GP: Alla 74a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, sono stati presentati Looking for Oum Kulthum di Shirin Neshat e Controfigura di Rä di Martino, entrambi prodotti dalla sua casa di produzione cinematografica In Between Art Film. Qual è stato il riscontro?
BB: I feedback sono stati molto positivi. Il film di Shirin Neshat ha avuto grande affluenza di pubblico nella rassegna Da Venezia a Roma, è stato presentato anche al Paley Center di New York, all’International Film Festival di Toronto, al London Film Festival, Hamburg Film Fest oltre che allo Schermo dell’Arte di Firenze ed è invitato all’Ajyal Youth Film Festival. È cominciato il viaggio autonomo di questo film in attesa di una distribuzione nelle sale. Neshat è riuscita ad affascinare con una storia che cattura dal primo momento, creando visioni di grande impatto coloristico e pittorico, per poi immergersi nel percorso narrativo di Oum Kulthum, leggendaria cantante egiziana che diventa lo specchio della ricerca della regista.
Il film Controfigura di Rä di Martino ha vinto l’Eurimages Lab Project Award al Karlovy Vary Film Festival ed è stato presentato all’Annency Film Festival e in diversi musei italiani associati all’AMACI – come ad esempio il MAXXI – e recentemente anche a Lo Schermo dell’Arte di Firenze. C’è una rete capillare di distribuzione che gioca anche sul costruire delle serate ad hoc come film evento.
GP: Dal suo punto di vista, che differenza sussiste tra un film d’artista e un film commerciale?
BB: Bisogna tenere conto che nell’ultimo decennio un numero sempre crescente di artisti visivi ha iniziato a confrontarsi con produzioni cinematografiche di lungometraggi. In Between Art Film indaga il confine ancora poco esplorato tra il film d’artista e il film commerciale. Solitamente si pensa ai film d’artista come qualcosa di lontano dal grande cinema, allo stesso tempo il grande cinema può presentarci (da Buñuel, a Deserto rosso di Antonioni) scene completamente visionarie, che nulla invidiano all’arte contemporanea. I film commerciali e i film d’artista prendono vita da due concetti diversi: il cinema commerciale parte da presupposti, anche di riscontri economici, sottoposti a leggi industriali di investimento e profitto. Il film d’artista, invece, nasce da un’urgenza artistica, per lo più artigianale, che consente all’autore di muoversi con grande libertà di tempi, di budget e senza la pressione di sottostare alle leggi dell’industria cinematografica e del mercato.
Inoltre il fine del film d’artista è quello di essere fruito da un pubblico che oltre a frequentare gallerie d arte e musei abbia dimestichezza con i festival.
GP: Quanto è complessa la distribuzione e chi è il pubblico finale?
BB: È una questione aperta, sulla quale si creano molte tavole rotonde. Credo dipenda dall’artista, dalla produzione, dallo spirito con cui è nato il progetto, dal budget, dagli attori coinvolti, se ci sono: è un momento di grande attenzione per un genere ibrido che sta vedendo crescere un “nuovo spettatore”. Ne riparliamo tra qualche anno o forse mesi? è tutto molto rapido.
GP: Ci sono stati altri casi di film da lei prodotti che hanno visto una grande distribuzione?
BB: Sì, per esempio il film di Orhan Pamuk Innocence of Memories diretto da Grant Gee, distribuito dalla Nexo Digital su grande schermo in più di ottanta sale in Italia nel ciclo Grande Arte al Cinema.
GP: Come seleziona i film da produrre?
BB: In generale è un po’ per innamoramento. Ad esempio, quando Rä di Martino mi ha presentato il progetto del film Controfigura, mi ha raccontato delle sue ispirazioni: la pellicola The Swimmer del 1968, diretta da Burt Lancaster, tratta da un breve racconto di John Cheever. A quel punto ho visto il film e ho letto il libro, così da immergermi il più possibile in ciò che aveva emozionato l’artista. Immediatamente mi sono sentita totalmente coinvolta.
Dopodiché tendo a lasciare molta libertà sul progetto. Occorre tenere conto che si tratta di artisti/registi. Probabilmente, se fossi un produttore di cinema commerciale e se non fossi d’accordo con una scena, interverrei. Nella mia posizione attuale non voglio farlo, perché sarebbe un’intromissione in un lavoro più autoriale, personale e artistico.
GP: Qual è stato il film o il progetto più ambizioso che ha prodotto ad oggi?
BB: Recentemente ho prodotto Notes de nos voyage en Russie di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, realizzato in occasione di Documenta 14, che mi ha molto entusiasmato. Forse, però, il progetto più ambizioso è The Lack (2014) del duo artistico Masbedo. Il film rappresenta sei personaggi femminili che affrontano il loro viaggio di conoscenza in una natura sublime e misteriosa. Si tratta del primo film che mi ha permesso di collaborare allo script, frutto di un lavoro a otto mani, con il contributo di Mitra Dishvali per la sceneggiatura. Si è trattata di una costruzione lenta ma straordinaria, che mi ha lasciato il segno e ancora adesso mi suscita emozioni molto forti.