Cecilia Freschini: Attraverso il tuo lavoro, metti in evidenza l’importanza della storia e del passato. Per tre anni, durante il decennio del 1970, sei stato trasferito in una regione montuosa del Nord della Cina come bracciante agricolo. Lì, in campagna, durante il tempo libero schizzavi bozzetti a matita e ti sei unito a un gruppo di artisti dilettanti oltre a esserti dedicato ad alcune attività culturali. Consideri questo momento l’inizio della tua carriera? Quanto questa esperienza ha influenzato la tua persona e il tuo modo di fare arte?
Xu Bing: Parlando dell’inizio, penso sia avvenuto alla fine della Rivoluzione culturale cinese, dato che facevo parte del programma politico denominato “Giù in campagna”, sono stato mandato “giù”, nei villaggi. Quando ero bambino mi divertivo a disegnare più che altro per passatempo, ma durante la mia permanenza in quel paese, se non lavoravo nella fattoria o faticavo nei campi, tracciavo alcuni schizzi sulla vita rurale e ho creato una rivista per la comunità. È stata la prima volta in cui ho sperimentato che la mia arte poteva assumere un certo valore non solo per me stesso ma anche per gli altri, e ho cominciato a realizzare quale fosse questo valore e ad avere la consapevolezza che potevo utilizzare l’“arte” come percorso per esprimere e riflettere la realtà del mondo che iniziava a risvegliarsi. Sfortunatamente, durante la Rivoluzione culturale, mio padre era stato inserito nel “Libro nero”, e dunque sono stato testimone della tensione e del lato contorto del potere politico fin da ragazzino. Ed ecco perché, quando sono stato mandato in un villaggio isolato, circondato dalla natura, con tutti quei contadini che non erano minimamente interessati a quale fosse il tuo “libro” o le tue idee politiche, ho iniziato a riflettere su alcune questioni fondamentali e sulla relazione che intercorre fra la natura del Naturale, la natura dell’essere umano e la natura politica. Questo periodo storico è stato particolarmente difficile per le giovani generazioni che erano state spedite a forza nei villaggi, ma non per me che lo ricordo come uno più spirituali e gradevoli.
CF: Sempre durante questo periodo hai scoperto qualcosa di diverso da quello che vivevi mentre frequentavi l’università di Pechino. Dunque suppongo che oggi non ti consideri troppo distante da quegli anni. Hai conservato dentro di te il bambino di allora?
XB: Sentivo che uno dei fattori più importanti che costituiscono il carattere di un uomo e formano la sua personalità è ciò che egli eredita dalle generazioni più vecchie. Come in natura, alcune specie animali nascono per essere fiere e malvage, altre calme e docili. Non so se sia scientificamente corretto, ma penso che gli esseri umani siano abbastanza simili, a volte perfino due bambini nati nello stesso ambiente possono avere comportamenti differenti.
CF: Da dove ha origine la tua ricerca artistica e che cosa ti rapisce di più della realtà che ti circonda? C’è qualche artista che è stato particolarmente significativo per te?
XB: Penso che l’ambiente in cui ogni individuo vive ti fornisca il nutrimento. Anche per me è difficile dire quale artista o forma d’arte in particolare mi abbia nutrito, e le influenze che mi hanno lasciato un segno sono state le più svariate. Per esempio Jean-Francois Millet, un classico maestro del passato, ma allo stesso tempo anche quegli artisti che erano considerati “non buoni”. Ricordo che dopo la Rivoluzione culturale ho visto una mostra in Corea del Nord e ho avuto l’impressione di guardare noi stessi allo specchio, così da capire chiaramente che cosa stava succedendo all’epoca nel nostro ambiente artistico.
CF: Nel tuo lavoro la tradizione cinese ha un ruolo molto importante, cosa mi dici di quella americana? Com’è cambiato il tuo modo di fare arte e ricerca da quando sei andato via dalla Cina?
XB: Dopo avere viaggiato in Occidente, ciò che mi ha influenzato maggiormente mi ha permesso di sperimentare una nuova latitudine in grado di alimentare il mio pensiero. Stare sulla scena occidentale, e in particolare partecipare direttamente a quella artistica newyorkese, nutrendo e aggiungendo nuovi spunti alle mie idee, ha avuto un riflesso tangibile su una certa sensibilità che ho sviluppato nei confronti della mia cultura e di me stesso.
CF: La Cina si è lasciata alle spalle quell’“arte cinese” che senza pudore ha assecondato gli stereotipi occidentali?
XB: A proposito del fatto che alcune gallerie occidentali hanno certi lavori che combaciano con gli stereotipi occidentali dell’arte cinese contemporanea ormai divenuta popolare, ritengo che esistano diversi fattori e ragioni complesse che hanno portato a questa situazione. A essere onesti, il mondo occidentale ha iniziato a interessarsi alla maggior parte dei problemi della Cina da relativamente poco tempo; con le lunghe e complicate situazioni ideologiche e sociali, e con le evidenti differenze tra la cultura occidentale e orientale, non è mai stato semplice analizzare o scavare in profondità sotto la superficie di certi fenomeni culturali sociali. D’altronde, il primato della cultura occidentale ha fortemente contribuito a far progredire l’intera civilizzazione umana, quindi quella orientale e tutte le altre culture, come l’etica al di fuori della cultura occidentale la sta pagando nei suoi confronti. Con le ovvie differenze per quanto concerne i valori, specialmente riguardo agli aspetti politici occidentali, la maggior parte delle problematiche cinesi sottovaluta la categoria politica. Sono stati annunciati molti lavori internazionali, che portano con sé i messaggi della Cina contemporanea, ma hanno sottovalutato l’aspetto politico.
CF: In che modo senti che è cambiata la visione della tua terra d’origine cui guardi con occhi da “straniero”? Sia come uomo sia come artista…
XB: Questo è un tema importante. Dopo avere vissuto diciotto anni in Occidente, i motivi per cui sono voluto rientrare sono molti. In primis ho ritrovato un Paese con un carattere di forte sperimentazione. La Cina è stracolma di problemi ma allo stesso tempo c’è un’energia incredibile, e quello che non accadeva mai in passato ora sembra avvenire sempre qui. Dunque per un arista vale assolutamente la pena vivere e lavorare in Cina.
CF: Dopo più di vent’anni sei di nuovo alla Biennale a Venezia… Come ti senti?
XB: Per me significa che il mio lavoro ha dimostrato di essere costantemente creativo e che faccio parte di quel gruppo di artisti tutt’ora sensibile nei confronti della natura. Guardando alle mie creazioni, sento che il mio approccio artistico, o per esempio la mia metodologia, ha un effetto perché da sempre credo che l’arte scaturisca dall’esistenza e dal periodo in cui hai vissuto. Secondo me, gli impeti artistici non provengono dal sistema arte di per sé, ma dall’esterno, perché ciò che si definisce arte è già lì, e l’energia nuova deve arrivare dall’esterno. Creare un nuovo linguaggio artistico, vuol dire che tutti i vocabolari del passato dovrebbero esistere a prescindere e non dovrebbero essere così precisi da descrivere la nuova situazione, in modo da poter inventare un nuovo metodo espressivo. Non posso dire che negli anni il mio lavoro abbia rispettato un particolare stile, ma la metodologia che lo sottintende, oltre ai legami tra le opere con quel determinato periodo di tempo, è sempre stata molto coerente. E così, quando Okwui ha visitato il mio studio e ha visto il mio lavoro dell’epoca (conosceva bene la mia passata produzione), ha detto che voleva complimentarsi perché per oltre vent’anni il mio lavoro è sempre progredito ed è scaturito dal dibattito sulla realtà.
CF: L’opera che ti rappresenta a Venezia è una nuova maestosa Fenice, che ha già suscitato un enorme interesse, dal forte sapore cinese. La prima Fenice esprime preoccupazione, è un corpo rigido sfregiato e struggente; la seconda è più aggressiva. Ci sono molti particolari diversi dalla prima versione: ora c’è più energia, in qualche modo forse una sorta di riscossa patriottica che si propone di mostrare un lato forte e orgoglioso della Cina?
XB: Il progetto della Fenice è stato portato avanti per sette anni. E questo perché il suo aspetto più interessante è la stretta connessione con la Cina o con la scena globale, in altre parole la relazione “ipertestuale” con i maggiori eventi di questo periodo. Le due nuove Fenici si possono trasformare per adattarsi alle situazioni in divenire, una metafora dei mutamenti della Cina in questi ultimi sette anni. La sua versione più recente è iniziata nel momento in cui si manifestava la preoccupazione nei confronti della classe operaia e della relazione fra la manodopera e i capitali. Ma durante il processo creativo abbiamo assistito ad alcuni eventi sociali quali le Olimpiadi di Pechino, e la crisi finanziaria, le cui conseguenze sono state visibili in tutto il mondo. E tutti questi eventi si riflettono nelle forme in continuo mutamento della Fenice. Le due nuove Fenici della Biennale hanno le stesse caratteristiche dei Transformers, sono più forti e piene di energia, proveniente appunto dalla trasformazione; e il motivo per cui tutti i bambini amano i Transformers è perché si modificano per affrontare ogni tipo di situazione. Quindi creano un’atmosfera più violenta poiché vengono da un ambiente piuttosto pressante, e non vedono l’ora di affrontare la prossima incognita.
CF: In questo lavoro le mani degli operai hanno toccato ogni singolo pezzo di materiale, ognuno di questi rifiuti conserva la propria storia, in modo da costruire un totem di auspicio al romanticismo. La Fenice del 2015 è un’opera d’arte bella e feroce che mette in evidenza un atteggiamento importante e di tutto rispetto del popolo cinese, che ha saputo ripetutamente risorgere dalle proprie ceneri. Con quest’opera viene a galla lo status quo della Cina, dove il potere proviene dal basso e c’è un rapporto conflittuale fra forza lavoro e capitali. L’arte è davvero questo: essere in grado di aggiungere un contenuto invisibile a un certo materiale, e anche, perché no?, alla spazzatura, ai rifiuti… trasformandoli infine in ricchezza.
XB: È un tema essenziale. Per quanto concerne il processo produttivo della Fenice, da artista ho trovato che l’aspetto esplorativo delle arti fosse il più interessante. La Fenice non fa riferimento al lato folk del linguaggio artistico cinese, piuttosto al metodo e all’anima. Che è quello di utilizzare il materiale più arcaico per creare qualcosa che ancora non esiste nella nostra vita quotidiana, con una sua dignità e una sua bellezza.
CF: Il motto della Fenice, Post fata resurgo, significa “dopo la morte mi rialzo”. Come sappiamo la Fenice è un uccello mitologico immortale, vola lontano, guardando con occhi acuti il paesaggio circostante e lontano nello spazio. Rappresenta la nostra visione, per raccogliere le sensazioni sull’ambiente che ci circonda e gli eventi che si svolgono al suo interno. La Fenice, con la sua assoluta bellezza, è in grado di creare una combinazione fra totale esaltazione e il sogno dell’immortalità. Come pensare al futuro della Cina e al suo ruolo all’interno di “All the World’s Future”?
XB: Il tema di Okwui di “All the World’s Future” è una grandiosa asserzione, soprattutto avere utilizzato la parola “tutti” è stata una scelta intelligente così da formulare una potente dichiarazione degli esseri umani di oggi che si stanno muovendo verso una direzione o per trarne beneficio oppure per lottare tutti insieme per qualcosa. Secondo me, osservando dall’alto il progresso della civiltà umana, ogni fase richiede un unico nutrimento culturale, con un percorso simile allo sviluppo degli uomini, che ha anche esigenze diverse in ogni sua fase. Per esempio, i giovani sono alla ricerca di relazioni sentimentali, e in questa particolare fase si possono ispirare al Romanticismo della cultura francese. Diventando più adulti invece, dovranno prendere in considerazione il modo in cui risolvere alcuni problemi per essere produttivi: la Rivoluzione industriale è scoppiata in Inghilterra, per via del carattere attento al lato produttivo del suo popolo. Più tardi, dopo che la produzione è stata avviata, gli americani hanno promosso la loro cultura consumistica a un ruolo importante in tutto il mondo. Ogni cultura presenta grandi vantaggi, ma allo stesso tempo ognuna è foriera di svantaggi. Eppure nessuno di questi spiriti provenienti da diverse culture ha le stesse caratteristiche di quella tradizionale cinese, che si basa per lo più sul comportamento, come il rispetto della natura e l’armonia tra il cielo e l’umano. Così, per esempio, quando la cultura industriale e consumistica si è diffusa, coloro che preferivano rimanere legati ai valori tradizionali cinesi venivano etichettati come persone strane che sarebbero rimaste indietro rispetto alla collettività. Oggi, però, il nostro mondo ha raggiunto un livello tale per cui siamo tutti investiti dai progressi della capitalizzazione, ci sentiamo spaventati e vulnerabili rispetto alle nostre stesse sopravvivenze, quindi il rispetto della natura, un’ideologia più equilibrata e uno stile di vita tradizionale cinese ancora una volta sono diventati popolari e devono essere considerati il “pensiero più contemporaneo”. Personalmente ritengo che alcuni dei contenuti culturali della tradizione cinese sono molto importanti e rivestiranno sempre più il ruolo chiave per lo sviluppo progressivo della civiltà.