L’estratto del racconto che segue, con le trame che intreccia, e le creature e i personaggi che evoca, è stato scritto da Camilla Paolino per accompagnare il lavoro di Alfredo Aceto e il suo dipanarsi organico, mitopoietico e narrativo.
Esternamente l’anatomia di quei custodi mostruosi era scolpita in modo da lanciare un incantesimo protettivo sull’ambiente circostante, internamente invece era strutturata affinché funzionassero come grondaie: elementi architettonici concepiti per inghiottire e convogliare l’acqua piovana dal lato dell’edificio su cui erano poggiati i Gargoyles. Inghiottendo l’acqua attraverso la gola ed espellendola dalla bocca aperta, i Gargoyles impedivano l’erosione delle pareti in muratura, proteggendo l’edificio dagli agenti atmosferici così come dagli spiriti maligni. In breve, quei dispositivi architettonici apotropaici svolgevano una doppia funzione protettiva. E se un Gargoyle, privato della lingua, soffrisse di una qualche forma di disfagia (o difficoltà a deglutire) e fosse quindi ostacolato in entrambe le sue funzioni primarie? E se invece di fare la linguaccia e ingoiare acqua, il Gargoyle vomitasse pop corn sul pavimento?1 La disfagia produce un cortocircuito, mette in crisi il processo ermeneutico che si può generare seguendo la strada tracciata da Gargouille2 e dalla loro progenie. La disfagia traspone l’atto interpretativo su un altro piano, dove la posta in gioco è una patologia del linguaggio, che il linguaggio tenta a sua volta di curare1. […]
Le espressioni onomatopeiche e l’esercizio di sporgere la lingua sono di nuovo operazioni centrali, questa volta nel tentativo di prendere una lingua madre un po’ arrugginita – le sue parole incrostate, le sue lettere coagulate insieme ― e farla fluire di nuovo e risuonare come l’acqua attraverso un apparato aerodigestivo funzionante.4 È come riparare un guasto meccanico nel sistema idraulico, che non solo permetterà alla deglutizione e alla digestione di funzionare correttamente, ma consentirà anche una corretta articolazione del discorso, una buona modulazione della voce e infine un’espressione chiara dei propri pensieri. Questo perché gli organi e i muscoli che producono la parola sono gli stessi che eseguono la masticazione e la deglutizione: la lingua, la bocca e la gola funzionano come strumenti o denominatori comuni in entrambi i processi. In altri termini, la parola si serve delle stesse strutture neuromuscolari della deglutizione: masticare il cibo, riporlo insieme alla saliva e deglutirlo, si verificano nello stesso spazio in cui i pensieri si articolano in parole e possono suonare5.
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La casa, proprio come un organismo vivente, respira attraverso il suo sistema di aerazione, è avvolta dalla pelle impermeabile del rivestimento e incorpora sia un sistema nervoso sia un sistema circolatorio, rispettivamente l’impianto elettrico e idraulico. Nel 1930, Frederick Kiesler ha scritto un libro proprio su questa analogia, dove ha paragonato le scale ai piedi, il sistema di ventilazione a un naso e persino l’intera struttura a un apparato digerente – gli abitanti del luogo sono pezzi di cibo ― proprio come Bertrand e Carla nella pancia dei serpenti (Colomina, 2019). Secondo questa logica, il tappeto srotolato che attraversa lo spazio della galleria potrebbe assomigliare a una lingua, che lecca e assapora la suola delle tue scarpe appena entri e fai un giro della mostra6.