Nel 1939, dall’isolamento nella villa del mecenate Alberto della Ragione dove si era rifugiato con la compagna e le figlie per proteggerle dalle persecuzioni razziali fasciste, Mario Mafai inizia a dipingere le Fantasie. Sebbene il termine “fantasia” sia comunemente inteso come la facoltà di produrre immagini mentali di una realtà altra, migliore di quella vissuta, Mafai spiazza l’osservatore con atmosfere buie e concitate che richiamano le Pitture nere di Goya. In queste tele, Mafai sembra dare sfogo all’urgenza di trasferire su una dimensione più accettabile gli orrori dell’epoca fascista. Queste opere mettono in scena lo spirito del tempo, non attraverso la diretta trasposizione di immagini di vita vissuta o intercettata attraverso la stampa, bensì cristallizzando fantasie archetipiche dell’esperienza tragica e brutale della guerra.
In isolamento nel New England durante i mesi della pandemia, Giangiacomo Rossetti guarda alla visionarietà poetica e idiosincratica delle Fantasie di Mafai, e alla sua pittura a cavallo tra continuità e rottura. In netto contrasto con le atmosfere di Mafai, Rossetti dipinge le sue Fantasie dedicandosi all’osservazione di una quotidianità ovattata che pare irreale. Le dodici opere realizzate in questo periodo sono parte della sua prima mostra personale a New York.
Al centro della galleria, una struttura claustrofobica fatta di nicchie e corridoi che richiama la configurazione di un ufficio improvvisato accoglie i dipinti di Rossetti.
L’esperienza surreale dello spazio preannuncia uno dei temi centrali delle opere in mostra, l’esercizio pittorico come luogo d’incontro di empirismo e illusione. Seppur le sue qualità architettoniche paiono del tutto casuali, questa struttura è in realtà la riproduzione dello studio temporaneo dell’artista all’interno di un’infermeria semi-deserta del Connecticut. Tra interiorità e alienazione, il visitatore si ritrova al cospetto di undici tavole a olio di piccole dimensioni, ciascuna isolata nell’intimità riservatole dallo spazio.
La contemplazione del quotidiano si interpone a riferimenti storici dell’arte divenendo un gioco di impersonificazione. Con pennellate frastagliate e minuziose, Rossetti reinterpreta alcuni temi e soggetti tipici dell’Americana cavalcandone la fantasia di un paesaggio americano idealizzato e onirico attraverso lampanti citazioni tratte dalla pittura rinascimentale, dei Preraffaelliti e dei maestri della pittura del Secolo d’oro olandese. I dettagli scrupolosi, le cromie e lo studio compositivo di opere come Fantasia n.3 – La sepoltura (2020), Fantasia n.9 – La casa dagli spiriti buoni (2020) e Fantasia n.10 – La vocazione sospesa (substitute) (2020) ne sono un chiaro esempio.
All’esterno della struttura, il trittico The Red Mountain (2020) è l’opera che più di tutte rivela la fascinazione dell’artista per i paesaggi americani. Rossetti fonde la pittura di paesaggio su modello della tradizione Europea con le tipiche scene pastorali e atmosfere idilliache dell’Hudson River School. La pigra e inquieta bellezza delle scene dipinte da Rossetti evoca l’esperienza angosciante dell’isolamento e il suo ineluttabile senso del limite, portando a riflettere sull’impietosa possibilità di una propria estraneità storica. Come in Mafai, così in Rossetti, collidono nelle Fantasie le silenziose e ossessive ragioni interne della pittura.