Ripercorrere la carriera di ZimmerFrei significa non solo addentrarsi in undici anni di pura sperimentazione fra i confini sempre più labili del video making, del sound action e della performance corporea, ma anche districarsi fra i molti generi così abilmente coinvolti e modificati dal gruppo.
In effetti fino a qui niente di nuovo se si considera che buona parte della realtà artistica internazionale privilegia le promiscuità estetiche già avanzate dalle avanguardie del secolo scorso.
Nell’epoca della consacrazione della postmodernità liquida in cui ogni riferimento, ogni mezzo, ogni genere può essere legittimamente saccheggiato al fine dell’intenzionalità di partenza, ogni discorso pare ovvio e scontato. Quali possono essere quindi le differenze fra la mediazione cinematografica, teatrale, videografica, performativa?
La questione pare dare immediatamente risposta nulla, come dire che a nessuno importa più differenziare tali contaminazioni oramai date per scontate. In realtà è proprio questo il momento per ridefinire gli argini, o meglio ancora per solcare “l’insostenibile leggerezza” del fare artistico in modo da rinnovare le pratiche e innalzare nuove questioni estetiche. Di tali questioni si occupano gli ZimmerFrei da oltre dieci anni, mantenendo saldo il principio dei “lavori in corso” inevitabilmente multimediali e in parte performativi. E ancora: i temi tanto cari a tutto il Novecento dello spazio e del tempo e delle loro possibili intricatissime questioni relazionali si alternano in una ricerca fondata sui panorami della visione sensoriale, sulle stereoscopie sinestetiche, sulle ricerche di un campo di azione che non dimentica i fuori inquadratura e tutto ciò che l’occhio o l’obiettivo (fotografico o videografico che sia) non riesce a focalizzare.
Ma partiamo dall’inizio: non sappiamo esattamente se la città in cui Massimo Carozzi, Anna de Manincor e Anna Rispoli hanno deciso di non chiamarsi più Anapurna e di optare per il più semplice e diretto ZimmerFrei sia stata Bologna (città in cui due di loro ancora vivono e lavorano); sappiamo però che l’anno era il 2000 e che, fin da subito, le istanze concettuali appena accennate diventano le fondamenta strutturali mai abbandonate.
Quinte cinematografiche e teatrali sono da subito il pretesto per indagare paesaggi privati e collettivi che possano in qualche modo appropriarsi del non visto, del non detto, del non sentito.
N.K. — Never Keep Souvenirs of a Murder, una performance teatrale prodotta nel 2000 dal Festival Riccione TTV, può essere un buon punto di partenza per sottoscrivere quanto detto sopra: un film, installato a doppia proiezione, pensato come omaggio al genere del noir che coinvolge due donne (interpretate da Anna de Manincor e Anna Rispoli), divise nelle due proiezioni da un sottile diaframma e intente a generare un possibile scontro finale fra due realtà, due vite, due storie. Una reporter e una fuggitiva percorrono una porzione di vita propria che, allo stesso tempo, potrebbe diventare la vita dell’altra. Qual è il confine tra le due parti, e come il tempo dell’una può sostituirsi al tempo dell’altra? Ma poi, diciamocelo, quale tempo? Quello vissuto dai due personaggi o quello dato in pasto alla visione dello spettatore che, a sua volta, non è più solo un semplice fruitore ma un attore/voyeur inconsapevole quanto basta da innestare altri tempi, altre esperienze, altre storie? Poche riflessioni servono a introdurre tutta l’esperienza degli ZimmerFrei, parafrasando il concetto di tempo e di durata tanto caro a Henri Bergson e così ampiamente indagato e sfruttato dalle avanguardie storiche di inizio Novecento. Quelle stesse esplosive e fondamentali avanguardie che hanno generato tutto il dibattito sulla città, sul sentire istantaneo, sull’iniziale registrazione della frequenza esistenziale delle metropoli nei primi trent’anni del secolo scorso.
C’è ancora bisogno di fare i nomi? Forse sì: Arnaldo Ginna, Hans Richter, Man Ray, Fernand Léger, Dziga Vertov, Walter Ruttmann, ovvero coloro che per primi hanno compreso il valore sinestetico di uno spazio pubblico e urbano che avrebbe cambiato radicalmente il concetto di visione e di esperienza. La serie “Panorami” iniziata nel 2004 (in occasione della loro prima personale alla Galleria Monitor di Roma) ben si addice alla questione spazio-temporale affidata alla registrazione di una location casuale e caotica quale è la città stessa in azione e relazione con l’attività umana accidentale dei passanti e l’attività performativa diretta dal gruppo. L’intento era ed è tuttora quello di registrare in continuità gli accadimenti di un dato luogo, uno sguardo tridimensionale, a 360 gradi, di un paesaggio (una piazza o una strada) in un tempo molto lungo e velocizzato poi nella successiva post-produzione. A parole sembra semplice, nella realtà tecnica dei fatti serve un dispositivo che permetta di “fissare” il movimento circolare, sincronico e lento di un’intera giornata. Il semplice dispositivo del motore di un orologio a cucù corre in aiuto agli ZimmerFrei che possono così far compiere alla videocamera un giro completo in un’ora. Il gioco è fatto: progressivamente le città di Venezia, Bologna, Amburgo, Roma si sovrappongono alle rallentate sequenze corporee inscenate dai performer ripresi in primo piano dalla videocamera mentre in secondo piano e sullo sfondo la vita (che, come diceva Filippo Tommaso Marinetti, “ha sempre ragione”) scorre irrefrenabile.
Il fuori quadro diviene il motivo conduttore delle azioni casuali dei passanti e delle movenze consapevoli degli attori in primo piano che fungono da ipertesto, da nuova struttura visiva in grado di frammentare e riunire poi porzioni di sequenze concepite come spazi e tempi alieni al vissuto. Il suono, i corpi, le immagini registrate e risincronizzate sono perciò il metalinguaggio da cui poi può partire la riflessione costante del gruppo sulla sedimentazione percettiva data dalla visione di una porzione di realtà intesa come testimonianza fittizia. In effetti, il confine fra semplice documentazione e fiction ricostruita torna spesso nei lavori del trio come nel caso di LKN Confidential (realizzato a Bruxelles nel 2010) o Memoria Esterna, commissionato da C/O Careof e dalla Provincia di Milano nel 2007. In entrambi i casi — con modalità differenti, si intende — la città e i racconti delle persone che la vivono divengono lo strumento narrativo per condurre lo spettatore a costruirsi un personale story telling degli spazi ripresi, uniti a una temporalità sospesa fra realtà concreta e para-realtà suggestionata.
Potremmo aggiungere che agli ZimmerFrei interessa la “forzatura inconscia”, quella fantasmagoria interna a luoghi e persone che neppure la registrazione costante è in grado di trattenere. Serve perciò una post-riflessione — nel loro caso ovviamente si intende la post-produzione visiva e sonora — che possa permettere l’allargamento di inquadratura non concessa dai media utilizzati. Il “Campo Largo”, che funge anche da titolo alla quasi retrospettiva visibile al MAMbo di Bologna, è proprio il valore aggiunto dalla co-azione di autori e spettatori che insieme aggiungono immaginari, stereotipi, valori di potere e controllo alle stesse opere. Per questo torna spesso il genere cinematografico, svuotato però dei codici linguistici originari e saccheggiato invece dagli intenti stereoscopici del trio. Loro stessi affermano che: “La realtà non è più il materiale primario del film, la sua base ‘ontologica’, ma è essa stessa composta di immaginario, materia, proiezione della memoria, fantasmi. Il cinema è diventato uno dei modi in cui percepiamo il mondo”. L’estetica mondana di riferimento, perciò, cambia di volta in volta solo in funzione delle aspettative rivolte a un fruitore fondamentale alla riuscita dell’opera. Gli ZimmerFrei chiedono ai loro spettatori di stringere una sorta di patto di fedeltà con le infinite aperture sinestetiche che possono crearsi nell’istante in cui l’apparente silenzio e oscurità si lascia attraversare da nuove forme, nuove immagini, nuove storie.
Solo con un gesto del genere si potrà vedere anche dove fino a quel momento c’era un muro o una porta come in Le stanze sono libere del 2011.