When an Image Becomes a Work. Premesse a un’iconografia di Cattelan 1 di

di 25 Gennaio 2012

“The idea is to reorganize something already there, re-present something that already exists.” —Nancy Spector in conversation with Maurizio Cattelan (2000).

Apri Google.com. Digita “dead horse” nella barra di ricerca. Seleziona “immagini”. Il primo risultato che otterrai è l’immagine di un cavallo morto, disteso sull’asfalto, con un cartello conficcato nel fianco. Il cartello recita: “If you ban hunting, there will be lots of these.” Il sito da cui proviene l’immagine2 spiega che la macabra scena è stata allestita da alcuni agricoltori che protestavano contro un divieto alla caccia alla volpe. L’articolo risale al 10 giugno 2007. L’immagine esiste in due versioni, pressoché identiche, verosimilmente scattate dalla stessa macchina a distanza di pochi secondi: cambiano solo le automobili e i passanti sullo sfondo. Nella seconda, sullo sfondo, un ragazzo scatta una fotografia.
Quest’immagine ha un clone. È stato realizzato un paio d’anni più tardi, da un artista che risponde al nome di Maurizio Cattelan, nella forma di una scultura intitolata, come molti suoi lavori, Untitled (2009). Nello scatto “ufficiale”, firmato da Zeno Zotti, con cui la scultura viene presentata nel catalogo di “All” 3, la sua retrospettiva di “congedo dall’arte” 4 , le uniche differenze percepibili stanno nel set – il pavimento laminato di una stanza dalle pareti bianche – e nel cartello, che ha sostituito il monito originario con un semplice ed evocativo “INRI”. L’inquadratura è identica a quella dell’immagine del 2007: il centro è occupato dal cartello, la posizione del fotografo porta in primo piano il muso dell’animale. Quest’ultimo è riprodotto perfettamente: identico il modo in cui si incrociano le zampe anteriori,  e in cui si allineano quelle posteriori. Constatata l’indiscutibile efficacia dell’immagine originaria, Cattelan ha fatto il possibile per attenersi a essa, limitandosi a ripulirla degli elementi accessori, come i passanti e il cavo blu con cui probabilmente il cavallo è stato trascinato nel luogo in cui è stato rinvenuto e fotografato.
Ma per simili che siano, le due immagini sono anche profondamente differenti. La prima fa riferimento a un fatto di cronaca, la seconda è un’opera d’arte. La prima ha la ricchezza di dettagli della realtà, la secondal’essenzialità dell’allegoria. Il cavallo può appartenere a un’immagine trovata, ma si è da tempo radicato nell’iconografia di Cattelan come alter ego dell’artista. Nell’immagine di partenza, Cattelan coglie il potenziale di un sacrificio assurdo, e lo trasforma in una icona universale sostituendo il cartello originale con il cartiglio apposto sulla croce di Cristo dai suoi carnefici. Per minimo che sia l’intervento, è bastato per trasformare l’immagine in qualcosa che appartiene, indiscutibilmente, a Cattelan.

Cleptomania
“I’m always borrowing pieces – crumbs really – of everyday reality.” —Nancy Spector in conversation with Maurizio Cattelan (2000).

Maurizio Cattelan è un cleptomane dichiarato. Nella sua personale mitologia, la figura del ladro occupa una posizioneseconda solo a quella di Oblomov, ossia dell’artista “ozioso” che scappa dalle sue mostre, esibisce finti certificati medici, invita ad astenersi dal voto, raccoglie fondi per consentire a un artista (se stesso) di non fare nulla per un anno, vende il propriospazio alla Biennale di Venezia e ne organizza un’altra ai Caraibi. Cattelan il “ladro” si è fatto ritrarre da un disegnatore della polizia come un criminale, ha rubato le targhe dei professionisti di Forlì, la Z di Zorro (e il taglio di Fontana), la stella delle Brigate Rosse, le insegne di un bar e di una farmacia, un’intera mostra, e si è ritratto mentre sbuca in un museo da un tunnelscavato nel sottosuolo; ma soprattutto, ha rubato idee: agli altri artisti, ai media, alla realtà di tutti i giorni.
Per ovvi motivi, sono particolarmente note le sue appropriazioni del lavoro di altri artisti. In particolare, è stata notata – e ampiamente discussa – la sua ripresa, in Love Saves Life (1997), di un lavoro giovanile di una allora poco nota Katarzyna Kozyra, Pyramid of Animals (1993). Ma la lista degli esempi potrebbe continuare a lungo: dalla ripresa dello Spirato di Luciano Fabro (1968) in All (2007) alla donna abbarbicata allo stipite di una porta in una fotografia di Francesca Woodman risalente al 1977, ripresa in Untitled, 2007, fino al dialogo con Joseph Beuys inscenato in La rivoluzione siamo noi (2000) enel coevo, e ancora più letterale, Untitled.
Di fronte a questi furti, le reazioni della critica sono state interessanti. I suoi detrattori li hanno usati per dimostrare l’assenza di originalità nell’opera di Cattelan; i suoi sostenitori hanno cercato di minimizzarli, o ridurli a “citazioni” (che nefarebbero un tardivo seguace del postmoderno, cosa che non è). Evidentemente, il peso del mito ottocentesco del genio è ancora così forte da impedirci di seguire un artista persino laddove lui stesso vuole condurci, dichiarando ripetutamente la sua propensione al furto.
E se decidessimo invece di seguirlo su questa strada, fino in fondo? Facciamo un’ipotesi: che il furto sia la strategia formale a cui Cattelan ha fatto ricorso con maggiore sistematicità. Che dietro buona parte delle sue immagini ci sia un’altra immagine, un sottotesto nascosto, che attende semplicemente di venire a galla. Non per indebolire la reputazione che lasua opera si è costruita nel tempo, ma per comprendere meglio le ragioni del suo successo; non per ridurre i suoi lavori all’immagine che li ha ispirati, ma per valutare lo scarto tra i due; non per confutarne l’originalità, ma per capire dove sta, veramente, l’originalità di Cattelan.

Permanent Food
“Spector. What constitutes a successful work for you? Cattelan. I like when the work becomes an image.” —Nancy Spector in conversation with Maurizio Cattelan (2000).

Maurizio Cattelan ha un rispetto assoluto per le immagini. La conferma viene dalla citazione qui sopra, dove il termine “immagine” viene usato in un’accezione forte, inusuale, per certi versi vicina al concetto medievale di “icona”, o a quello moderno di “meme”. Secondo questa accezione, una “immagine” è un segno visivo che circola al di fuori del contesto in cui viene prodotto; che si imprime nella memoria; che viene riutilizzato, ripetuto, variato, perdendo ogni legame con il suo “autore” e acquistando di volta in volta nuove accezioni. È qualcosa che esiste non come “opera”, macome “soggetto” dotato di vita autonoma, e capace di diffondersi e auto-replicarsi.
Pochi artisti sono in grado di creare “immagini” di questo tipo. L’arte contemporanea ne ha prodotte pochissime. Con rare eccezioni, l’immaginario visivo prodotto dall’arte contemporanea rimane all’interno della propria sfera di competenza. In massima parte, l’immaginario condiviso del XX secolo è stato messo a punto da altri professionisti dell’immagine: registi cinematografici, fotografi professionisti, cartoonist, designer, illustratori.
In questo panorama, Maurizio Cattelan costituisce un’eccezione. L’artista italiano, che ha prodotto così poche “opere” nella sua carriera, ha messo in circolazione più “immagini” di ogni altro artista del suo tempo. Come ci èriuscito?
La risposta offerta da questo testo è: nutrendosi di immagini. Un nutrirsi che non si esaurisce in un furto, ma che porta a un “perfezionamento” di un’immagine che, una volta messa in circolazione, deve considerarsi un bene di pubblico dominio. Filtrando, come un setaccio, le migliaia di immagini che vengono rimbalzate su di lui dal circuito dei media – i giornali, le riviste, la televisione, internet; e quindi selezionando quelle che più lo colpiscono e che meglio si inseriscono nel suo immaginario personale, Cattelan le riformula per poi rilasciarle nel circuito della comunicazione, affinché il pubblico trovi per loro un senso nuovo.
A ben vedere, è quello che fanno tutti gli artisti, ma ciò che distingue Cattelan sono la sua fame, il suo fiuto, la sua capacità di sintesi, la sistematicità con cui procede e la determinazione con cui persegue questo obiettivo: produrrelavori che siano in grado di “diventare immagini”, fissarsi nell’immaginario collettivo, essere riprodotti e distribuiti nei più differenti circuiti comunicativi.
Il richiamo all’area semantica del cibo non è casuale, dato che l’ha proposto, a più riprese, lo stesso Cattelan. Si pensi a Permanent Food, il “second generation magazine” concepito da Cattelan assieme a Dominique Gonzalez-Foerster e alla designer Paola Manfrin nel 1996, e uscito in 15 numeri fino al 2007. Permanent Food dichiara un “free copyright”, e campiona immagini da ogni sorta di fonti: magazine di moda e di costume, illustrazioni, manifesti, riviste d’arte, giornali, fanzine, e ovviamente dalla rete; il tutto decontestualizzato, privato per lo più di didascalie e riferimenti testuali, ripulito dalla sua natura funzionale di immagine pubblicitaria, opera d’arte, prodotto amatoriale, e dalla sua storia. Permanent Food è, letteralmente, un “nutrimento permanente” per l’immaginazione, grazie alle sue scelte e ai suoi accostamenti, che diventano presto effimeri a causa della tendenza della rilegatura a smembrarsi; è un inno al riuso, un collage da disassemblare e riassemblare, un lavoro di appropriazione e di condivisione.
All’area semantica della nutrizione rimanda anche il titolo scatologico di Toilet Paper, il nuovo magazine lanciato da Cattelan con il fotografo di moda Pierpaolo Ferrari nel 2010, dopo il suo addio all’arte. Anche Toilet Paper è una rivistadi sole immagini, ma – differenza sostanziale – queste ultime non sono rubate, ma originali, prodotte in studio. Ha spiegato Pierpaolo Ferrari:
Ogni immagine nasce da un’idea, anche semplice, per poi diventare una complessa orchestrazione di persone che costruiscono dei tableaux vivants. Questo progetto è – anche – una sorta di sfogo mentale. Proveniamo, Maurizio ed io, da ambiti dove circolano un’infinità di fotografie. Ne produciamo per lavoro: io nel mondo della moda e della pubblicità, lui nell’arte con le sue opere e i progetti, anche editoriali, che segue.4
Eppure il furto, a volte dichiarato, più spesso no, ritorna anche in Toilet Paper. Prendiamo, ad esempio, il numero pubblicato nel novembre 2011. Sul retro di copertina, il numero rivela le proprie fonti di ispirazione: Mike the HeadlessChicken, Mario Sorrenti, Richard Avedon. Mike the Headless Chicken è un pollo che rimase in vita, per diciotto mesi,dopo essere stato malamente decapitato. La storia risale agli anni Quaranta, e fu ripresa da molti giornali di reportage. L’immagine di cui Toilet Paper l’ha omaggiato riproduce fedelmente uno dei ritratti più noti del celeberrimo pollo,saldamente in piedi su due zampe accanto alla sua testa inanimata.
Del grande fotografo di moda italiano, Toilet Paper omaggia invece l’immagine di una anonima modella in mutandine, il corpo assalito da un’orda di mollette da bucato.
Come abbiamo già constatato per l’immagine del cavallo morto, gli scarti rispetto all’originale sono minimi: l’aggiunta del colore, il cambio di formato (da verticale a orizzontale). Quando l’immagine funziona, le variazioni sembrano essere, per Cattelan, inutili manierismi: meglio riprodurla tale e quale.
Difficile dire quanti altri prestiti, o furti, siano disseminati nei vari numeri di Toilet Paper. Qui, come in Permanent Food, Cattelan naviga nei bassifondi, affidandosi non – come un artista pop – a immagini già entrate nell’immaginario popolare, ma a culti di nicchia, immagini poco note e poco visibili. Difficile, tuttavia, non cogliere, nel numero in oggetto, l’omaggio non dichiarato reso al culto diffuso del “cute cat”, il gatto carino fotografato in pose, o con espressioni, divertenti e improbabili. Radicato da tempo nell’immaginario popolare, questo culto è esploso con la rete, dove queste immagini, condivise, sono andate incontro a un ulteriore processo di rielaborazione, con l’aggiunta di frammentitestuali che danno voce, in forma spesso sgrammaticata, ai pensieri del gatto5 . Priva di scritte, la fotografia di Toilet Paper sembra attendere solo la propria trasformazione in “immagine”.

Internet Memes
If you have an apple and I have an apple and we exchange these apples then you and I will still each have one apple. But if you have an idea and I have an idea and we exchange these ideas, then each of us will have two ideas.” —George Bernard Shaw6

Quest’ultimo esempio ci riconduce alla rete: un contesto che, alla luce di quanto detto finora, appare interessante per almeno tre ragioni. In primo luogo la rete, per quanto effimera e cangiante, offre interessanti possibilità per tracciare la vita di un’immagine. Anche quando se ne perde l’originale, le immagini vengono spesso copiate e riproposte su altri siti. Spesso sono associate a parole chiave, o “tag”, che consentono di farle riemergere dagli abissi in cui sono sprofondate attraverso una semplice “Google Search”. In altre parole, la rete offre un contesto in cui la profondità dello scandaglio di Cattelan è ancora parzialmente tracciabile.
In secondo luogo, la rete offre delle possibilità straordinarie alla circolazione delle immagini. Medium orizzontale, democratico, bottom-up, la rete consente a un’immagine di raggiungere il successo senza passare sotto le forchecaudine dei mezzi di comunicazione di massa. Le immagini della rete non appartengono a nessuno, sono di pubblico dominio. Si diffondono e vengono riutilizzate in ragione della loro efficacia, e non della potenza di fuoco di chi le crea e distribuisce. Lì, non servono soldi, mezzi produttivi eccezionali e autorità per essere visti da milioni di persone: bassa soddisfare, secondo meccanismi purtroppo difficilmente traducibili in una ricetta, una determinata necessità del momento. Chi non ha mai scambiato uno sguardo con la marmotta che spopolò sul Web alcuni anni fa? Chi non ha mai danzato sulle note del gatto pianista di Charlie Schmidt? Chi non ha mai condiviso un LOLcat su Facebook? Per chi sa usarla, la rete costituisce una fonte straordinaria di “immagini”, nel senso forte che piace a Cattelan.
Infine, la rete costituisce il principale luogo di elaborazione, e di affermazione, di quella peculiare concezione deldiritto d’autore che Cattelan sembra condividere, nel suo lavoro editoriale e di artista. La frase di George Bernard Shaw, ripresa a tutta pagina nel numero 11 di Permanent Food, è diventata uno dei motti più campionati dell’era digitale,prima dai sostenitori del free software, poi da quelli dell’applicazione di questo modello agli altri artefatti culturali.
Oltre al cavallo morto, esistono almeno altri due lavori di Cattelan che trovano la loro origine certa in un’immagine di internet. Il primo è una scultura del 2002, anche questa Untitled (2002): un asino tassidermizzato sospeso a un carro che, portando un carico superiore al peso dell’animale, l’ha sollevato da terra. Cattelan si è ispirato a un’immagine che ha avuto ampia circolazione in rete nei tardi anni Novanta, scattata da qualche parte in Medio Oriente e ancora facilmente rintracciabile cercando “funny donkey” sui motori di ricerca. La ripresa, peraltro già nota – è menzionata anche nel catalogo del Guggenheim – colpisce, ancora una volta, per la sua trasparenza: nell’immagine ufficiale del lavoro, ora nella collezione Dakis Joannou, l’inquadratura è molto simile aquella della foto originale, e il visitatore sulla sinistra riprende la posizione dell’arabo che osserva il bizzarro incidente.
Il terzo lavoro, un ennesimo Untitled (2009), è una scultura in gomma e acciaio che rappresenta un volto interamente inglobato nella gamba di uno stivale. La foto originale risale almeno al 2006, ed ha avuto una larga diffusione in rete, evidentemente per le sue componenti feticiste e masochiste, come rivela una rapida ricerca della parola chiave “rubber boot head”. Da parte sua, Cattelan “ricostruisce” l’immagine vernacolare, suggerendo altre associazioni (Fantomas, l’oggetto surrealista) e inserendola nella sua lunga galleria di autoritratti, limitandosi a delocalizzarla e a introdurrealcune piccole varianti (il volto più scolpito, la linea più elegante). Ancora una volta, il punto di vista da cui la scultura è fotografata nell’immagine ufficiale (scattata da Zeno Zotti) è lo stesso del meme originario.
In questo caso, è interessante mettere a confronto l’uso che Cattelan fa dell’immagine originaria con quello degli anonimi surfer che hanno contribuito al meme, riutilizzandola a loro volta. Indipendentemente dalla sua origine, in rete un’immagine assume una vita propria, e viene utilizzata da utenti differenti per comunicare contenuti molto diversi. Quale che fosse la sua intenzione iniziale, la foto dell’uomo con lo stivale in testa è confluita in numerosi “demotivational”, immagini realizzate con un layout standard (una cornice nera e una didascalia sarcastica), che fanno “dire” alla foto cose di volta in volta diverse: battute sull’originalità, sull’uso corretto degli stivali, sulla “salubrità” del gesto, o sulla… diarrea. A un uso basso e vernacolare si contrappone un uso colto e raffinato, ma le modalità operative sono le stesse: usare un’immagine altrui per dire qualcosa che ci appartiene.
Evidentemente, una rondine non fa primavera. Ma tre ricorrenze certe vanno a rafforzare non solo l’idea di fondo di questo saggio che il furto sia una delle pratiche più ricorrenti nell’opera di Cattelan – ma anche il suo corollario – che la rete, luogo di elaborazione di immagini di successo dal basso, sia una delle sue fonti predilette, e uno degli archivi in cui bisogna cercare. Ci invitano ad analizzare altri lavori la cui dipendenza da immagini esistenti non sia ancora stata dimostrata. Ci spingono a fare delle ricerche, e delle ipotesi. In molti casi, sarà impossibile dare una conferma a queste ipotesi senza un accesso completo al “browser” di Cattelan: al suo archivio, fisico o mentale, di immagini. Un archivio sicuramente molto vasto, anche perchè la familiarità di Cattelan con la rete inizia molto presto. Nel 1996, il sito americano Ada’web lancia, in collaborazione con Permanent Food, Permanent Foam, “a second generation webzine with a selection ofpages taken from sites all over the world wide web.” Il sito – che consentiva di visitare una serie di link e di proporne dipropri, che sarebbero andati a incrementare una frase in progress – è ormai quasi impossibile da navigare, ma ci offre una data di partenza di cui possiamo servirci per scandagliare il lavoro di Cattelan alla ricerca di altre immagini della rete.Un lavoro che sembra avere un’origine probabile, ma non certa, in un’immagine reperibile in rete è il cavallo con la testa incastrata nel muro realizzato nel 2007. Cercate “stupid horse” su Google Immagini e ne rintraccerete facilmente l’origine nell’immagine di un cavallo la cui testa si è incastrata accidentalmente in un albero. Cattelan introduce alcune modifiche: il suo cavallo è sospeso a un’altezza considerevole, come se si fosse incastrato nel muro saltandoun ostacolo, o come se andasse a “completare” un trofeo di caccia non visibile, posizionato sul lato opposto della parete; eppure, i riscontri con una delle due immagini che documentano l’incidente sono molto forti. Ancora una volta,Cattelan fa propria un’immagine trovata, facendone un veicolo di contenuti fortemente personali, ma anche riformulandola e reimmettendola nel circuito mediatico, in modo che possa essere usata da altri.
In altri casi, il rapporto di dare-avere tra l’immaginario vernacolare di internet e il lavoro di Cattelan risulta meno dimostrabile, ma non per questo meno suggestivo. Credo si possano individuare almeno tre tipologie di rapporto, perverificare le quali sarà necessario, tuttavia, recuperare dei dati al momento non disponibili:
1. derivazione diretta: Cattelan vede un’immagine, e ne trae un’idea;
2. ricerca iconografica: Cattelan ha un’idea, e prima di realizzarla, da quel gran “aggregatore di immagini” che è, avvia un processo di ricerca iconografica per parole chiave correlate, allo scopo di studiare casistiche simili e individuare la sua strada;
3. interferenza: l’immagine di Cattelan si inserisce in un flusso e lo condiziona in maniera irreversibile.
Sarebbe interessante, ad esempio, capire la relazione tra A Per- fect Day (1999), il lavoro in cui Cattelan ha messo al muro il suo gallerista Massimo de Carlo, e il “taped to wall meme” che si ritrova in innumerevoli immagini e video disponibili in rete. Derivazione o interferenza? Difficile capire se il meme fosse già attivo nel 1999, o se la gente stia semplicemente ripetendo il gesto di Cattelan, diventato popolare fuori dal circuito dell’arte.
Altrettanto interessante sarebbe capire l’origine di Untitled (2000), la fotografia dell’uomo con un grosso tappo in bocca, che ricorda molto le fotografie – molto diffuse in rete – dei fenomeni che si riempiono la bocca con qualsiasi cosa.
E ancora: che relazione c’è tra Betsy (2002), l’anziana signora seduta nel frigorifero, e le numerose immagini di belle ragazze che hanno scelto di fare la stessa cosa? Tra i due conigli dai grandi occhi del 1996 (Untitled) e l’ossessione vernacolare per l’ingrandimento delle pupille, che pesca nella cultura manga, nel porno e nelle biotecnologie? Tra i bonari cagnoloni che accudiscono un pulcino e il diffuso interesse per immagini che documentano la bizzarra relazione tra animali di specie diverse? Siamo poi così certi che immagini celeberrime come l’asino seduto (Untitled, 2004), lo scoiattolo suicida (Bidibidobidiboo, 1996), lo struzzo con la testa nel parquet (Untitled, 1997), la vacca dalmanubrio di vespa al posto delle corna (Untitled, 1997), l’asino che porta in groppa un televisore (If a Tree Falls…, 1998), il fachiro sepolto (Mother, 1999), l’elefante del Ku Klux Klan (Not Afraid of Love, 2000), e persino l’Hitler inginocchiato (Him, 2001) o il papa colpito dal meteorite (La Nona Ora, 1999) non abbiano un’origine bassa e vernacolare, o non siano stati scoperti per caso navigando in quella foresta dei segni che era la città, e che è la rete.

Conclusioni
Diventare immagine significa uscire dalla condizione in cui un’opera viene chiamata per nome, in un ambito discorsivo piuttosto ristretto, e abbracciare la condizione delle immagini che tutti conoscono, pur non sapendo come si chiamano e da dove vengono. Cattelan ci è riuscito più di chiunque altro. I suoi lavori scultorei sono fatti per essere fotografati, condivisi, manipolati da altre persone più o meno anonime.
Si direbbe che sono nati per essere usati in un “demotivational”. E spesso riemergono nel circuito dell’informazione a partire da ricerche casuali, come “squirrel suicide”, “sitting donkey”, “dead horse”. Pochi artisti condividono la stessa consapevolezza delle modalità di circolazione mediatica delle immagini. Cattelan l’ha dimostrato con i suoi progetti editoriali, Permanent Food e Toilet Paper. L’ha dimostrato con la sua recente retrospettiva, che sta letteralmente invadendo la rete con una documentazione fotografica caleidoscopica. L’ha dimostrato con L.O.V.E (2010), il primo vero “mememento” della storia dell’arte: un monumento destinato ad essere fotografato, condiviso, usato come emoticon in una chat, o come risposta ad una email.

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Domenico Quaranta