Dineo Seshee Bopape “Born in the first light of the morning [moswara’marapo]” Pirelli HangarBicocca / Milano

12 Dicembre 2022

“Born in the first light of the morning [moswara’marapo]” è la mostra antologica dedicata al lavoro di Dineo Seshee Bopape, che include anche una nuova produzione. Grazie a una distintiva combinazione di immagini in movimento, elementi sonori, disegni a pareti e un vasto vocabolario materico – che include terreno, acqua, argilla, carbone, mattoni, cenere, erbe, legno, e luce naturale – l’artista concepisce in Pirelli HangarBicocca un paesaggio visivo poetico, offrendo una riflessione sui concetti di memoria, materiale e socio-politica, e di riconciliazione interiore e con la storia.

Nella sua pratica Dineo Seshee Bopape (Polokwane, Sudafrica, 1981; vive a Johannesburg) incorpora media diversi – come la scultura, il disegno, il video e il suono – accostando materiali organici e fortemente simbolici a un’estetica digitale e tecnologica. Partendo dal proprio vissuto legato al suo paese d’origine, il Sudafrica, l’artista tesse narrazioni in cui la corporeità femminile e materna assume un ruolo sostanziale per indagare archetipi (roccia, acqua, fuoco, aria) e mitologie ancestrali. La sua opera inoltre interroga il concetto di archivio, gli effetti del colonialismo e la funzione politica e spirituale della memoria. Allo stesso tempo, Bopape dà vita a installazioni ambientali attraverso l’impiego di elementi come terra e acqua, che, mescolati e lavorati insieme ad altre sostanze come carbone, cenere e argilla, suggeriscono nuove possibilità rigenerative fisiche, spirituali e sociali.

“Born in the first light of the morning [moswara’marapo]”, a cura di Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli, è la prima mostra antologica dedicata a Dineo Seshee Bopape e presenta una serie di installazioni, disegni a parete e video, che offre ai visitatori e alle visitatrici l’opportunità di conoscere e approfondire la pratica dell’artista. Il titolo dell’esposizione evoca uno stato di rinascita o di transizione: con queste parole Bopape incoraggia a ripensare il concetto stesso di opera d’arte, non più intesa in senso monumentale e museale, ma come tramite tra mondi materiali e immateriali, esperienze e tempi differenti. Proprio a partire dalla scelta di utilizzare sia l’inglese sia il SePedi, una delle lingue Bantu del Sudafrica e sua lingua madre, l’artista estende concettualmente i parametri del suo lavoro.

La luce, evocata nel titolo, funge anche da elemento visivo nel percorso espositivo per aprire a una riflessione sulla dimensione spaziale e non lineare del tempo, legata alla complementarietà fisico- percettiva tra chiarore e tenebre, aurora e crepuscolo. Entrando in mostra, l’osservatore è accolto nella semioscurità da opere in cui è centrale l’immagine in movimento – come lerato laka le a phela le a phela le a phela / my love is alive, is alive, is alive (2022) e (Serithi) The rest, as they used to say, is story (2021). Mentre successivamente la luce naturale entra direttamente nello spazio grazie ad ampie vetrate aperte su entrambi i lati dell’edificio e illumina le installazioni ambientali, caratterizzate dall’uso di materiali organici – per esempio, Lerole: footnotes (The struggle of memory against forgetting) (2017). Attraverso questi accostamenti, l’artista offre una topografia inedita del suo lavoro, in cui installazioni materiche e strutture architettoniche vernacolari si mescolano a opere digitali e immateriali: un paesaggio cangiante che si trasforma a seconda delle ore della giornata e delle condizioni metereologiche.

Per Bopape anche l’aspetto sonoro ha un ruolo fondamentale nella pratica artistica: spesso la sua voce si unisce ai suoni astratti della natura, generando una dimensione melodica corale che caratterizza i suoi video, così come le sue installazioni. In Pirelli HangarBicocca rappresentativa di questa ricerca è lerato laka le a phela le a phela le a phela / my love is alive, is alive, is alive (2022). Commissionata da TBA21–Academy e co-prodotta con Pirelli HangarBicocca, l’opera, presentata per la prima volta a Ocean Space a Venezia ad aprile 2022, si compone di strutture in legno e rocce disposte a cerchio, che danno vita a un ambiente accogliente e intimo, su cui sono proiettate immagini di riprese marine. La camera si immerge e riemerge, catturando la mano dell’artista che tamburella sull’acqua o che getta nell’oceano diverse sostanze – come latte, frutti e fiori – simili a offerte votive, mentre l’eco di percussioni e la voce dell’artista accompagnano i rumori del mare e delle onde come una litania ritmica di un rituale o di una cerimonia. Il ritornello cantato da Bopape, che dà il titolo al lavoro, assume le connotazioni di un flusso armonico tra corpi e materia, immagini e suoni. L’opera è il risultato del viaggio che Dineo Seshee Bopape ha intrapreso sulle Isole Salomone, in Giamaica, Africa occidentale e fino alle piantagioni lungo il fiume Mississippi e diventa per l’artista un’occasione per riflettere sulla nostra relazione inter-generazionale con la tratta atlantica degli schiavi, con l’acqua e con le sue potenzialità simboliche:

“[Pensare] all’acqua dell’oceano, all’acqua nel mio corpo, così come all’acqua nel nostro corpo collettivo o nella nostra coscienza collettiva, noi tutti e tutte in relazione l’uno con l’altro e l’altra e con l’acqua, [riflettere] su come l’amore abbia a che fare con tutto questo e su dove si situi all’interno di queste connessioni” (Dineo Seshee Bopape in In Venice, Artist Dineo Seshee Bopape Asks Us to Consider Our Relation to the World’s Waterways, ArtNews, aprile 2022).

Insieme all’acqua, anche la terra e l’argilla sono gli elementi più riconoscibili e ricorrenti del lavoro dell’artista. Questi vengono combinati da Bopape per dar vita a installazioni, simili a paesaggi rocciosi e desertici stratificati, che raccolgono e conservano tracce del passato, memorie e storie collettive. Così Lerole: footnotes (The struggle of memory against forgetting) (2017), opera composta da materiali organici e media differenti – come mattoni, argilla, ceramica, sabbia, erbe e alcuni giradischi – appare come un monumento effimero ispirato dai testi dello scrittore afroamericano James Baldwin (1924 -1987), dalla figura del politico sudafricano Robert Sobukwe (1924–1978), fondatore del Congresso Panafricanista, che fu tenuto prigioniero in isolamento su Robben Island durante l’apartheid, e dagli innumerevoli combattenti per la libertà. Nell’installazione sono presenti numerose sculture in argilla, che sono state modellate tenendo il materiale chiuso nel palmo di una mano e successivamente cuocendo il calco ottenuto. Esse diventano simbolo della lotta per l’auto-determinazione contro il potere coloniale, a ricordo del gesto politico del pugno chiuso sollevato, e sono accompagnate da una serie di placche di legno che riportano una cronologia di eventi legati alla resistenza del popolo africano contro l’occupazione europea, stilata dall’artista con la collaborazione di un ricercatore. Con Lerole Bopape indaga le tracce del passato, ricordate e registrate, e di ciò che è possibile testimoniare, ma rimane non documentato. Il lavoro infatti richiama i secoli di lotta contro le invasioni nel continente africano, rivelando esempi e storie di contatti in epoca pre-coloniale, riflettendo allo stesso tempo sulle soggettività che hanno preso parte alla lotta stessa e alle guerre, sull’imperativo all’autodeterminazione, sulla polvere di ciò che è rimasto e sull’idea di libertà.

La connessione tra territorio e corporeità, e in particolare quella femminile, viene esplorata ulteriormente in And- In. The Light Of This._____ (2017/2022) e Mothabeng (2022), dove due strutture a cupola – realizzate con terreno, argilla e fieno compressi – che emblematicamente ricordano un ventre, un uovo o un capanna, accolgono i visitatori e le visitatrici. In queste architetture archetipiche, erbe e minerali suggeriscono la loro funzione rituale e curativa. L’oscurità e la commistione di odori di terra e piante invitano alla meditazione e alla rielaborazione della relazione dell’uomo con il suolo. In Mothabeng l’artista presenta inoltre un nuovo lavoro concepito in occasione della mostra in Pirelli HangarBicocca: un’opera sonora creata dalle registrazioni effettuate in una cava di marmo sugli Appennini toscani durante uno dei soggiorni di Bopape in Italia. Grazie all’ambiente raccolto, i suoni prodotti dagli elementi naturali della montagna echeggiano e accompagnano i fruitori e le fruitrici in un metaforico viaggio nelle profondità della terra, e inducono a concepire modalità di connessione e comunicazione inedite con organismi ed entità non umane e la realtà circostante.

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