Le pratiche artisti di Alfredo Aceto e Denis Savary – entrambi vivono in Normandia e hanno rapporti di amicizia – sono tanto simili quanto differenti. Elemento comune è la distorsione di forme esistenti, e l’immaginazione di nuove, attraverso diversi media, caricandole di nuovi significati. Per la loro prima mostra insieme, “Ambarabà Ciccì Coccò”, i due artisti hanno realizzato un’installazione frammentata, in cui i diversi strati dei segni culturali si uniscono. Il titolo della mostra, preso in prestito da una filastrocca italiana utilizzata per contare, è un’espressione di ciò che permea lo spazio: la disposizione di una miriade di segni che evocano associazioni e si condensano in narrazioni. Le opere sfuggono a una chiara designazione e – come le parole fantastiche di Ambarabà Ciccì Coccò – si prestano a molteplici livelli di significato. Forme e funzioni si ispirano a una vasta varietà di fonti, inclusi i miti storici riguardanti Kurt Schwitters o creatura mitologica di Gargoyle, aeroporti e bagni pubblici. Questo distaccamento da significati fissi, e l’oscillazione tra di essi, permette di avere una certa libertà nel rapporto con le opere e nella connessione che si può stabilire con esse.
Nuovi e precedenti lavori di entrambi gli artisti, così come i progetti realizzati insieme, sono combinati e attivati in modo espositivo. In questo processo, emergono relazioni inaspettate e il le loro modalità di produzione artistica vengono ripensate come collaborazioni e come possibili interventi nelle produzioni l’uno dell’altro. Le funzioni e le associazioni si sovrappongono: le opere diventano supporti per le sculture, gli interventi artistici trasferiscono ricordi del quotidiano in una dimensione narrativa. All’interno di questa operazione, la mostra Aceto e Savary dimostra come i mobili siano, allo stesso tempo, oggetti di uso quotidiano e fattori socialmente costruttivi.
Nonostante la sua assenza, il corpo riveste un ruolo essenziali all’interno della mostra. Appare implicitamente in varie forme e manifestazioni – linguisticamente nella forma di una poesia sonora (Savary) o come uno strumento di logopedia per esercitare l’articolazione (Aceto). Il corpo non può quindi essere concepito come isolato dall’ambiente, ma ad esso connesso, soprattutto perchè appare campo convergente e possibile margine di azione. È attraverso il corpo che le forze che agiscono su di esso vengono rivelate, e viceversa. In “Ambarabà Ciccì Coccò”, Aceto e Savary presentano un risultato tangibile di queste forse, proponendo nuove prospettiva rispetto ai loro lavori e al mondo che li circonda.