Il nuovo spazio nasce dalla necessità di concentrare la storia e le energie della galleria in una dimensione differente, legata a una visione molto personale del ruolo del gallerista. Con un “ritorno alle origini”, Casa Di Marino rappresenta quella commistione di ambienti domestici e lavorativi già parzialmente messa in pratica nei primi anni di attività a Giugliano in Campania. I visitatori verranno invitati a confrontarsi non solo con un luogo espositivo, ma si misceleranno con le dinamiche che definiscono una casa da sempre costruita intorno al tentativo di una propria narrazione della contemporaneità.
Luoghi di solito nascosti o privati di una attività diventeranno cruciali nella esperienza e nella quotidianità della galleria, e così l’ufficio, il deposito, la biblioteca, saranno allo stesso tempo cucina, sala da pranzo, soggiorno e terrazzo. L’invito a entrare nella sfera privata vuole stimolare nel visitatore un impegno al confronto più approfondito e allo sviluppo di un interesse diverso rispetto alle logiche di produzione artistica. Ponendosi come una forma di bene comune, la nuova Casa Di Marino sarà a disposizione di chi vorrà studiare e approfondire i quasi 30 anni di attività della galleria Umberto Di Marino e conoscere meglio gli artisti, i curatori e le varie personalità che l’hanno attraversata, fecondata e rigenerata; uno spazio dove scoprire una nuova fruizione, più lenta e sicuramente meno dispersiva dell’arte contemporanea.
Il nuovo percorso viene intrapreso con l’opening della mostra personale di Carlos Amorales dal titolo “Artists of the world, unite!” La pratica dell’artista messicano esplora attraverso una moltitudine di media, come video, pittura, installazioni, performance, disegni, stampe, i limiti di categorie predefinite come la comunicazione e il linguaggio, cercando costantemente una re-immaginazione e ristrutturazione di questi modelli. Fin dagli anni ’90 Amorales tenta, con i suoi lavori, di costruire delle vere e proprie realtà dove la comune percezione umana venga radicalmente messa in discussione. L’invenzione di un’identità fittizia e collettiva come il wrestler Amorales; la codifica dell’alfabeto in un linguaggio fatto di forme astratte, come nel progetto Life in the Folds; palesano un radicato interesse verso le varie metodologie di rappresentazione dell’identità umana. Attraverso le sue narrazioni frammentate e irrazionali, Carlos Amorales focalizza l’attenzione sugli artifici messi in scena nel tentativo di nascondere il vero “io interiore”, tentando un’analisi sui molteplici strati che vengono eretti nel mezzo, fra la parte più intima del se e l’alterità, fra la sfera privata e quella pubblica di un individuo.
Proprio da qui sembra prendere le mosse la mostra “Artists of the world, unite!”, dall’idea che nel momento in cui si disegna un volto ci si ritrovi sempre a fare un autoritratto. Sperimentando con un programma sviluppato su una rete generativa avversaria (GAN), un’intelligenza artificiale che genera immagini partendo da testo, Amorales tenta di affidare alla macchina stessa la rappresentazione di un concetto estremamente personale e metafisico, come “l’io interiore”. Il risultato è una impressionante serie di volti frammentati, definiti da poche e semplici linee, che somigliano in alcuni tratti a immagini celebri della storia dell’arte. In quanto “auto-ritratti”, questi rappresentano ontologicamente la parte più intima di persone generate casualmente dall’intelligenza artificiale. Riportandoli su carta Amorales avvia una nuova narrazione, dove i soggetti mai esistiti, si confondono in sfumature personali e collettive, reali e fittizie, erodendo il dualismo dialettico di queste sfere concettuali e aprendo le porta a una dimensione quasi mistica dove aspetti della spiritualità napoletana si legano alla cultura messicana. Come nel culto delle anime pezzentelle, entità senza nome vengono curate, connotate e finalmente rappresentate, acquistano consistenza e – abbandonando i tratti del disegno bidimensionale – si fanno icone luminose per il definitivo passaggio dal purgatorio al paradiso. Mortali e divine producono l’iconodulia dell’io interiore.