Con “Non ti abbandonerò mai”, una mostra che analizza la ricerca di Franco Mazzucchelli tra l’inizio degli anni Sessanta e la fine degli anni Settanta, il Museo del Novecento ci presenta il ritratto di un artista coraggioso, per diversi motivi. Il primo e probabilmente il più ovvio, sono le modalità con cui Mazzucchelli ha scelto di lavorare, non solo rispetto alla sperimentazione coi materiali plastici, ma soprattutto per via dell’impiego dell’arte come mezzo d’intervento sociale.
Gli Abbandoni di Mazzucchelli sono delle grandi sculture gonfiabili in PVC che a partire dal 1964 l’artista lascia negli spazi pubblici senza preavviso, mentre le Sostituzioni (come quella del 1973 esposta nel salone d’ingresso del Palazzo della Triennale) e le Riappropriazioni (è del 1975 quella realizzata in Parco Sempione a Milano) sono ambienti gonfiabili, anche abitabili, che modificano e alterano lo spazio in cui si trovano – rispettivamente interno ed esterno.
Scegliere di uscire dai luoghi deputati all’arte per entrare accidentalmente nella vita delle persone, abbandonando le proprie opere per le strade, richiede una grande dose di temerarietà. Significa avere a che fare con osservatori che nella maggior parte dei casi non sono preparati e predisposti all’incontro con l’opera d’arte e questo innesca meccanismi di ricezione inaspettati, come inaspettato è l’incontro – lo dimostrano i commenti di persone comuni che per caso si sono ritrovate faccia a faccia con le sue sculture anche senza volerlo, esternazioni che Mazzucchelli riporta ad esempio nei lavori che documentano l’azione di piazza San fedele a Milano nel 1970. Significa non avere mediazioni didattiche con i fruitori, offrire il proprio lavoro a una delle interpretazioni più aperte possibile, con il rischio probabilissimo di essere fraintesi, ma anche con l’enorme soddisfazione di scardinare per un attimo la quotidianità, regalando il piacere della sorpresa alle persone che hanno incontrato le opere, come dimostra il video del 1971, quando fuori dalla fabbrica dell’AlfaRomeo ,in via Traiano a Milano, vennero abbandonati alcuni lavori, catapultando il tempo, lo spazio e le persone in una specie d’ilare e giocosa performance nata del tutto spontaneamente. I destinatari non sono più contemplatori ma si trasformano in attori e attivano le sculture: le toccano, ci saltano sopra, le lanciano con grande libertà e senza alcun timor reverenziale. Lavorare in questo contesto significa anche non avere protezioni, non solo sul piano concettuale e di trasmissione del messaggio, ma anche su quello materiale, perché abbandonare la propria opera lasciandola libera di essere utilizzata da chiunque, implica anche il rischio del danneggiamento o ancora l’idea della privazione totale e incontrollata dal proprio lavoro. Significa anche lavorare ai margini del sistema con tutte le conseguenze che questo comporta, anche rispetto al mercato.
Infine il coraggio l’ha dimostrato anche il Museo del Novecento, che avrebbe potuto cogliere l’occasione per mettere insieme un percorso espositivo intrattenitivo e spettacolare, ma che invece sceglie anche questa volta l’approfondimento e lo studio, attraverso una mostra documentale importante, in cui sono esposti pochi gonfiabili (due all’interno e due all’esterno, visibili dalle piazze) e molte fotografie delle azioni, accompagnate da testi e coordinate temporali, su cui l’artista è spesso intervenuto graficamente e che sono poi state montate insieme ai pezzi superstiti delle sculture. Tutti materiali originariamente nati come traccia per una memoria personale, ma che sono poi divenuti opere essi stessi e per la prima volta vengono esposti qui in modo organico. Un’esposizione che mette a segno l’obiettivo di ricollocare il lavoro di Franco Mazzucchelli nel quadro di contesto socio-politico e artistico preciso, estrapolandolo dalla stretta contingenza per guardarlo dalla giusta distanza storico-critica.