L’arte di Diana Orving emerge dalla ricerca improvvisata di una forma e di un’espressione attraverso il drappeggio. Lavora in modo associativo in uno scambio tra tecniche, materiali e formati come sculture tessili, dipinti e costumi quando indaga le simbiosi del tattile e del visivo, del corpo e dello spazio.
Le grandi sculture tessili, che allestiranno lo spazio milanese di Foro Bonaparte rendendolo immersivo e molto scenografico, sono tutte intrinsecamente fluide e portano segni di mobilità e movimento come fossero coreografie dinamiche, che in un viaggio di esplorazione, prendono forma decidendo quasi in autonomia l’opera d’arte finale. Come labirinti in cui le superfici cambiano direzione, i pezzi di Diana sono creati in movimento, i tessuti danzano, i paesaggi emergono, scompaiono in se stessi o si liberano dalle loro cornici. Un processo ripetitivo in cui la forma e l’unità dei componenti creano un presupposto per perdere il controllo. Alla scoperta di nuove strade e contorni, un atto di equilibrio in cui la mano apre la strada. Area dopo area appare e appare – come un corpo, una linea, un portale verso stanze nascoste.
“Lavorare con le mani a stretto contatto con il materiale è per me una sorta di meditazione. Un rito ripetitivo nell’assemblare pezzi unici un po’ alla volta. La tattilità acuisce i miei sensi e mi tiene presente. Il mio processo creativo è fortemente influenzato dall’improvvisazione e dall’intuizione, una sorta di coreografia su me stessa. Comincio in piccolo, assemblo, taglio il pezzo successivo del puzzle, cucio, vado fuori strada, resisto e cedo. Scopri una nuova forma che mi guida sulla strada da seguire. La scultura cresce a poco a poco in una reazione a catena”.
Diana Orving ha sviluppato le sue tecniche da autodidatta, sceglie i tessuti che elabora in modi diversi, realizza i coloranti e lava i materiali più volte per ottenere una consistenza ed effetto specifico. Alcuni dei lavori, dipinti con pennello e pittura a olio, rappresentano una sorta di illuminazione in cui sceglie di evidenziare alcune parti e dettagli dell’opera. Lavora principalmente con fibre naturali di alta qualità come cotone, canapa, lana e fibre metalliche provenienti da stock, utilizzando materiale esistente e riciclato in modo sostenibile.
“La leggerezza dei tessuti mi ha permesso di lavorare su larga scala. Sono affascinata dai grandi formati, mi ritrovo a creare le condizioni per perdere il controllo ed essere sopraffatta dalle mie creazioni. Da questo processo nasce qualcosa di eccitante, l’incerto, l’imprevedibile che mi attrae. C’è uno stato speciale nella perdita del controllo, un misto di profonda concentrazione, capitolazione e al tempo stesso curiosità. L’elemento della sottomissione è essenziale nella mia pratica. Creo questi volumi su larga scala più grandi crescono, meno controllo ho. È quasi come creare un nuovo organismo che mi costringe a oltrepassare confini e limiti”.
Un tema su cui torna spesso in questo momento nella scultura e negli schizzi è il duplice sentimento di desiderio e paura di appartenere agli altri. Essere in contatto con gli altri esseri umani, la propria famiglia, la società, come le nostre azioni hanno un impatto sul mondo in cui viviamo. Molti dei lavori realizzati riflettono l’esperienza di Diana durante la gravidanza e il suo nuovo ruolo da genitore che porta all’essere necessari nella vita di qualcun altro, una sensazione allo stesso tempo limitante e bella. Questo rapporto è evidente anche nelle sue sculture in grado di plasmare una relazione, un conflitto, una paura o un desiderio, possono dare forma a qualcosa che non è descrivibile ma in cui è possibile immergersi in un costante processo di interconnessione nel quale non essere un elemento solitario ma sentirsi parte di un sistema, di qualcosa di più grande.
Un altro tema ricorrente nei lavori dell’artista è l’attrazione per la sequenza di Fibonacci, la formula matematica che spiega come la sezione aurea si trovi intorno a noi in natura. Nella conchiglia, i petali dei fiori, i rami degli alberi, l’occhio della tempesta e nel corpo umano.
“Sono attratta dall’ambiguo e i miei pezzi sono esplorativi, non hanno una risposta. Cerco di creare un campo di tensione e intimità tra il pezzo e il suo spettatore. Un paesaggio in cui farsi risucchiare, o un volume che fa venire voglia di toccarlo. “Transcendence” è una scultura di grandi dimensioni. È realizzato in Ramie, un materiale che viene estratto dalla fibra di ortica. La penso come una sorta di coreografia, un movimento da un palcoscenico introverso pesante a una forma ascendente che si apre. È collegato con un passaggio stretto, che ricorda un cordone ombelicale”.