Alessandro Pessoli “Testa cristiana” Chiostri di Sant’Eustorgio / Milano di

di 6 Dicembre 2021

La mostra personale di Alessandro Pessoli presso gli spazi confinanti del Museo di Sant’Eustorgio, la Cappella Portinari e il Museo Diocesano di Milano, a cura di Eva Fabbris, sembra l’approdo naturale di un interesse per l’iconografia cristiana che dura da più di vent’anni e che ha pochi equivalenti nell’arte contemporanea italiana e internazionale. Lo dimostra già la datazione di una tela presente in mostra, Figura che prega (2008), così come l’intera presentazione nella mostra all’Arsenale “Fare Mondi” alla Biennale di Venezia del 2009 e la personale presso la Collezione Maramotti (2011), entrambe dedicate a opere di soggetto religioso. Se, come ricorda Simone Menegoi in una intervista di qualche anno fa, nel lavoro di Pessoli “si trovano praticamente tutti i soggetti classici della pittura religiosa occidentale”, la mostra milanese attraversa alcuni di questi soggetti utilizzando un ampio campionario delle tecniche tipiche del suo lavoro: pittura, disegno e scultura. Mentre la diversità degli spazi e il carattere frammentato dell’esperienza del visitatore, rischiano di incrinare l’intensità della mostra nella sua interezza, la forza dei legami che alcune opere stabiliscono con il contesto espositivo è indubbia.

Penso alle Teste cristiane (2018) presenti nella sagrestia, dove il volto del Cristo assume i tratti fumettistici tipici del lavoro di Pessoli, e al trittico presente sull’altare della Cappella Portinari (2018) in cui, al centro, si distingue un autoritratto dell’artista. Se anch’esso è dipinto nella sofferenza del martirio, lo sguardo che indirizza allo spettatore sembra dimostrare la forza di un’umanità che ancora non vuole capitolare. Altrettanto intensi sono gli incontri con le sculture poste nell’area archeologica del cimitero paleocristiano, dove il corpo è soggetto a processi metamorfici: Bucaneve (2008), modellato in maiolica, è decapitato e sezionato ma attraverso queste cesure crescono fiori, come dalla corona di spine – che è anche ramo di rose attorcigliato – spunta un fiore coloratissimo (Figura che torna, 2018). Due modi di affermare la resistenza dell’uomo e della natura sulla sofferenza e la morte: la possibilità di un riscatto, forse di una beatitudine.

Sofferenza, martirio e beatitudine sono ancora presenti nelle opere più recenti in mostra. Se il S. Ambrogio fiorito (2020) modella in terracotta un ritratto del santo in osmosi con la natura, altri due ritratti appaiono come espressioni di una forma d’arte popolare, contadina, quasi degli spaventapasseri assemblati con materiali poveri e possibilmente di risulta (Lacrime e cera, 2020), e dove, ancora una volta, avviene una sovrapposizione tra la figura dell’artista e quella del martire/santo visti come figure di altrettanti folli creativi (Martire delle farfalle, 2020). Come dimostrano anche le due edicole del 2018, l’arte religiosa di Pessoli celebra la fragilità dell’uomo e i modi in cui questa può essere trasformata in monumento, attraverso uno sguardo che è formalmente anti-grazioso quanto eticamente anti-retorico.

Vista nel suo insieme “Testa cristiana” dimostra ancora una volta come al centro del lavoro di Pessoli ci sia l’uomo. Ritratte come corpo martoriato, sofferente, ma anche come creature bizzarre, grottesche, le figure che hanno percorso il lavoro di Pessoli negli anni sono spesso immaginate nella condivisione di stati diversi di un processo metamorfico: l’uomo-macchina (l’aviatore Francesco Baracca), l’uomo-pupazzo-robot (la maschera petroliniana di Fortunello) e l’uomo-dio (Cristo), ma soprattutto l’uomo-natura più volte evocato in questa esposizione.
La mostra di Milano è quindi l’ennesimo episodio di quella grande saga popolare che Pessoli conduce da oltre trent’anni e che è attraversata da un costante senso di empatia verso l’uomo, colto nella sostanza etica del suo eroismo e della sua debolezza. Tanto che, se avesse dovuto scegliere tra Gesù o Barabba io credo avrebbe scelto entrambi: avrebbe scelto l’uomo.

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Luca Cerizza