4): involucri svuotati di carattere, volontà e vita propria.
Nell’opera di alcuni esponenti del realismo magico italiano, l’analogia tra il corpo femminile e il modello o opera d’arte è resa spesso esplicita. Basti pensare a lavori come Le amiche di Ubaldo Oppi (1924) o Lo studio, dipinto maledetto di Felice Casorati (1922), che Viola Leddi cita in Pigiama Party riducendoli in brandelli o traducendoli in presenze spettrali. Questa operazione problematizza la tradizione iconografica in cui s’inseriscono i lavori in questione, rivelando la violenza latente a cui sono soggette le figure femminili rappresentate. I fantasmi delle stesse fanno la loro apparizione in un inquietante interno domestico immerso nell’oscurità, scenario ispirato alla letteratura gotica e al cinema proto-horror. La stanza è cosparsa di frammenti macabri e tracce di un raduno notturno e ritualistico che si è consumato tra sole ragazze: adolescenti che, al posto di dormire, fanno un pigiama party. Il corpo unitario e ben definito caratteristico del ritorno all’ordine italiano (quel corpo compatto, dalle forme “pure” e dai contorni netti, che resiste alla “contaminazione” ad opera di agenti estranei e che, nonostante le premesse iniziali, ha finito per servire le politiche identitarie del regime fascista) si sfalda, diventa evanescente. Viola Leddi ne compromette l’unità e la “purezza” attraverso procedimenti di citazione che aderiscono a un pensiero frammentario e indiziario, in opposizione alla visione totalitaria del mondo. Al suo posto, rimangono membra amputate (tributo ai famosi studi di Linda Nochlin, o forse alle sorellastre di Cenerentola e alle altre protagoniste delle fiabe di mutilazione?) e presenze spettrali, come il De Dominicis vampirizzato che fa capolino dal fondo della scena. Eppure, in Pigiama Party l’incontro con la morte non vuole essere inquadrato come un evento orrorifico. Si tratta piuttosto del soprannaturale che irrompe nel domestico e apre fratture e spiragli, rendendo possibili contaminazioni e configurazioni identitarie impreviste. In altre parole, una volta che ci si è sbarazzate del corpo unitario e della demarcazione netta dei confini, l’identità è aperta e la materia stessa è pronta a mutare.
In Creature adorabili, gruppo pittorico realizzato nel 2019, la metamorfosi è già in corso. Il ciclo mette in crisi l’organismo compatto e normativo ereditato dalla pittura del ritorno all’ordine italiano, non per mezzo di un trattamento frammentario dello stesso, ma attraverso una serie di operazioni volte a sfumare i contorni e ibridare i corpi, a farli traboccare oltre i loro stessi confini. Ciò non avviene esclusivamente a livello di struttura, di sostanza o di materialità dell’organismo, ma anche nel modo in cui questo si relaziona e mescola con l’altro da sé.
Tra le componenti del gruppo delle Creature adorabili, c’è chi intravede le figure muliebri della pittura murale pompeiana; altri, accenni alla tradizione scultorea greco-romana o all’arte preclassica; altri ancora, lo Zefiro di Botticelli o una modella di Matisse, col fiato dei vecchioni di Lorenzo Lotto sul collo. Eppure, andando al di là della citazione formale, si percepisce in filigrana una figura di riferimento ben più pregnante. Si tratta di Leonora Carrington, un’importante fonte d’ispirazione per Leddi per essersi opposta, tra le altre cose, al sessismo strutturale distintivo del mondo dell’arte coevo e aver trasgredito i parametri fallocentrici delimitanti la sfera della creatività. Carrington sfonda la barriera tra l’umano e il non umano articolando visionarie parentele multi-specie e inserendole in un rapporto di coabitazione dello spazio domestico5. Questa visionaria convivenza tra le specie ha conseguenze essenziali. Gli esseri di Carrington, infatti, finiscono per assomigliarsi nei gesti e nei comportamenti, come fossero sul punto di tramutarsi gli uni negli altri. Secondo lo stesso principio, le figure di Leddi riscoprono un rapporto di prossimità con l’altro da sé, di promiscuità con l’animale o intimità col vegetale, che invita a una sostanziale riconfigurazione della relazione tra umano e non umano. Al richiamo di queste potenziali alleanze, l’identità e il ruolo si disfano. Processi di metamorfosi e ibridazione compromettono la fissità di queste categorie e generano creature strane, polimorfe, che non hanno nulla del corpo ibrido del futurismo (quello dell’uomo-macchina- da-guerra, nato dalla collisione tra uomo e automobile e battezzato nelle luride acque di scarico di una fabbrica, da cui riemerge abbastanza forte e agguerrito da resistere allo shock della modernità6 – riferimento non casuale, se si considerano lavori come May-I, Hours (ADHD), Promenade o Catalyze, in cui l’artista si confronta apertamente con la tradizione pittorica futurista). Si tratta di corpi che non vogliono dominare o sottomettere la natura, ma piuttosto abbracciarla, confondersi con lei.
Da una parte, l’accostamento di umanità e animalità che ritroviamo nella serie delle “Creature adorabili” invita chi le guarda a considerare i meccanismi oppressivi dell’associazione di idee che dagli albori della scienza moderna (e con la collaborazione dell’iconografia storico-artistica occidentale) ha accomunato donne e natura, addomesticando e asservendo entrambe agli interessi del capitalismo patriarcale7. Dall’altra, la complicità tra umano e non umano espone gli organismi a processi di transizione che fanno da premessa alla fluidificazione dell’identità, della sessualità, del genere. Una proposta particolarmente significativa, se si considera che i corpi immaginati dall’artista appartengono ancora una volta ad adolescenti alle prese con l’insorgere della propria sessualità. Così, alla fine del ciclo delle “Creature adorabili” non s’incorre nell’episodio dello svelamento del fallo che conclude il ciclo della Villa dei Misteri di Pompei a cui il gruppo di Leddi si ispira, né in Clori, in attesa del bacio di Zefiro. Al loro posto troviamo una figura androgina che contiene in sé una pluralità di forme in potenza e spalanca il campo delle possibilità. Questo personaggio, insieme a tutte le creature che lo circondano, ci invita a ridere della seriosità delle categorie predeterminate e a immaginare un’esistenza al di là dei presunti confini che le definiscono8.