Il titolo, in questo caso, predispone non solo al contenuto dell’esposizione, quanto piuttosto al modo di fruirla. Flow_1 (il che significa trattarsi di un inizio, della prima fase di “un progetto continuativo”), ha avuto una preparazione relativamente lunga, un paio di anni circa, fra appuntamenti in Cina e in Italia per giungere a questa edizione ospitata alla Basilica Palladiana di Vicenza, e che si sposterà a Pechino nel 2016.
La pubblicazione editata per l’occasione, volutamente in cinese e italiano evitando la lingua ‘di nessuno’, cioè l’inglese, ripercorre le diverse tappe dell’ideazione e della realizzazione, con l’esplicito desiderio da parte di entrambi i curatori (Maria Yvonne Pugliese e Peng Feng) di chiarire le ragione di un progetto culturale pensato come una dialogia fra culture, le quali evidentemente stanno cercandosi, mettendo in gioco le proprie visioni del mondo fra arte e filosofia, altro elemento questo che percorre l’intero progetto, e che si concretizza per la parte italiana con due intensi saggi di Marcello Ghilardi e Iler Melioli, il quale è presente nel percorso con una delle opere forse più complesse: Connections (ritagli di un pensiero visivo). Non è esente nemmeno un’apertura da etica della responsabilità, quale condizione per chi si occupa di progettazione culturale: “Questa non è dunque una mostra che medita su se stessa e sulla situazione del mercato dell’arte, ma è una mostra che rivaluta l’autenticità del pensiero dell’artista, e ne vuole fare il fulcro di reciproca comprensione” (Pugliese). Gli intenti, per quanto condivisibili, devono però tradursi in un’esperienza rivolta ad altri. Ed è qui che la proposta ben restituisce il concetto di fluire nella concreta esperienza del percorso espositivo. Si avverte nell’alternarsi di opere, anche molto diverse fra di loro, l’assenza di forzature. Per quel che riguarda la componente italiana si tratta di presenze artistiche note, che hanno evidentemente accettato di stare al gioco dei due curatori, partecipando con lavori molto puntuali. Ne è sortito qualcosa di armonico e rigoroso, con accostamenti non casuali fra artisti cinesi e italiani, una sorta di atmosfera che ha tolto ai lavori cinesi quell’aria ‘orientale’ un po’ di maniera, così come relativamente poco di ‘italiano’ vi è comunque nei lavori presentati da Kaufmann, Vescovi, Serse o Bianco-Valente. Anche quando è stata osata la proposta ‘site specific’ in un luogo facilmente fagocitante, come ha fatto Cristina Treppo per l’ingresso mostra, ci si è ritrovati di fronte ad una inconsueta articolazione dell’idea di portale. Idea che in qualche modo ritorna negli ironici quanto calibratissimi Arcomoka di Alberto Scodro. La stessa differenza dei mezzi espressivi non genera problemi, si passa da una soluzione all’altra prestando attenzione soprattutto ad una sorta di imprevista continuità del sentire: ad esempio fra Eysajan Tursun, con un bel video fra musica, danza e calligrafia islamica, matrice culturale dello Xinjiang da dove proviene l’artista, e i grandi volti velati di popoli scomparsi di Patrick Tuttofuoco. O fra le strutture di carta di Li Hongbo e i poster cuciti di Stefano Arienti. Ma è nel suo insieme che fra Cina e Italia, come si suol dire, ‘tutto si tiene’, passando questa volta per Vicenza una nuova via della seta.
by Riccardo Caldura