Peter Friedl Guido Costa / Torino

26 Giugno 2018

“Report”, terza personale di Peter Friedl con Guido Costa Projects, è una mostra minimale e complessa, composta da una video installazione di grande formato (Report, 2016), e da una scultura, (Teatro (Report), 2016-2018), che dialogano nel buio dello spazio espositivo torinese.
Il punto di partenza del progetto è il racconto di Franz Kafka Una relazione per un’Accademia (1917), in cui una scimmia, durante una conferenza scientifica, racconta in prima persona il suo progressivo percorso di umanizzazione avvenuto durante il viaggio dall’Africa, dove era stata catturata, all’Inghilterra. In una sorta di capovolgimento de La Metamorfosi (1915), il protagonista sottolinea più volte che la decisione di voler apprendere il comportamento umano è nata solo per poter uscire dalla stretta gabbia in cui si era trovato rinchiuso sulla nave.
Per la video installazione Report, presentata nel 2017 ad Atene e a Kassel in occasione di documenta 14, Friedl ha invitato un gruppo di persone, di diversa età, cultura e nazionalità ma accomunate dal non appartenere al luogo nel quale attualmente vivono, a presentare a memoria, sotto forma di monologo, un frammento del testo di Kafka nella loro lingua madre. Le varie parti del racconto, recitate dal palcoscenico del Teatro Nazionale di Atene, come durante un casting, sono state poi montate in sequenza dall’artista seguendo la narrazione originaria. Il film è presentato senza sottotitoli. Gli attori, quasi tutti non professionisti, recitano in arabo, curdo, dari, francese, greco, inglese, russo e swahili.
Teatro (Report) è un modellino, riprodotto in scala, del palcoscenico sul quale recitano gli attori. È una sorta di distillazione dello spazio che si vede nel film, in quanto sono riprodotti minuziosamente dettagli presenti sullo sfondo delle riprese, come le prese di corrente e i graffi sul pavimento, e volutamente tralasciati elementi che nel video non sono stati inquadrati. Il lavoro è definito da Friedl “scultura performativa”: le sagome in scala di tutti gli attori, anche quelli non compresi nel montaggio finale, possono essere spostate liberamente dal fruitore.
Il progetto nel complesso, così come il testo da cui trae ispirazione, non si presta a una lettura facile e univoca. L’artista, operando nella maniera più neutrale possibile, sembra voglia far sperimentare al visitatore quello che si prova ad assistere a un processo di formazione di identità e alla costruzione delle basi di una comunità. Inizialmente questo processo non risulta piacevole, piuttosto è straniante ed escludente a causa dei molteplici passaggi da una lingua all’altra. Ma in che modo cambierebbe la percezione dell’opera se ci fossero i sottotitoli, o se tutti gli attori recitassero solo in inglese?
Il punto non è tanto una sua fruizione diretta e lineare, quanto il metterci nelle condizioni di percepire una serie di aspetti che le stanno attorno, fuori dall’inquadratura, prima e dopo le scene filmate. Il protagonista del racconto di Kafka è costretto ad accettare due compromessi per poter sopravvivere: il primo è abbandonare la sua natura originaria e diventare umano, “civilizzarsi”, adeguarsi a delle condizioni sociali fino a quel momento a lui estranee. Il secondo compromesso si presenta al suo arrivo sulla terra ferma, dopo un lungo viaggio via mare: o passare la vita in uno zoo o garantirsi una certa forma di libertà esibendosi nei teatri, allontanandosi sempre più dal suo vero “essere”.
Friedl sembra volerci suggerire che la costruzione di un senso di appartenenza è un processo universale. Dopotutto gli uomini che nel racconto imprigionano la scimmia condividono con lei un’origine animale. Come spiega il protagonista del racconto durante la sua relazione: “Al tallone però, chiunque cammini su questa terra ne avverte il solletico: tanto il piccolo scimpanzé come il grande Achille”.

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