Alberto Burri Vistamare / Pescara di

di 25 Marzo 2019

“Amo Burri, perché non è solo il pittore maggiore di oggi, ma è anche la principale causa d’invidia per me: è d’oggi il primo poeta”: così Giuseppe Ungaretti dedicava ad Alberto Burri la raccolta poetica Dialogo (Fògola, Torino 1968), contenente una Combustione dell’artista. La creazione di multipli per l’editoria segna gli inizi dell’avventura grafica di Burri, recentemente oggetto di rinnovata attenzione. La critica che si è esercitata sull’argomento ha unanimemente sottolineato l’unitarietà fra la produzione pittorica e quella grafica, la medesima attitudine sperimentale tesa a sondare i limiti delle tecniche, in un’incessante investigazione delle infinite possibilità di materia, segno, colore, superficie, che sottrae la grafica a ogni possibile stato di minorità.

La mostra presenta una selezione di sette cicli, a coprire un arco cronologico che va dal 1971 al 1994. Si parte dal tema del cretto, sviluppato attraverso la combinazione di acquaforte e acquatinta, traducendo sulla carta le fratture materiche dell’omonimo ciclo (Cretti, 1971). Dieci anni dopo, le serie Multiplex (1981) annullano ogni intervento grafico per rivisitare la tecnica del collage, ritagliando nel cartone geometrie nitide e vagamente biomorfe, accordate a una ristretta gamma cromatica (marrone, rosso, nero). Il dialogo è qui con i coevi Cellotex, che portano in primo piano il materiale industriale fino ad allora di supporto (un esemplare del 1990 è l’unico pezzo singolo in esposizione). Lo sperimentalismo tocca uno dei vertici nella serie Mixoblack (1988), in cui la tecnica brevettata della mixografia (avvicinata nei soggiorni americani) è in grado di rendere spessori materici esaltati dal gioco di contrasti di superficie, intonata all’impiego esclusivo del nero. Il colore è invece protagonista del ricco ciclo Sestante (1989), in cui la serigrafia disegna una complessa trama di campiture piatte, di estrema sofisticazione tecnica. Ancora la serigrafia è combinata con la foglia d’oro nel più tardo Oro e nero (1993), in cui le geometrie si essenzializzano e si spezzano, illuminate dai bagliori dell’oro. Torna alla semplicità della carta Monotex (1994), strutturato secondo un’idea di variazione quasi musicale, in cui la stessa composizione muta attraverso il movimento del nero. A ciascun cIclo è riservata una stanza della galleria, secondo un ordinamento di chiara leggibilità che fa ricorso – nel caso di Cretti e Mixoblack – alla tinta nera delle pareti per esaltare la profondità del colore.

Altri articoli di

Simone Ciglia