É un mix vincente di echi scozzesi e suggestioni partenopee la mostra di Caragh Thuring nella sede napoletana della Thomas Dane Gallery. A distanza di un anno dalla mostra di apertura della galleria, che aveva visto Thuring al fianco di Bruce Conner, Steve McQueen, Catherine Opie e Kelley Walker, gli spazi di Palazzo Ruffo ospitano una selezione di lavori che, da un lato, mostrano la cifra stilistica dell’artista di origine belga cresciuta nel Regno Unito, dall’altra instaurano un dialogo serrato con le sale espositive e con la città stessa, integrando e combinando materiali, procedure ed elementi che costruiscono una trama complessa di riferimenti.
Al centro vi è il motivo del tartan, tipico pattern dei tessuti in lana delle Highland scozzesi, che diventa griglia compositiva, ricreata con procedimenti pittorici o utilizzata dal vero come supporto.
Alternando effetti di trompe l’oeil, dove tessuti prodotti dalla sartoria napoletana Isaia diventano il piano di lavoro per nuove narrazioni pittoriche, e opere dove invece è la pittura stessa a ricreare il disegno del tartan, suggerendo una profondità spaziale, Thuring crea un’inedita conversazione tra materia e rappresentazione che attraversa tutta la produzione in mostra. Sia tessuta o dipinta, la scansione geometrica diventa lo sfondo sul quale innestare elementi ricorrenti: sottomarini in ombra che emergono dal basso, composizioni di mattoni rossi che richiamano il paesaggio urbano di Glasgow, catene che blindano i diversi piani del dipinto. A questi si aggiungono riferimenti che si intrecciano con la città di Napoli: una Danae ricoperta da una pioggia di monete d’oro (Bank Shot, 2018), accenni di maioliche (Hot Maiolica, 2018), sagome di vulcani come simboli di una forza in potenza pronta ad esplodere (That was Then, This is Now, 2014). Ogni opera si presenta come un enigma da decifrare, dove anche le assenze sono tasselli di un racconto aperto, mentre la geometria di fondo si espande nello spazio ponendosi idealmente in linea con il pavimento della galleria e le sue pareti, cercando nuovi agganci; è il caso di Deep Screw (2018) che, incastrata tra due porte, appare perfettamente in continuità con le linee verticali e orizzontali che già dettano il ritmo dello spazio espositivo, integrandosi perfettamente con esso.