Ogni volta che ci confrontiamo con una nuova mostra di Pietro Roccasalva viene da chiedersi: a quale stadio siamo? A che punto del gioco? Un gioco di epifanie, s’intende, che attenendosi ai canoni della sua mitologia personale non manca tuttavia di aprire squarci visionari sul senso e sulle prerogative della rappresentazione, accelerando vertiginosamente i ritmi di quella che Henri Focillon chiamava La vie des formes. E tuttavia in questa sua più recente esibizione alla Galleria Zero c’è un punto apparentemente bloccato, lignificato com’è in una cornice circolare che ne sanziona il carattere di corpo estraneo e al contempo di snodo centrale del discorso. The Wooden O a cui allude il titolo — che rimanda al nome con cui era conosciuto il luogo deputato delle rappresentazioni shakespeariane — isola una sorta di cuore di tenebra nell’articolarsi di una scritta al neon sulla parete della prima stanza, la cui fluidità e la cui significanza ne risultano così inceppate.
La O della parola ALLEGORIA si conforma al carattere delle rimanenti lettere illuminate che la compongono, senonché, invece del fluido luminoso che anima il resto della parola, si rivela costituita di legno sottilmente sagomato, cornice circolare che delimita una porzione di muro su cui l’artista, utilizzando la tecnica classica dell’affresco, ha effigiato uno dei tanti personaggi ricorrenti nel suo bestiario, sgargiante e grottesco, come fosse piovuto lì direttamente da qualche libro di favole. E in un turbinoso universo allegorico precipitiamo vieppiù nella sala seguente, dove tutto avviene all’interno dei quadri. Il più grande, Study from Just Married Machine (Merrymusk) (2015), una trasfigurazione in chiave pittorica di un tableau vivant esposto in una precedente occasione, possiamo prenderlo a esempio del virtuosismo affabulatorio di Roccasalva, della sua capacità di manipolazione iconica dell’immaginario. È il reame dell’incessante metamorfosi, la reinvenzione di un tempo mitico in cui i connotati di cose e persone si ibridano incessantemente. È il tempo delle maschere, che si sovrappongono e si sdoppiano deformandosi le une dentro le altre. È un’odissea a ritroso, nostos alla ricerca di un’origine immemoriale delle forme, alle radici del mito, e, contemporaneamente, una fuga tangenziale lungo il proliferare dei simulacri che, sulle ceneri del mito, ha edificato la modernità.
by Alberto Mugnaini