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31 Maggio 2017, 12:59 pm CET

Yan Pei-Ming / Victor Man / Luca Vitone di Chiara Leoni

di Chiara Leoni 31 Maggio 2017
Victor Man "On relative loneliness (dettaglio)" (2008). Veduta dell’installazione alla GAMeC di Bergamo, neon, lettere di vinile. Fotografia di Antonio Maniscalco.
Victor Man "On relative loneliness (dettaglio)" (2008). Veduta dell’installazione alla GAMeC di Bergamo, neon, lettere di vinile. Fotografia di Antonio Maniscalco.
Victor Man “On relative loneliness (dettaglio)” (2008). Veduta dell’installazione alla GAMeC di Bergamo, neon, lettere di vinile. Fotografia di Antonio Maniscalco.

Yan Pei-Ming presenta un ampio corpus di opere che coralmente ne dipingono un “autoritratto”, da cui il titolo della mostra “Yan Pei-Ming con Yan Pei-Ming”. L’individualità di Ming è declinata e definita in rapporto a diverse tematiche/generi, suddivisi in quattro principali: il paesaggio, la religione, i parenti, la vita e la morte. Grandi oli bicromi, bianco su rosso o su nero, ritraggono figure universali e iconiche — Mao, la Madonna, il Papa, Buddha, l’imperatore Pu Yi, ma anche suggestioni pop, come Bruce Lee — o intime e imprescindibili, come quella del padre, ritratto con dimensioni epiche, ma in uno stato di prostrazione e sofferenza, un “memento vivente”. In generale, tutte le opere sono pervase dalla sensazione della perdita: le rapide, ampie pennellate colgono la transizione velocissima dell’esistenza come un fascio fibrillante e caduco d’energia, elevando sulla tela un umore esistenzialista – culturalmente la stessa letteratura cinese ne è influenzata, dagli anni Settanta in poi, in reazione al senso di alienazione e rovina post-rivoluzionaria. La perdita si manifesta con maggiore gravità nelle messe in scena della propria morte, che Ming allestisce freddamente, come esperimento o prova generale di un momento inevitabile: lo si vede steso all’obitorio, impiccato e moltiplicato in una moltitudine di teschi. I paesaggi sono sempre “internazionali” nelle titolazioni, cioè ostili, vaghi, anonimi, persi nella nebbia o in simboliche profondità boschive. La parte più toccante è quella dedicata a una serie di acquerelli che ritraggono la vita, identificata completamente con l’infanzia. Ming costruisce grandi acquerelli monocromi attraverso macchie di colore che si intersecano e sovrappongono in un’emersione quasi psichica e che, tuttavia, tecnicamente conservano il sapore di una tradizione antica e raffinatissima. I volti degli infanti, neonati, interrogano con occhi appuntiti lo spettatore o riposano persi in sonni profondissimi.

Yan-Pei-Ming "Mao" (2005). Collezione MAXXI Arte, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma. Fotografia di André Morin.
Yan-Pei-Ming “Mao” (2005). Collezione MAXXI Arte, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Roma. Fotografia di André Morin.

Al pian terreno è presentata la personale del rumeno Victor Man “On Relative Loneliness”. Anche in questo caso, viene indagato un sentimento di perdita, ma inesplicabile, indicibile, attraverso un uso concettuale e quasi onirico di immagini estrapolate da media pulp, riviste di pin-up o immaginari feticisti. Raffinate combinazioni di figure sadomaso si alternano a quelle di divinità decadute, incapaci di consolare o convincere: in un lightbox una foto coglie un crocifisso distrutto, le braccia del Cristo penzolanti e private di un corpo. Man raccoglie e distribuisce con estrema eleganza e rarefazione tracce di una solitudine ineludibile, di un fallimento storico e morale, dell’eclissarsi di ogni certezza. Il solo baluardo a questo lutto affettivo e spirituale sembra rappresentato da quello di una trasgressione formulaica, com’è appunto quella feticista, ulteriore placebo per la solitudine. Luca Vitone, da sempre fine artista antropologo, capace di tradurre e coniugare esteticamente istanze politiche e disposizioni sentimentali, presenta, fra gli altri, un lavoro inedito: un’installazione sonora distribuita in vari punti di Bergamo, in cui gli immigrati vagheggiano il proprio ritorno a casa. In mostra, invece, alcuni pilastrini lignei raccolgono i migranti italici fra i molti spettatori: ci si avvicina per carpire, mossi da un desiderio nostalgico, i canti che si diffondono dalle forme aperte delle regioni italiane intagliate sulla loro sommità.

GAMeC, Bergamo.

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