Alessandro Rabottini su miart, Milano

28 Marzo 2017

Hai parlato di miart come di un “ritratto della città” che racchiude il moderno, il contemporaneo e anche il design. A tuo parere la fiera può assumere il carattere di un evento culturale oltre che commerciale?

Sì, assolutamente. In questo momento i due aspetti in una fiera non possono essere percepiti in modo distinto. Siamo abituati a vederli come se fossero quasi in contraddizione, ma nel progettare una fiera bisogna tener conto di due poli di un’equazione: le gallerie e i collezionisti. Perché questi si incontrino è ovviamente necessario portare in fiera gallerie e opere di qualità, considerando il fatto che i collezionisti viaggiano anche perché attratti da una città con un’ampia offerta espositiva. Questo significa che l’aspetto culturale e quello commerciale devono coesistere.

Ci sono dei cambiamenti nelle sezioni e anche un’aggiunta. Che cosa è differente rispetto allo scorso anno e cosa rimane immutato?

Ad esempio, quella che l’anno scorso era “THENow”, quest’anno si chiama “Generations”. La sezione era pensata per stare al centro della fiera e unire moderno e contemporaneo, due aree che si portano dietro pubblici diversi il cui incontro può dare alle gallerie la possibilità di espandere il loro bacino d’utenza. Se prima l’idea si basava sul dialogo tra un artista storico e uno contemporaneo, da quest’anno a confrontarsi saranno artisti di generazioni diverse. Questo per due motivi: il primo è che credo che gli artisti pensino alla storia dell’arte in modo molto più libero rispetto alla successione cronologica cui si è abituati; il secondo è che in questo momento storico tendiamo a una visione delle cose molto più sinottica e simultanea. L’idea è chiedersi se esiste ancora il concetto di generazione, perché viviamo una contrazione del gap temporale tra una generazione e l’altra e, di conseguenza, assistiamo a un’accelerazione nella differenza di sensibilità e linguaggio tra generazioni.
“On Demand” è una sezione che non esisteva e che non sarà concentrata in un luogo fisico specifico ma i lavori che ne fanno parte saranno esposti negli stand, dislocati nella fiera. Ci saranno opere che utilizzano media diversi: dall’installazione, progetti che non esistono oggi ma che potrebbero essere realizzati, fino a opere che per loro natura hanno bisogno di una manutenzione perché contengono un elemento organico o performativo. Queste opere vivono grazie a una stretta relazione con chi le vede o con chi le possiede e abbiamo pensato fosse necessario mostrare questo rapporto vitale del collezionismo con l’opera.

Quest’anno ci sono anche premi per ogni sezione.

Sì, siamo riusciti a introdurre tre nuovi premi che si aggiungono a quelli confermati dalla scorsa edizione.
Uno per la sezione “Object”, realizzato grazie al supporto di CEDIT Ceramiche d’Italia. La collezione del Triennale Design Museum è la destinazione finale di questo premio in forma di acquisizione per un designer italiano emergente. Credo che questo sia importante perché dimostra come la fiera possa agire da ponte tra eccellenze italiane ben al di là dei quattro giorni della sua apertura.
Value Retail invece è il partner del premio Fidenza Village per “Generations”. Si tratta di un premio di 10.000€ che andrà alle due gallerie che avranno sviluppato il dialogo migliore all’interno di questa sezione. I premi sono importanti come riconoscimento alla grande progettualità che le gallerie esprimono.
C’è un premio anche per la nuova sezione “On Demand”, sempre di 10.000€. Si tratta di una collaborazione con Snaporazverein, un’associazione svizzera che supporta performance e opere sperimentali come installazioni multimediali, nata su iniziativa di Federica Maria Bianchi, collezionista privata con una passione per tutto ciò che ha a che fare con le arti sceniche e il coinvolgimento del pubblico. È importante sottolineare che il premio andrà a una produzione futura dell’artista che la giuria internazionale deciderà di premiare. Anche in questo caso credo sia un bel risultato il fatto che miart possa avere un’emanazione anche oltre il periodo della fiera.
Sono inoltre confermati il premio Herno al miglior stand, il premio per la sezione “Emergent”, il cui partner per la prima volta quest’anno è la piattaforma di crowdfunding online per l’arte contemporanea BeArt e il premio Rotary Club Milano Brera per l’Arte, che prevede l’acquisizione di un’opera da destinare a un’istituzione milanese.
Confermato inoltre il Fondo di Acquisizione Fondazione Fiera Milano “Giampiero Cantoni” per un valore di 100.000€, cosa di cui sono estremamente felice e orgoglioso.

Mentre team e struttura organizzativa sono cambiati? 

Ci sono stati cambiamenti e altrettante conferme. C’è stata l’introduzione di una figura che si occupa delle relazioni con gli espositori e dei progetti speciali che è Oda Albera. Sentivamo il bisogno di avere qualcuno nel team che venisse dal mondo delle gallerie e Oda ha lavorato per dieci anni come direttrice della galleria Massimo De Carlo.
Alberto Salvadori lo scorso anno aveva curato “Decades” e continuerà a farlo, ma la sua responsabilità come curatore ora si estende a tutta l’area del moderno: dato l’ottimo lavoro fatto nella passata edizione su Decades aveva senso che interessasse tutto questo settore.
“Generations” ha come curatori Douglas Fogle da Los Angeles e Nicola Lees da New York, mentre i curatori dei miartalks sono Ben Borthwick e Diana Campbell Betancourt. Realizzati per il secondo anno consecutivo con In Between Art Film, la società di produzione fondata da Beatrice Bulgari, i miartalks avranno anche in questa edizione un focus tematico molto preciso, che sarà il presente e il futuro delle biennali e delle grandi mostre periodiche nel mondo.
Per finire, la selezione delle gallerie emergenti non ha più un curatore ma un Advisory Committee composto da quattro gallerie presenti nella sezione “Established Contemporary” ma che, per la tipologia del loro lavoro, sono in connessione con artisti e gallerie più giovani, si tratta di: T293, Emanuel Layr, Seventeen e Zero…
Dico sempre che miart è una fiera polifonica, fatta di tante voci, perché da più prospettive parli e maggiore sarà il numero degli interlocutori che riuscirai a raggiungere.

La fiera ha un ruolo attivo rispetto a ciò che accade in città durante la Milano Art Week? C’è un coordinamento oppure dopo i primi anni di ricostruzione della rete, ora tutto accade un po’ di conseguenza?

Da anni lavoriamo con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano al coordinamento di un tavolo di lavoro tra le istituzioni pubbliche e private, attive nella promozione dell’arte moderna e contemporanea. Dato il numero elevato di iniziative, quest’anno la Milano Art Week inizierà addirittura dal lunedì anziché dal mercoledì, e questo è un segnale di quanto il sistema dell’arte della città senta profondamente questo momento e di quanto vivace sia il momento che Milano sta vivendo. Credo davvero che la nostra città stia trascorrendo una fase incredibile ormai consolidata da anni. Ci sono mostre e progetti che inaugurano durante la settimana di miart e proseguono durante il Salone del Mobile, consolidando una struttura che mette Milano al centro dell’attenzione internazionale in un arco di tempo di due settimane.

In senso inverso, invece, a Milano diverse sono le realtà che si sono distinte: penso ad esempio all’apertura della Fondazione Prada, all’alta qualità delle mostre proposte da HangarBicocca e Fondazione Trussardi. Quanto questo tessuto ha contribuito a far crescere anche miart?

Enormemente. Penso che una fiera non possa funzionare se non ha un contesto come questo che la ospita. Per lo stesso motivo di cui parlavamo prima: molte persone visitano una fiera anche perché vogliono visitare quella determinata città in un momento particolare dell’anno, è impensabile credere che una fiera possa funzionare se non funziona il contesto in cui essa vive. Personalmente sono molto riconoscente sia agli espositori che investono su di noi, sia a chi rende possibile il fatto che quei giorni siano così densi.
Noi accendiamo i riflettori per una settimana, ma la progettualità e la qualità della proposta espositiva cittadina di cui parli tu, viene espressa tutto l’anno dagli attori attivi in città e ciò crea una solidità strutturale percepita sia a Milano sia all’estero.
Ho vissuto a Milano dal 2001 e l’energia e la qualità che ci sono ora le sento e le vedo per strada, nelle persone che incontro. La città sta attraversando un momento di grazia incredibile che ricorderemo per molto tempo.

Siamo uno dei paesi con l’imponibile Iva più alta nella vendita di opere d’arte. Quanto aiuterebbe le gallerie e le fiere italiane una modifica dell’aliquota? 

Sicuramente aiuterebbe molto, agevolerebbe gli scambi. C’è da dire anche che pur essendo vero questo discorso va contestualizzato all’interno di uno scenario più ampio.
Bisognerebbe però smettere di pensare al collezionismo privato come a un fatto privato, perché in realtà ha una ricaduta pubblica: stimola l’economia legata all’arte, permette agli artisti di lavorare e alle gallerie di fare progetti, ma se riconosciuto può aiutare enormemente il lavoro delle istituzioni pubbliche per quanto riguarda la costruzione delle collezioni e la formazione della memoria collettiva.

Per questo tuo primo anno di gestione ti sei dato degli obiettivi? Quali?

Questa edizione per me è di consolidamento, quindi l’obiettivo è quello di rendere più solida la fiera. miart negli ultimi anni ha fatto tantissimo e sono contento di averne fatto parte prima come coordinatore curatoriale e responsabile dei talk e poi come vice-direttore, ma non mi prendo la paternità di questo successo, perché Vincenzo De Bellis ha fatto un lavoro enorme di riposizionamento.
C’è anche il tema legato all’espansione, che però non deve essere interpretato solo in termini numerici: c’è una forma di espansione orizzontale fatta di dati (quest’anno abbiamo 20 gallerie in più), ma ci dev’essere anche un’espansione verticale, di approfondimento dei contenuti. Gli espositori portano dei progetti di enorme qualità ed è nostro dovere lavorare ancora per fare in modo che vengano recepiti dal pubblico.
Se funzionerà ne trarremo vantaggio tutti, la città e anche la nazione, perché visitare una città significa sentire un paese. Se le cose andranno bene non ne farò una vittoria personale ma sarà una vittoria di tutti e non lo dico per sembrare umile, ma perché tecnicamente è così.

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