Non più soltanto luogo per studiare la vita e l’opera dell’architetto e designer Carlo Mollino, la casa che porta il suo nome a Villa Avondo, a Torino, realizzata da Mollino nel 1968, è diventata da qualche anno una meta di pellegrinaggio devozionale per studiosi e appassionati d’arte. Aperta al pubblico da Fulvio e Napoleone Ferrari nel 2006, la Casa ha da allora esercitato un fascino crescente sulle nuove generazioni e su molti artisti non solo italiani, per l’atmosfera inusitata, seducente, quasi esoterica dei suoi ambienti. La mostra “Mollino / Insides” alla Collezione Maramotti celebra questa casa-opera e il suo architetto, facendo dialogare le celebri fotografie di Mollino – ritratti di donne in interni domestici da lui concepiti e realizzati – con opere di Enoc Perez e di Brigitte Schindler, interamente ispirate all’atmosfera della Casa.
Tipico di Mollino era il gusto di chi fa le cose per puro diletto, e vi eccelle. Al genio architettonico affiancava ecletticamente lo sci professionistico, le corse in auto, l’aviazione acrobatica, la scrittura, la fotografia. Considerava quest’ultima disciplina da un lato “ozio di persona colta”, dall’altro operazione artistica tesa a produrre un “falso documento”: una testimonianza cioè apparentemente oggettiva, ma in realtà frutto dell’ingegno tendenzioso del fotografo che grazie a tagli, accostamenti, e astuzie di mestiere nasconde sotto l’apparenza documentale “fantasie di un quotidiano impossibile”. A proposito della fotografia, già alla fine dell’Ottocento Alfred Stieglitz sosteneva che solo il vero amatore godesse di piena libertà artistica, non condizionata da finalità economiche. Ed è proprio questa passione di amatore e sperimentatore a guidare Mollino sulle sue tante strade, in un’epoca in cui con il già rapido avanzamento tecnologico tutto era possibile in assenza dei vincoli imposti dalla burocrazia e dalle pervasive dinamiche di mercato. Un designer poteva lavorare per settimane o mesi a un oggetto unico o prodotto in tirature bassissime, con processi artigianali inediti (come nel caso dei celebri tavoli e sedie di Mollino e della sua tecnica di piegatura del legno a freddo). Per un fotografo, il lavoro di sviluppo e la finitezza della pellicola imponevano un pensiero costante dietro lo scatto; un’attitudine di cui oggi si è perso il senso. Nel caso dei ritratti di Mollino, molto del lavoro avveniva ben prima che la modella si mettesse in posa: la ricerca minuziosa di abiti e lingerie; la scelta delle ragazze, invitate di notte a salire nella sua auto sportiva; l’adibire la scena in una casa mai realmente abitata. Casa Mollino si offre così come una sorta di “navicella per il trapasso”, una capsula a cui l’architetto ha affidato la sua memoria per la posterità, fermando il tempo all’epoca in cui era vissuto, sovrapponendo in essa le istanze estetiche che avevano attraversato la sua vita, dal liberty al Modernismo al Surrealismo, e oltre.
Se dunque le fotografie di Mollino testimoniano il suo voyerismo e i suoi “agguati notturni”, le immagini di Brigitte Schindler fanno un passo verso un’oggettivazione degli ambienti della Casa, cogliendo gli elementi più significativi della sua atmosfera sospesa. Sembrerebbero immagini prese da un set cinematografico dopo la fine delle riprese, e dopo che tutto è stato rimesso al suo posto. La patina quasi pittorica, che Schindler riesce ad ottenere grazie a una raffinata post-produzione, aumenta la sensazione di ricordo di un tempo non più attuale che si prova visitando la casa stessa.
Sempre dentro le stanze di questa casa-museo, stanno i dipinti di Enoc Perez. Celebrato pittore di architetture, già attento allo stile italiano (due sue impressionanti viste di Casa Malaparte, una notturna e una diurna, sono esposte nella sezione permanente della Collezione Maramotti), Perez dichiara di dovere a Casa Mollino l’aver spostato, a cinquant’anni, la propria attenzione dall’esterno all’interno degli edifici . Non a caso, la prima opera dedicata a Casa Mollino è stata anche la sua prima pittura d’interno in assoluto. La tecnica, personale e subito riconoscibile del “tamponare” i colori direttamente sulla tela, svuota gli oggetti del loro peso specifico creando, pur nelle vedute prospettiche, un unico piano spaziale, come se ciascuna tela facesse da sfondo a una rappresentazione teatrale per attori assenti. Nel tipico sguardo dell’arte, proiettato sul futuro, la concentrazione sulla pittura d’interni degli ultimi anni (non solo di Perez – basti pensare al successo planetario di Jonas Wood) ha di poco anticipato l’attuale reclusione domestica su scala globale. Reclusione che, da dentro Villa Avondo, o grazie ai suoi echi in mostra alla Collezione Maramotti, sembra di certo più sopportabile.