Allestita nella Chiesa del Purgatorio a Matera, “Do Animals Go to Heaven?” indaga il modo in cui gli artisti si sono rapportati ad alcune delle questioni più urgenti della nostra contemporaneità, come la crisi ecologica, la questione animale, il rapporto con la tecnologia. La mostra esplora immaginari futuri possibili muovendo dalla commistione tra natura e artificio, tra umano e non umano, attraverso una forte componente spiritualista che permea gran parte dei lavori esposti.
Curata dalla Collezione Agovino, con la collaborazione di Francesca Blandino, e organizzata grazie al supporto della galleria Alessandro Albanese, la mostra si sviluppa attorno a quattro punti cardinali: quattro lavori che si impongono per la loro presenza e che segnano in maniera sostanziale lo spazio della pianta a croce greca della chiesa materana. Il primo, installato in prossimità della porta d’ingresso, è quello di Caroline Mesquita, Spaceship elevator (2017), una sorta di astronave spaziale formata da brani di acciaio inossidabile, saldati assieme e verniciati di nero. Il secondo, invece, è Il Tronco e il Trapezio. Corso Buenos Aires (2013-2020) di Chiara Camoni, una scultura partecipativa costituita da un vecchio tronco in cui è scolpita una figura femminile e da un tappeto di lana trapezoidale, che accoglie opere e oggetti di altri artisti o di persone che hanno collaborato con l’artista. Il terzo è Il guardiano delle acque (2009) di Luca Francesconi, un’installazione composta da vari elementi, tra cui una pietra fluviale, dei giornali e del brodo di gallina, mentre l’ultimo punto cardiale è rappresentato dalla scultura di David Jablonowski, Futures Contract (Guard) (2019): un’oggetto dalla natura indecifrabile, realizzato in polipropilene fuso con fibra di carbonio, che sembra essere stato catapultato da un universo lontano, come il monolite di 2001: Odissea nello Spazio.
La navata centrale della chiesa è occupata da una monumentale installazione di Eugenio Tibaldi, Symposium (2021): un’opera ispirata al testo di François-Nicolas Martinet, Storia Naturale degli Uccelli (1813-1815), che l’artista realizza grazie a centinaia di sagome di uccelli di carta, riunite attorno a una sedia dai cui partono diversi rami secchi che accolgono altre sagome di uccelli. L’intera mostra è immersa nell’istallazione audio di Alberto Tadiello, Don’t You Lead Me To The Dark (2022): un’ambientazione sonora estratta da un vinile di registrazione e ricerca etologica realizzato da Peter Paul Kellog e Arthur A. Allen per l’Albert R. Brand Bird Song Foundation, presso il laboratorio di ornitologia della Cornell Univeristy. Il vinile raccoglie i versi di trentaquattro specie differenti di rane che, riprodotti grazie a cinque coppie di speakers distribuite nell’ambiente, creano una vera e propria giungla di suoni. Alcuni lavori esposti si mimetizzano con l’architettura settecentesca della chiesa, come il piccolo camaleonte di Alex Ayed, Kamel (mita series) (2015), posizionato su una parete alla sinistra dell’altare; il lavoro di Namsal Siedlecki, Limes (2017), che si confonde con i marmi colorati, e FioreCurva (2020) di Francesco Arena: una rosa collocata tra un blocco di bronzo e l’angolo del vestibolo di ingresso.
“Do Animals Go to Heaven?” insiste anche sull’estetica dello scarto, presentando diversi lavori realizzati con materiali non più funzionali. Little talks by the highway (2020) di Ser Serpas, recentemente esposto nello spazio pugliese Progetto, è composto da detriti meccanici rinvenuti sulle strade salentine. Exit Strategy (2019) di Antonio della Corte, è invece un corpo luminescente formato da uno scaldacqua portatile poggiato su un foglio prismatico per il miglioramento della luminosità e su un sacchetto nero in polietilene. Vera e propria opera manifesto dell’intera mostra, è Untitled (2021) di David Fesl, un autentico micro-universo sospeso, posizionato sul lato destro dell’altare, dove convivono una lattina di alluminio, delle piume di pappagallino ondulato (Melopsittacus undulatus), la suola di una scarpa, un fermaglio per capelli in plastica e una foglia di ulivo.
Oltre agli ambienti della chiesa, la mostra invade anche le strade di Matera, grazie all’opera che dà il titolo al progetto espositivo: Do Animals Go to Heaven? (2017) di Igor Gubric. Si tratta di un lavoro multimediale basato su una ricerca condotta dall’artista sugli ex macelli del nord Italia. L’opera è composta da una serie di cinque manifesti che presentano altrettante fotografie degli ex mattatoi ormai vuoti, sulle quali l’artista ha sovrascritto delle domande alquanto spiazzanti, come Do Animals Dream About Freedom?; Do Animals Survive Extermination?; Do Animals Know They Are Products? Sfruttando il medium dei manifesti commerciali, Gubric è intervenuto nel tessuto urbano della cittadina lucana, ripensando la tradizionale comunicazione pubblicitaria ed estendendo le tematiche e gli interrogativi della mostra al di fuori dello spazio espositivo.