Nello spazio della galleria Clima, il lavoro di Tarek Lakhrissi e Tai Shani sfida le nozioni di accesso a livello materiale e percettivo nella mostra “you can now enter: notes on immersion”.
I. [accesso]
L’immersione è spesso vista come un evento singolare: un’esperienza altamente trainante, un profondo coinvolgimento mentale o un flusso che ci trasporta in un altro strato della realtà. Tuttavia, l’immersione non è il semplice atto di entrare in contatto con una sostanza o di calare in uno stato – ma piuttosto di invocare la totale mancanza di una distinzione materiale tra gli esseri viventi e il mondo che li circonda. Si tratta di un continuo sommergere senza annegare, di una pratica della presenza. Questa concezione o esercizio dell’immersione può essere utile quando alcuni spazi sono accessibili per alcuni, ma impenetrabili per altri. Quando l’accesso non è concesso o autorizzato, ma negato, e perciò deve essere immaginato.
Entrambi gli artisti in mostra cercano la collettività e le loro pratiche condividono una sensibilità per l’affettività, l’ibridazione, le narrazioni marginali e i gesti poetici che eludono le strutture linguistiche restrittive. I loro lavori, presentati per la prima volta a Milano, traggono spunto sia da storie subalterne italiane che da narrazioni canoniche, che aprono a diversi mondi sociali pur rimanendo ancorati a quello attuale.
II. [attraversamento]
Nel suo nuovo corpo di lavoro che comprende testo, suono e scultura, Tarek Lakhrissi indaga la tematica dell’accessibilità e reimmagina contesti vincolanti rievocando lo spazio metafisico dell’inferno. Attingendo al suo background letterario, Lakhrissi presenta una versione rivisitata dell’inferno di Dante, prendendo spunto dalla riscrittura Queer della Divina Commedia di Monique Wittig. Nella narrazione sperimentale di Wittig, “l’enfer” è un luogo dalle condizioni rigide, sia sociali che climatiche. Ma a differenza di quello di Dante, si tratta di un luogo più comune di quanto sembri: vi si accede attraverso un bar, una sala da biliardo, ed è un posto o una situazione in cui Wittig si trova di fronte a decisioni ostiche che mettono in discussione le sue scelte in un mondo normativo. Lakhrissi utilizza gli strumenti queer presenti nella ricerca di Wittig, dando spazio a narrazioni trasformative. Se l’inferno terrestre è un luogo in cui vengono relegati gli “indesiderabili”, allora Lakhrissi lo rende ospitale per tutti coloro che vengono considerati tali e diversi. Insieme al compositore Victor Da Silva, l’artista combina tracce sonore ispirate alla musica Cloud Rap dei TRIPLEGO, in una traccia atmosferica e a tratti inquietante che sospende il tempo e lo spazio: tra una discoteca a una dimensione ultraterrena. Per Lakhrissi, le grate – un elemento visivo ricorrente nelle strade di Milano – diventano portali e punti di accesso. In una delle sculture metalliche vi è incastonata una poesia che invita il lettore a cercare un giardino in cui rifugiarsi, uno spazio in cui convivere con le proprie emozioni e difficoltà. In un’altra si nascondono piccole creature degli inferi, esseri ibridi che sono allo stesso tempo pericolosi e guide fedeli. I piccoli fuochi scultorei, con le loro trasparenze e le loro iridescenze verde acqua, sembrano più giocosi che temibili. La materialità del vetro, del metallo, delle parole e dei suoni, apre un varco per entrare in contatto con la fisicità. Dando nuove forme a oggetti e tradizioni, Lakhrissi crea un luogo per l’alterità – in cui la distinzione tra “bene” e “male” viene sospesa – e uno spazio di condivisione per diverse comunità.
Nelle sculture e nei dipinti di Tai Shani le prospettive spaziali e temporali si fondono e si capovolgono. Bassorilievi fluttuanti rivelano torri, merli e scale da diversi punti di vista: la loro architettura labirintica collassa in un tutt’uno. Queste reliquie, che ricordano edifici medievali e allo stesso tempo eleganti astronavi, sembrano emergere da un futuro antico e sfuggire al tempo lineare. Le figure sferiche e scalari appaiono sulla superficie traslucida di dipinti che l’artista ha iniziato a produrre per la prima volta durante la quarantena. “Questi sembrano e sono portali che mi permettono di entrare in uno “spazio altro”, scrive Shani, riferendosi alle sue tele come a luoghi interiori e intimi, liberi dal “linguaggio patriarcale e dalle strutture che limitano la vita e l’immaginazione”. Nelle sue sculture invece, i riferimenti a figure vegetali e soprannaturali, diventano canali per rivedere le strutture limitanti e storie riduttive. Una cupola posizionata su una forma piramidale contiene la versione scultorea di naso e bocca di una strega o di una Maiara, un raro esempio di strega benevola avvistata sull’isola di Alicudi in seguito a casi di allucinazioni provocati dal consumo di Ergot. La strega non è solo una figura che si colloca sulla soglia tra l’umano e la fantasia, una distruttrice della morale e della civiltà, ma anche un contrassegno che veniva spesso attribuito alle donne più anziane, prive di risorse o con accesso limitato alla sopravvivenza. Quando l’Ergot, un fungo che cresce sui chicchi di grano e da cui si ricava l’LSD contaminò la segale usata per macinare il pane, gli abitanti dell’isola di Alicudi sperimentarono episodi di visioni e allucinazioni. Nei 450 anni di contaminazione, si diffusero leggende di donne che volavano sulla terraferma a Palermo o in Calabria e tornavano con borse piene di cibo. Il lavoro di Shani fa rivivere le mitologie e le storie psichedeliche delle isole Eolie, che parlano della scarsità di cibo a causa delle limitazioni geografiche e del territorio isolare, esponendo interconnessioni materiali e fantasie realiste contro sistemi oppressivi. Come nella narrativa gotica botanica, le figure vegetali passano dall’essere silenti figure di un romantico sfondo arcadico ad attori soprannaturali. Le spore e le piante rampicanti diventano protagoniste. La segale dorata in un tempio a forma di globo terrestre; una rampicante con occhi di vetro che pende dal soffitto; i nastri a spirale nell’opera diventano tutte insieme un fil rouge, un modo per accedere a uno stato di connessione e interdipendenza tra tutte le cose: una spinta verso il collettivo.
III. [immergersi]
Il filosofo Emanuele Coccia sostiene che le piante sono il “paradigma dell’immersione” in quanto hanno una “contiguità” con l’ambiente in cui vivono: traggono le sostanze nutritive dal terreno e producono le condizioni ambientali che permettono alla vita di terminare e rifiorire. Sono fisicamente inserite in un mondo che le ospita, che le accoglie, e sono in grado di plasmare fondamentalmente il mondo e loro stesse È questa continua e costante compenetrazione, la reciproca “mescolanza senza perdere la propria identità” lo scambio attivo che alimenta la coesistenza.
Secondo questo filone materialista, ogni essere è in grado di “accedere” al mondo e di trasformarlo radicalmente. Invece che provocare esperienze isolate, questi lavori offrono sottili riorganizzazioni dei sensi. Ridefinendo la percezione ed esponendo le relazioni e i confini tra soggetti, sostanze, sistemi e mondi, compiamo questo continuo atto immersivo. Potreste aver bisogno di trovare un modo per “entrare”, sentirvi e adattarvi, ma siete già qui.
– Giulia Civardi