Angela Missoni

15 Marzo 2017

“Il Collezionista” è la nuova rubrica a cura di Gea Politi e Giulia Gregnanin. Strutturata in una serie di interviste alle personalità che costituiscono il collezionismo italiano, è un campionamento di attitudini, gusti, visioni che mostra la varietà e le peculiarità delle collezioni.

Gea Politi: Angela, la tua collezione d’arte è molto eclettica e diversificata, mi chiedevo se tu stessa avessi pensato a una definizione.

Angela Missoni: Se fossimo in un’epoca diversa potremmo chiamarla un cabinet de curiosités. Non sono una collezionista, sono un’assemblatrice. Ho collezioni di tante cose.

GP: Sì, perché non si tratta solo di arte contemporanea. Compri sia nei mercatini che nelle gallerie, senza fare differenze. Sembra rispecchi il tuo modo di essere.

AM: All’interno della mia casa si trova la mia personalità, la mia vivacità. Sono molto curiosa, cerco di andare al fondo delle cose. Quando mi chiedono qual è la mia qualità rispondo “gli occhi”. Vedo a un livello di definizione che con il tempo mi sono accorta non essere da tutti. Vivo cercando di migliorare quello che mi circonda, dai vestiti agli ambienti. Sono alla costante ricerca di armonia per me e chi vive e lavora con me.
Inoltre guardo avanti. Questa è un’altra mia caratteristica, sono proiettata verso il futuro, seppur cercando di godere del presente e custodendo un passato molto importante. Sono cresciuta in azienda e tutti i miei ricordi sono legati a dei vestiti, a dei dettagli. Mi ricordo ogni singolo capo alla sfilata al Teatro Gerolamo di Milano nel 1966 Palazzo Pitti del 1967 – all’epoca avevo 7 anni. I dettagli dei capi.
In vent’anni da direttore creativo ho mantenuto l’identità di Missoni seppur reinventandola nel tempo, ridandogli uno slancio, spinta dal coraggio dell’incoscienza. Ho adattato e aggiornato il vocabolario dello stile Missoni inventato dai miei genitori quasi 65 anni fa, aggiungendo le parole di un discorso che sono quelle congeniali a me e contemporanee.

Giulia Gregnanin: Mi chiedo come queste tue due qualità – dell’attenzione al dettaglio e del guardare avanti – abbiano influito sulla collezione d’arte contemporanea.

AM: Non so se hanno influito e se l’hanno fatto è con spontaneità. Ci sono opere e non opere. Oggetti. Ad esempio semplici bottiglie in vetro, un’opera di Do Ho Suh, i piccoli dettagli delle librerie di Branzi dialogano nello stesso ambiente.

GP: Acquisti questi oggetti perché ti ricordano qualcosa?

AM: Li acquisto perché ne sono attratta e mi sono resa conto che certi oggetti mi riportano indietro, a partire dall’arredamento, spesso presenti in qualche casa in cui ho vissuto. Queste sedie della veranda mi seguono dagli anni ‘80. Sono le sedute che si trovavano nel giardino dell’hotel in cui andavo con i miei nonni a Ischia.

GG: Si potrebbe dire che le opere della tua collezione siano tracce mnemoniche che intersecano ricordi passati al tuo gusto contemporaneo. La componente dell’attraversamento, dell’incrocio, la vedo molto forte, anche nell’accostare oggetti d’artigianato e opere da galleria. Potrebbe essere forse una parte del vocabolario della collezione. 

AM: Credo di sì. Comunque ci tengo a sottolineare che non cerco nulla nelle opere, se non la sorpresa. Per questo amo i mercati, gli empori di seconda mano, qualsiasi luogo che possa serbare dei colpi di scena.

GP: Il collezionismo è una passione di famiglia?

AM: Sicuramente lo è per mia madre, la mia è una evoluzione del suo gusto. Conosco il suo gusto a menadito e, peraltro, lei conosce e si è aggiornata al mio. Oggi mi viene dietro su cose che prima non avrebbe considerato.
Anche i miei genitori vivono in una casa eclettica, assolutamente molto personale, dove prezioso e non prezioso si incrociano. Hanno iniziato collezionando opere di diversi amici artisti, da Luciano Minguzzi a Roberto Crippa, ma erano altri tempi. Nel ’72, quando ci siamo spostati a Sumirago, mio padre ha realizzato 6/8 dipinti da “mettere sui muri”, perché finita la casa non avevano sufficiente denaro per comprarsi delle opere. I dipinti sono poi stati esposti al MA*GA di Gallarate in occasione della mostra “Missoni. L’arte, il colore” (2016).

GP: Più avanti hanno anche iniziato a collezionare al di fuori della loro generazione?

AM: Si, mia madre qualcosa di più. Mio padre ha acquistato opere di Bruno Cassinari, Filippo de Pisis, Fortunato Depero, Mario Sironi, Giacomo Balla.

GP: Molti italiani. Sempre e comunque un attaccamento alle radici, anche da parte tua, anche se nella tua collezione d’arte ci sono molti artisti internazionali.

AM: Si, solo italiani. E qualche cosa della sua terra – oggi Croazia, per lui sempre Dalmazia – come Ivan Rabuzin e Ivan Generalić.

GP: Ti ricordi il primo lavoro che hai acquisito?

AM: Mi sono fatta regalare da mio padre dei totem di Roger Selden esposti alla Galleria del Naviglio. Avevo 18 anni.

GP: E qualcosa che hai acquistato tu e che non sei mai riuscita a vendere per il forte attaccamento? 

AM: Non ho mai venduto niente di quello che ho comprato. Ora mi rendo conto di possedere delle opere che ho acquistato d’impulso e che non so dove sistemare, che dovrei pensare di vendere perché soprattutto mi dispiace lasciare nelle casse.
Un lavoro a cui sono particolarmente affezionata ad esempio è l’opera di Aristarkh Chernyshev & Vladislav Efimov che vedi all’ingresso, acquistata al mio primo Frieze. Quello che mi è piaciuto è aver avuto l’opportunità di vivere l’atmosfera dei primi Art Basel Miami e delle prime piccole fiere collaterali. Ad esempio ho acquistato Máximo González quando Scope Art Fair era in alcune piccole stanze di un albergo a Miami (2004). Lì González aveva presentato alcune opere di carta dove aveva ritagliato dei pesos messicani riprendendo i vari dettagli e ridandone senso.

GP: Da quanto capisco non hai mai acquistato in aste.

AM: No, ho acquistato ad alcuni dopo-asta ma non ho mai partecipato ad aste vere. È il tempo, non riesco a seguire tutto.

GP: Qualcuno ti ha mai consigliato cosa acquistare – come advisors, galleristi, amici?

AM: Ho tanti amici galleristi, con cui condivido certe sensibilità.
Sono molto legata a Mariuccia Casadio, ci siamo conosciute tanti anni fa. Spesso lei chiede di accompagnarmi nei miei giri alle fiere perché non sono dispersiva, mi muovo negli spazi e non mi lascio troppo distrarre dagli incontri. Da parte sua capita che mi racconti di artisti di cui non conosco la storia facendomi vedere opere che non conosco Ma capita anche che io le mostri le mie scoperte.
Non ho comprato niente con un advisor, è sempre stato il mio gusto personale. È raro che compri nell’ottica di “dover assolutamente avere un’opera di questo artista”. Anzi, non esiste. Ecco, sono molto felice di avere preso questa foto di Nan Goldin, era quindici anni che l’avevo vista e poi mi è capitata. Ecco, non sono andata in giro a cercarla.

GG: Nella collezione, a saltare all’occhio, è una massiccia presenza di figure zoomorfe, fitomorfe. Come se volessi ricreare una natura in casa.

AM: Forse sì, ma solo nelle opere. Paradossalmente a parte la veranda, che considero come parte dell’esterno, in casa ho pochissimi fiori veri. Sono tutti fiori finti, esageratamente finti. Di tutte le nature di fintismo possibili e immaginabili. Possiedono il dono di mettere in allegria.

GG: Invece come mai questa curiosa attenzione verso le mani? È una parte del corpo che ritorna spesso nella tua casa.

AM: Ci stavo proprio riflettendo ultimamente. Quella esposta è una parte della collezione ma ne ho molte altre ancora in scatole dall’ultimo trasloco. Un giorno troveranno il loro posto. La mano è cura, affetto ma anche la manualità, il fare.

GG: Hai tantissime sedie. Anche quelle piccole sedute in vimini riservate ai bambini, legate all’infanzia.

AM: Quelle sedie testimoniano la mia attrazione verso il mondo dei bambini. Ho collezionato libri per bambini prima di avere i miei figli. Libri di animazione, illustrazione, pop-up, cartoline 3d e lenticolari, mobili.

GP: In un’intervista hai dichiarato che da piccola volevi diventare architetto e ridisegnare l’esistente sia attraverso l’architettura che tramite oggetti per bambini.

AM: Uno dei mestieri che avrei potuto fare sicuramente è l’architetto o il designer. Questa casa, come nelle altre, ogni dettaglio l’ho immaginato io. Mi piace tantissimo.

GG: Che poi immagino ogni casa abbia la sua identità. 

AM: Sì, assolutamente sì. Ad esempio la nuova campagna di Missoni per l’estate è stata realizzata nella casa in Sardegna, dove ho altre collezioni: ceramiche del Sud Italia, cesti sardi, conchiglie. È sicuramente legata a una mediterraneità.

GP: Chi ha avuto l’idea di affidare alcune campagne pubblicitarie ad artisti? Come ad esempio quella dell’autunno/inverno 2011 diretta da Kenneth Anger, uno dei video più belli che abbia mai visto per un teaser di moda. 

AM: Io. La parte del suo lavoro che mi interessava era la texture dei suoi video.

GP: E l’anno successivo Anger è stato preso alla Biennale del Whitney. Da lì ho iniziato a interessarmi molto alla tua persona. Ho pensato che fossi molto legata all’arte contemporanea in un modo in cui, magari, non ti rendevi nemmeno conto. Hai avuto altre collaborazioni con artisti?

AM: Quando è arrivato il Museum of Everything di James Brett nel 2009 a Londra mi sono subito detta: questa qui è casa mia. In quel momento avevo avviato la collaborazione con Juergen Teller. Era da un po’ che volevo realizzare un’immagine come la copertina dell’album Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, che ritraesse famiglia e amici. Allora ho capito che dovevo cercare Peter Blake – autore della celebre cover – che in quel momento, coincidenza vuole, stesse curando una mostra al Museum of Everything. Mi trovo dunque a rincorrerlo fino a incrociare Brett.
Al Museum of Everything, come è risaputo, è vietato fotografare. Ecco, io sono riuscita a convincere Brett ad autorizzare Juergen Teller a scattare foto dentro al museo, che Peter Blake avrebbe in seguito ritagliato per fare il fotomontaggio. Da questa foto ho realizzato una cartolina lenticolare che ho pubblicato su Tar.

GP: Ci sono delle immagini di artisti a cui ti rifai per realizzare una campagna?

AM: Può essere successo. Sicuramente in passato. Ancora mi ricordo la campagna con Mario Testino del 1997 in cui abbiamo cercato di creare un’atmosfera Bloomsbury.

GP: Molte case di moda in Italia e Francia aprono le loro fondazioni d’arte. Cosa ne pensi?

AM: Ben venga. Si tratta di persone con capitali tali che possono permettersi di investire su progetti meravigliosi. Per fortuna che ci sono e che hanno questa visione da regalare al mondo. Siamo tutti felici.

GP: Tu non sei interessata?

AM: Un progetto che mi piacerebbe portare a termine prima della mia uscita di scena – o anche dopo – è l’apertura del Museo Missoni. Abbiamo un archivio immenso, che è un patrimonio per il nostro paese e per la storia della moda internazionale.

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