Thomas Hirschhorn Man, Nuoro

16 Ottobre 2015

“Perché è così importante – oggi – mostrare e guardare le immagini di corpi umani dilaniati?” è un interrogativo che accompagna la ricerca di Thomas Hirschhorn ormai da dieci anni, spesso elaborato attraverso il medium del collage: l’atto più semplice – come sostiene l’artista – e insieme il più potente, per la sua capacità intrinseca di dare forma a una nuova visione del mondo. Con questa forma basica di assemblaggio, Hirschhorn dichiara la sua opposizione alla relazione semplificata con l’immagine a cui ci ha abituato la comunicazione mass-mediatica, costruita su una combinazione di eccessi e rimandi subconsci che nega il carattere multiforme della realtà, per presentarcene solo una versione, la verità, l’icona funzionale alla narrazione del potere.

Al piano comunicativo dei media, Hirschhorn oppone il proprio, programmaticamente crudo, accompagnato da contributi testuali e, nel caso della mostra al museo MAN, anche da un tavolo-teca in cui illustra il suo metodo di lavoro.

Il progetto espositivo presenta tre grandi lavori a parete, “Easycollage”, e sei piccoli “Collage-Truth”; le due serie sono esposte per la prima volta insieme e il contrasto delle dimensioni, visivamente armonizzato e concettualmente negato dall’allestimento black-box, scaglia un ulteriore attacco alle gerarchie della comunicazione.

Tutti i lavori accostano i corpi dilaniati dalla guerra, fotografati in cattiva qualità con smartphone dai testimoni degli orrori, e quelli patinati delle campagne pubblicitarie di moda. Se da una prima occhiata veloce (quella su cui spesso, purtroppo, calibriamo il nostro sguardo) emerge il puro contrasto fra i due mondi accostati, il soffermarsi davanti all’immagine ci fa scoprire una lunga serie di somiglianze, nelle pose, negli atteggiamenti, nelle costruzioni spaziali, che rompono le nostre assuefazioni, o ipersensibilizzazioni, per ricondurci alla semplicità delle cose: stiamo guardando esseri umani. Ce lo ricordiamo, oggi, quando abbiamo davanti un’immagine giornalistica?

by Micaela Deiana

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