È il viaggio itinerante dell’Ulisse di Omero e James Joyce a fornire le basi di “I Will Go Where I Don’t Belong”, la sesta edizione di Volcano Extravaganza diretta dall’artista francese Camille Henrot e dal curatore Milovan Farronato. Tra onde minacciose e forti venti delle Eolie, notizie di traghetti annullati e persone bloccate prima di salpare per Stromboli, il festival di una settimana si è inaugurato con un tema che non poteva essere più appropriato: il “naufragio”.
Ambientata nella residenza di Fiorucci Art Trust, una mostra collettiva curata da Camille Henrot ha esplorato con profondità, e anche un tocco di umorismo, il fascino, i pericoli e l’esotismo della navigazione e del naufragio. Entrando nello spazio, si viene accolti da un dipinto su muro di Henrot; le pennellate rapide e incisive tracciano uomini e creature fantastiche nell’atto di copulare in stravaganti posizioni tra le onde blu del mare. Opere di artisti contemporanei condividono lo spazio con antiche stampe di navi in balia dei venti e curiose fotografie in bianco e nero di vita di bordo, provenienti dalla collezione della famiglia Henrot. A rafforzare la percezione del naufragio in una dimensione mistica e ultraterrena contribuiscono la scultura di Mike Nelson “Diyagram (Amnesiac beach fire)”, l’opera di Maria Loboda “Witch’s Ladder” composta da una corda di mare intrecciata con piume di fagiano, e Isola & Norzi “Altrove” un telescopio attraverso il quale un punto nel paesaggio è rinviato su se stesso.
Un video da YouTube, di marinai travestiti da donna in sfilata, trova un corrispettivo in una serie di giornali illustranti la cerimonia propiziatoria “Crossing the Line”: il rito di passaggio dell’Equatore, quello che si credeva essere il limite di demarcazione oltre il quale il mondo era capovolto, dove le persone camminavano a testa in giù, gli uomini diventavano donne e le gerarchie sociali venivano ribaltate. Il vibrante desiderio erotico, collegato al sovvertirsi dei ruoli e alla possibilità di diventare altro, ha determinato il tono della settimana a venire. Per la prima volta Volcano Extravaganza ha spostato l’attenzione del festival dall’energia eruttiva del Monte Stromboli a una dimensione più introspettiva, proponendo una riflessione sullo stato mutabile e incerto di “appartenenza”, con serate dedicate all’esplorazione dei temi dell’”isolamento”, dell’”inadeguatezza” e del “pericolo ed erotismo delle distanze” tra gli altri. A questo cambiamento di tono anche il vulcano sembrava concordare rispondendo con discreti brontolii e qualche sbuffo di sottofondo. L’artista David Horvitz ha offerto una tisana afrodisiaca e una profetica invitando le persone a documentare i sogni fatti sull’isola, poiché è noto che il vulcano porti sogni vividi e premonitori. L’enigmatica opera di Maria Loboda, “Nobody could explain this, that’s the way it was”, consisteva in una portantina all’interno della quale apparivano oggetti dimenticati – tra cui una stola di pelliccia, una confezione di Advil, delle pantofole, delle ossa animali. Ogni notte, come una visione, questo lavoro compariva in un luogo diverso, alludendo ad una presenza misteriosa e sfuggente che sembrava averci preceduto nel viaggio.
Gli artisti invitati hanno trascorso tre settimane presso “La Lunatica” – residenza di Fiorucci – per produrre opere site-specific. Le presentazioni hanno incluso proiezioni, mostre, eventi musicali in collaborazione con Vinyl Factory, e altre occasioni di riunione, fornendo una giusta combinazione tra intrattenimento, scambio e riflessione. Anche se il festival è gratuito e aperto al pubblico, è frequentato principalmente da una cerchia ristretta di artisti, curatori, collezionisti e giornalisti; nessuno appartenente all’isola ma tutti attratti dall’idea di ritornarci.
Dopo giorni trascorsi in tentativi falliti di attraversare il mare in burrasca, l’artista Ragnar Kjartansson ha toccato terra come un Robinson Crusoe, trascinato a riva con solo una chitarra come risorsa. Ma forse, come l’artista ha precisato, il miglior modo per raggiungere Stromboli dalI’Islanda sarebbe stato attraversare i canali dei vulcani, come descritto nel “Viaggio al centro della Terra” di Jules Verne. La sua performance, che dalla spiaggia è stata poi riproposta all’arena del locale Megà, è risultata coinvolgente e tragicomica. Ad accompagnarlo nel concerto, due incantevoli assistenti che facevano da reggi microfono e l’ammaliante voce della cantante Kristín Anna Valtýsdóttir. L’occasione ha meritato fuochi d’artificio e champagne.
Il dialogo tra mondi interni ed esterni, la loro fluidità e interscambiabilità è stato un tema ricorrente. L’artista Joana Escoval, che nel corso degli ultimi due anni ha trascorso dei lunghi periodi di permanenza a Stromboli, ha invitato i partecipanti a seguirla in una camminata in territorio inesplorato. Con l’aiuto del vulcanologo e guida Stefano Oliva, Escoval ha creato un sentiero attraverso la fitta vegetazione lungo le pendici della montagna che presto riscomparirà, inghiottito dagli arbusti selvatici. Lontano dai percorsi turistici, i partecipanti si sono lentamente incamminati, non attrezzati al meglio per il trekking ma spinti dalla voglia di scoprire cosa li avrebbe attesi. Il percorso è stato scandito da tappe in cui i partecipanti potevano selezionare dei discreti oggetti metallici che l’artista – nota per la sperimentazione degli effetti di leghe metalliche sul suo respiro, umore e pelle – aveva creato e posizionato nel paesaggio. Come antenne che ricevono segnali dall’etere, gli oggetti sono stati indossati o portati lungo il cammino, diventando conduttori tra l’energia del corpo, della mente e dell’ambiente circostante.
Un altro tipo di decisione veniva richiesta dall’opera “Buffalo Head”, una storia recitata in maniera avvincente da Amira Ghazalla, scritta a più mani da Camille Henrot, Jacob Bromberg, David Horvitz, Maria Loboda e Milovan Farronato. Il pubblico che vi assisteva poteva scegliere democraticamente tramite votazione sul momento, verso quale biforcazione narrativa indirizzare la protagonista della vicenda: se verso una trasformazione sessuale o solo un travestimento, un pianto disperato e senza fine o un matrimonio principesco.
La figura di Karin nell’iconico film “Stromboli” di Rossellini – una profuga e prigioniera di guerra che non riesce ad integrarsi alla comunità ottusa e conservatrice dell’isola – è stata presa come altro punto di riferimento per indagare la condizione di inadeguatezza e alienazione. I curatori sono stati toccati dalle storie di vita di persone che hanno trovato in Stromboli – luogo di esodo migratorio nel dopoguerra, ora meta di vacanze estive – un posto piu’ ospitale e che hanno deciso di fare dell’isola casa propria. Alcuni residenti sono stati coinvolti in una parte importante del festival: per cinque serate, alcuni Stromboliani hanno aperto le loro case e condiviso piacevoli momenti fatti di cibo delizioso e proiezioni di film scelti da Henrot. Ritrovarsi insieme davanti ad un televisore oggi, nell’era di Netflix, fa rivivere i tempi in cui era vissuta come un’esperienza sociale e comunitaria.
Sotto il buon auspicio di un’ipnotica luna rossa, il festival si è concluso con il tema di ”esilio” per la traversata notturna di ritorno verso Napoli ed un ultima sosta alla mostra di Camille Henrot “Luna di Latte” al MADRE. Gli straordinari interni in stile anni ’80 e le luci al neon del ristorante a bordo della nave Siremar, hanno fatto da cornice alla cena dal tema “glam”. Mentre alcuni passeggeri dormivano in passaggio ponte, David Horvitz distribuiva l’ultimo dei suoi infusi magici e i partecipanti, uno dopo l’altro, hanno lanciato fuoribordo sfere di vetro contenenti il fiato dell’artista tra le onde illuminate dalla luna, ipotizzando ad alta voce verso quali spiagge esotiche sarebbero approdate.
L’idea della transitorietà della vita, considerata come fuga, arrivo, partenza, stallo o scelta di fare di un posto straniero la propria casa, ha caratterizzato l’attuale edizione di Volcano Extravaganza, che quest’anno si è allontanata dalla dimensione spettacolare a favore di un’esperienza più introspettiva e cerebrale. Nonostante i curatori si siano impegnati a trattare temi odierni come l’esilio e l’esodo, hanno scelto di prendere volutamente le distanze dall’attuale crisi migratoria che coinvolge il Mediterraneo, optando per una riflessione sulla loro condizione mitologica ed esistenziale. La serata si è conclusa con un toccante discorso di Anna Boughigian, una riflessione sulla condizione solitaria e dolorosa dell’esilio ma anche sulle infinite possibilità che offre la migrazione verso altri luoghi: “Dopotutto, qualcuno appartiene davvero a questo pianeta? Non lo so se qualcuno davvero vi appartiene. Quindi, tutti coloro che vivono su questo pianeta, in qualche modo, sono in esilio.” All’arrivo a Napoli, con il disperdersi della comunità convenuta durante il festival, ognuno verso la propria meta, non si poteva fare a meno di riflettere sull’instabilita’ della nostra comoda e privilegiata esistenza.
Silvia Sgualdini