All’intersezione delle sei discipline che la costituiscono, “Le Muse Inquiete”, un’esposizione realizzata dall’Archivio Storico della Biennale di Venezia, si presenta come un’esplorazione della storia attraverso un’ampia documentazione proveniente dall’archivio stesso della biennale e da altri archivi come quelli dell’Istituto Luce-Cinecittà, della collezione Peggy Guggenheim, e della Tate Modern di Londra. Il ventennio fascista, la Guerra Fredda, il ‘68, gli anni Settanta, il postmoderno e la nuova presenza dell’architettura in biennale, gli anni ‘90 e la globalizzazione, costituiscono i grandi capitoli della mostra. In mostra, ambizioni nazionali, pretese personali, movimenti sociali, interessi privati si esprimono attraverso la storia ufficiale e nel retroscena.
Cecilia Alemani, curatrice della prossima edizione della Biennale d’Arte 2022, ha lavorato assieme ai cinque direttore artistici degli altri settori analizzando la biennale come un laboratorio artistico e politico. La mostra è stata concepita in un momento di emergenza come quello attuale, e si compone di opere d’arte, articoli di giornale, video cinematografici o di notiziari televisivi, corrispondenze ufficiali e personale, disegni, fotografie di set o di premiere. Il dispositivo dei Formafantasma, costituito da scatole e pannelli, ricostruisce le sale espositive in giochi di prospettiva e sovrapposizioni tra i documenti in vetrina e l’archivio video. Se il termine musa si riferisce alla storia dell’arte occidentale e alle sue rappresentazioni, l’inquietudine aggettivale ci permette di percepire l’urgenza e la violenza contro cui gli artisti prendono posizione.
La sala dedicata agli anni del Fascismo si focalizza sull’apertura internazionale con i nuovi padiglioni nazionali come quello degli Stati Uniti, un focus sui Futuristi, la propaganda fascista con premi a Olympia di Leni Riefensthal, la presenza dei musicisti detti ‘degenerati’ come Krenek, Hindemith, Stravinskij, e Bartók. La biennale degli anni di piombo è una biennale della ricostruzione e dei nuovi ordini mondiali. Alcuni documenti contemporaneo restituiscono il contesto coevo di ricezione di alcune pratiche artistiche, il cui carattere sperimentale veniva spesso deriso da parte della stampa tradizionale, come lo dimostra un articolo sgradevole sulla relazione lavorativa di Mario e Marisa Merz. In altri casi, è il carattere politico delle opere che ha portato alla censura di alcuni progetti. Nel 1951 Bertold Brecht è invitato a Venezia ad allestire Madre Coraggio e i suoi figli, rappresentazione cancellata a causa del rifiuto, da parte del governo italiano dell’epoca, alla concessione del visto di ingresso al drammaturgo e alla sua compagnia Berliner Ensemble perché provenienti dalla Germania dell’Est. Sarà cancellata di nuovo nel 1961 e il Berliner Ensemble verrà poi invitato alla Biennale del’66.
Per diversi decenni la biennale si estende in città, generando contesti aperti all’incontro con i visitatori e gli abitanti della città. Nel 1968 è l’anticamera delle istanze politiche e sociali internazionali. Una sala immersiva è dedicata alle rivendicazioni che agitano la società e il mondo dell’arte nel contesto veneziano della biennale. Su una delle foto di Ugo Mulas, una tra i numerosi banner a Venezia, si legge ‘VIA LA POLIZIA DALLA BIENNALE!’ Nel 1972, Merce Cunningham presenta in piazza San Marco un Event: la danza, un’opera formale, dedicata a un lessico strutturato da una serie di movimenti, afferma la sua radicalità contro e con la storia del luogo. Tre anni dopo, piazza San Marco ospita un altro grande evento con la performance partecipativa Holy Ghost di James Lee Byars, evocata in mostra dalla maquette in carta rossa che contrasta per la sua fragilità con la fotografia che documenta tutta l’energia del momento dell’azione.
Negli anni Settanta l’architettura, ampiamente presente attraverso i progetti dei padiglioni nazionali, diventa un settore autonomo. Nel 1980 la prima edizione diretta da Paolo Portoghesi è intitolata “La presenza del passato”. La mostra che mette in discussione il moderno con le sue mitologie, include un omaggio a tre protagonisti del Novecento, Philip Johnson, Ignazio Gardella, e Mario Ridolfi. La danza che era inizialmente parte del Festival di Musica Contemporanea è istituita come nuovo settore nel 1999, sotto la direzione di Carolyn Carlson.
La storia più recente dei numerosi progetti curatoriali indipendenti a Venezia che oggi si sovrappongono alla realtà più ufficiale della biennale non è inclusa nella mostra. Una documentazione recente consente di comprendere l’intensificazione delle reti internazionali e la loro diversificazione, con l’apertura, anche se relativa, a nuove realtà geografiche e culturali.