Rebecca Horn Studio Trisorio / Napoli

19 Giugno 2018

Il doppio come immagine guida, a raccontare un cosmo regolato da un intrinseco sistema binario: la vita e la morte, il movimento e la stasi, la materia e l’immateriale.
Nelle sculture di Rebecca Horn presentate allo Studio Trisorio, il raddoppiamento degli oggetti è funzionale a illustrare il dualismo che da sempre è al centro degli interessi dell’artista, ma anche a far emergere l’idea di “coppia”, stabile nell’essere il completamento di due entità ma per questo ancor più fragile, soggetta alla caducità delle passioni come a quella della vita stessa. Zucche, farfalle, lance calzate da scarpe di foggia medievale costellano un percorso in movimento, dove gli elementi vengono attivati da meccanismi temporizzati, in un equilibrio costantemente perso e ritrovato. Una coreografia silenziosa governata da un proprio ritmo, nel quale lo spettatore rimane inconsapevolmente coinvolto, assistendo a immaginari sfioramenti e inseguimenti che rimbalzano da un partner all’altro, da una coppia all’altra. L’amore diventa qui una condizione dell’esistenza, che da un lato aspira alla libertà, dall’altro resta imprigionato dalle sue stesse regole, come le farfalle meccaniche che tentano di librarsi in volo ma restano ancorate a una pesante pietra di origine vulcanica (A Butterfly Dream, 2016). Gli specchi accelerano il processo di raddoppiamento introducendo il tema della vanitas che da sempre caratterizza il rapporto dell’artista con la città (si pensi alle “capuzzelle” del 2002, trecentotrentatré teschi in ghisa che affioravano dal pavimento di Piazza Plebiscito, riproposti poi in altra forma installativa nella collezione permanente e site-specific del museo MADRE). Insieme alle sculture, sono in mostra alcuni disegni a tecnica mista che introducono Portrait of Gesualdo del 2008, uno dei Body Landscapes dell’artista, ovvero opere che Horn realizza tenendo conto dell’estensione del suo corpo: una sorta di raddoppiamento anch’esso, uno specchiarsi davanti alla superficie che conserva un’ideale linea del corpo e, al suo centro, il cuore. Ispirata alla storia di Gesualdo da Venosa, compositore napoletano dalla storia misteriosa, quest’opera chiude il cerchio su un’idea di relazione che, in quanto tale, non è mai univoca, trovando nel suo opposto la sua forza, ma anche la sua debolezza.

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