La settimana scorsa sono stata a Taranto, in Puglia. La ‘città dei due mari’ – come viene anche chiamata. Il suo centro storico sorge su un’isola. Dagli anni Sessanta è un polo siderurgico e le tracce dei fumi carichi di diossina degli stabilimenti sono visibili ovunque. C’è qualcosa di apocalittico in questo luogo. Ripensando al progetto “Reek of past pitfalls” di Caterina De Nicola, continua a venirmi in mente Taranto. La città dei due mari. Quale futuro è concepibile, è possibile in un luogo (in un mondo?) in cui i sogni un tempo utopici del domani germogliano tra i fumi velenosi e in cui gli spettri del passato (del boom del capitalismo economico) continuano a ripresentarsi? In cui, nelle parole dell’artista, «tutto puzza di vecchie trappole»? «Che fare adesso?» chiede il filosofo marxista Franco ‘Bifo’ Berardi nel suo libro After the future (Dopo il futuro), scritto nel primo decennio del nuovo millennio e pubblicato nel 2011. Che fare adesso? In un mondo in cui la ribellione di massa finisce brutalmente soffocata dalle forze dell’ordine (penso al G8 di Genova nel 2001) e l’idea di un futuro perfetto appare decisamente assurda? «Quei nemici (incontrati nei nostri incubi) hanno preso vita, dopo, nel futuro senza futuro che abitiamo oggi» scrive Bifo.
Caterina De Nicola, attiva anche come produttrice musicale, descrive la sua pratica artistica in termini di scetticismo post-postmoderno. Ad assillarla è, appunto, l’infinito presente dell’arco temporale della postmodernità e l’assenza di nuove forme di immaginazione per il futuro. L’eterno riproporsi di elementi del passato. Caterina De Nicola lavora con i materiali più diversi, spesso usati e di recupero, e produce lei stessa la maggior parte delle sue opere, in prevalenza scultoree. Si sente, spiega, molto attratta dall’idea del DIY, il ‘fai da te’. Per la mostra all’Istituto Svizzero a Milano ha realizzato una poderosa scultura: una scritta composta da una quantità di oggetti e materiali riciclati. Attingendo da un negozio di mobili di seconda mano, ha per esempio riutilizzato un’intera camera da letto – completa di letto e armadio – così come le lettere di un’insegna di Ernst & Young (hello capitalismo internazionale!). Le lettere, alte più di due metri, sono in parte leggibili anche dall’esterno delle vetrate della sala espositiva: ‘Reflux’.
Il Riflusso. Il ritorno. Cerco su Google il termine nel suo significato tedesco e trovo molto rapidamente una cosa molto sgradevole: il reflusso gastroesofageo prodotto da cibi eccessivamente grassi o dolci. Una delle patologie tipiche della nostra civiltà (occidentale) nell’epoca del supercapitalismo. L’eterno ritorno. Anche nel contesto dell’assetto economico capitalista l’idea di riflusso assume un significato concreto: parlando della circolazione del denaro, Karl Marx lo descrive come il momento in cui una merce acquistata viene rivenduta e il denaro rifluisce verso il punto di partenza. In questo ciclo (eterno) di denaro-merce-denaro, il denaro si trasforma da semplice denaro in capitale. Siamo arrivati al cuore del capitalismo.
Caterina De Nicola ragiona su questi temi anche in relazione alla (teoria della) musica. Il genere noise, ad esempio, costituisce per lei una forma di resistenza (che anche in una cultura ormai storicamente capitalizzata si sottrae a una definizione tradizionale di professionalità, creando spazi per l’esperienza individuale), e nel suo “Reek of past pitfalls” il concetto di hauntologia di derivazione derridiana, ripreso nel 2006 dalla teoria musicale, acquista rilievo. Riallacciandosi allo spettro del comunismo di Marx, Jacques Derrida constata che la società dei primi del Novecento è destinata a essere tormentata da elementi del passato, tra i quali proprio il marxismo, che ancora perseguita il capitalismo. Per quanto riguarda la musica, l’idea di hauntologia (come descritta da Mark Fischer) rimanda a una sorta di crepitìo fantasmatico (talora quello molto concreto dei dischi in vinile campionati) o ad altre componenti sonore del passato, che, ricontestualizzate, vanno a formare un progetto acustico non soltanto nostalgico ma anche inquietante e indigesto, per un presente incerto. Credo che in “Reek of past pitfalls” Caterina De Nicola faccia qualcosa di simile: una scultura di oggetti riciclati e ricontestualizzati, veicolo di una chiara presa di posizione. Qui, così mi spiega l’artista, avverte una sensazione di blocco. Un arenarsi del post-postmodernismo nel presente, che per la maggioranza delle persone non riserva alcuna visione euforica di futuro. Un’analisi del tempo attuale che, nel 2023, con la guerra in atto e dopo la pandemia, si rivela quanto mai virulenta. E ritengo che per Caterina De Nicola si tratti anche di un’esperienza legata a Zurigo, dove oggi vive e lavora. Da alcuni anni assistiamo a un’impressionante ‘googleizzazione’ della città: fuori dagli Stati Uniti, è qui che il gigante americano ha la sua sede principale. E mentre gli affitti schizzano alle stelle, gli spazi per la cultura alternativa mancano. Quello che per poche/i può significare un futuro assai promettente, per molte/i non è che una visione più fosca, quasi priva di opportunità di emancipazione, ma accompagnata da timori per gli spazi abitativi e di pensiero. Il supercapitalismo sfrenato che sempre ci raggiunge.
‘Reflux’. Reflusso. Acidità di ritorno. Così scrive in modo quasi preveggente Bifo, nel 2011: «Quando l’immaginazione collettiva non riesce più a scorgere alternative possibili a movimenti che conducono alla devastazione, all’aumento della povertà e alla violenza, il futuro diventa una minaccia». Per Caterina De Nicola questo sentire si mescola, per sua stessa ammissione, a sentimenti di nostalgia e malinconia. Una tartaruga ci osserva dalla gigantografia sulla parete laterale della prima sala espositiva. Per “Reek of past pitfalls”, Caterina De Nicola ha fotografato animali imbalsamati nel Museo di Storia Naturale di Milano e ne ha tratto una serie fotografica. Ci mostra primi piani dei loro occhi, cioè di quella parte che nel processo tassidermico va riprodotta artificialmente: è qui che Caterina De Nicola ha montato dettagli quasi irriconoscibili provenienti da altre fotografie. Nelle pupille di questa tartaruga, animale dalle sembianze preistoriche capace di vivere fino a 120 anni, luccica dunque qualcosa che forse possiamo definire davvero nuovo: qualcosa come un futuro ancora pressoché irriconoscibile.
– Gioia Dal Molin