Lo schermo dell’arte 2023, XVI Edizione di

di 29 Novembre 2023

“Nell’evoluzione dell’intelligenza arriveremo a un punto in cui il concetto di realtà non esisterà più. […] il cinema diverrà parte integrante della vita mentale e le comunicazioni si evolveranno in una dimensione metafisica.” 1

Nel libro Expanded Cinema (1970), di qualche anno successivo all’opera seminale La Società dello Spettacolo di Guy Debord,2 Gene Youngblood prevedeva anzi tempo uno sviluppo tutto virtuale della gestione dei rapporti tra individuo e media, all’interno di uno scenario mediatico futuro in cui la realtà si sarebbe riadattata alle esigenze della comunicazione. Profezia o intuito?

Raccontare un festival non è impresa semplice. Migliaia di immagini in movimento si stratificano e accavallano irrequiete nella mente immersa per cinque intere giornate nel buio della sala cinematografica (senza contare i tempi supplementari concessi sulla piattaforma MYmovies, partner indispensabile di questo viaggio) all’insegna di sogni, suggestioni, paure, narrazioni, stimoli emotivi, linguistici e sensoriali tra i più diversi e perforanti.

Nel suo Atlante delle emozioni (2015) la studiosa Giuliana Bruno, in debito con le Mnemosine Warburghiane, traccia una “geografia emozionale” strutturata come mappa affettiva in cui l’individuo, attraverso visioni e luoghi, spostamenti ed emozioni, è messo in contatto con i propri paesaggi mentali e mondi interiori. Ispirandosi a ciò si potrebbero tratteggiare alcune possibili categorie, arbitrarie quanto forse casuali, indispensabili però alla lettura di una così variegata proposta in questa sedicesima edizione del festival. Sempre sotto la direzione di Silvia Lucchesi, Lo schermo dell’arte continua a offrire un elevato numero di film d’artista e di documentari sull’arte contemporanea che invitano a riflessioni profonde sulle infinite sfumature e dimensioni esistenziali dell’essere umano perché, come lei stessa afferma “il cinema è lo specchio del nostro tempo e finestra attraverso la quale guardare la realtà.”

ESTETICA E POTERE

In alcune opere presentate è evidente la propensione all’estetica dell’immagine, alla costruzione di una sequenza narrativa che, pur perdendo alle volte la struttura logico sintattica, riesce ad articolare comunque un discorso, proprio attraverso l’efficacia dei paesaggi fisici e mentali, delle immagini, spesso lente, e della solidità delle scene ostentata come un’urgenza linguistica.
L’opera più recente di Amie Siegel, Bloodlines (2022), anteprima italiana alla presenza dell’artista, è un ritratto sociale che attraverso il racconto della movimentazione delle opere del pittore britannico George Stubbs (1724–1806) verso una mostra a lui dedicata, tra silenziosi interni di dimore aristocratiche, oggetti preziosi e animali domestici, mostra il legame tra il concetto di possesso e quello di privilegio e potere.
O ancora, Twittering Soul (2023) di Deimantas Narkevičius, sempre anteprima italiana alla presenza dell’artista, è un lungometraggio in un inusuale 3D che mette in scena la storia del folklore lituano come una favola senza tempo in cui uomo e natura si corrispondono in profonda connessione e dove la comunicazione si manifesta attraverso espressioni arcaiche intrise di simbolismo.
Così I Am Hymns of the New Temple (2023) di Wael Shawky in cui Pompei rappresenta lo scenario primordiale di inizio e conclusione del mito, il teatro in cui la memoria si rigenera nella stratificazione delle culture mediterranee.
Anche la première italiana di Inside (2023) di Vasilis Katsoupis, che ha decretato il sold out alla presenza dell’autore, del produttore Giorgos Karnavas e dell’attore Willem Dafoe può ricondursi a questa macrocategoria in cui sono le immagini ad autogenerarsi e a dirigere il plot. Un ladro d’arte, durante un furto, rimane intrappolato in un lussuoso attico newyorkese che, in un crescendo di suspense, si trasforma in una vera e propria prigione dove l’unica interazione possibile è quella con le opere d’arte che la abitano. Queste stesse (di artisti internazionali sotto la curatela attenta di Leonardo Bigazzi) acquistano un ruolo da coprotagoniste nella storia.

POLITICA E INCHIESTA

Altri autori propongono invece vere e proprie inchieste che, senza tralasciare il piano estetico presente nella cura delle immagini, diventano indagini specifiche quanto profonde sui temi più disparati. Dall’evoluzione del territorio ¬– l’ecosistema della più grande cava d’amianto d’Europa a Balangero, in provincia di Torino, oggi in via di bonifica ¬– raccontata in La montagna magica (2023) di Micol Roubini attraverso il contributo di antropologi e scienziati sotto forma di una grande l’installazione multicanale negli spazi della Strozzina, prodotto dallo Schermo dell’arte e realizzato grazie al sostegno dell’Italian Council (XI edizione, 2022). Ai prodotti commerciali di consumo, come nella rappresentazione dei nuovi regimi e delle infrastrutture della distribuzione del cibo raccontati da Gerard Ortín Castellví in Bliss Point (2023), in anteprima mondiale come primo dei quattro film prodotti grazie al VISIO Production Fund oltre che allo Schermo dell’arte con Fondazione In Between Art Film. Dallo spazio espositivo che nel lavoro di Sarah Vos White Balls on Walls (2022), si trasforma in paradigma di una società in evoluzione, affrontando questioni di grande attualità nel mondo dell’arte, quali la rappresentazione razziale e di genere all’interno del contesto museale, seguendo il lavoro, spesso ricco di insidie, del direttore dello Stedelijk Museum di Amsterdam e del suo team. Sino alla riflessione sugli schermi mediatici, che nel lavoro di Rabih Mroué The Pixelated Revolution (2012) recupera le immagini dei manifestanti siriani contro il regime di Bashar al-Assad trovate nel web, usandole a pretesto per indagare il rapporto che lega la necessità di documentare e l’oggetto della propria indagine, ovvero la distruzione e la morte, e come questo rapporto venga altresì percepito dal resto del mondo.

MEMORIA BIOGRAFICA

Diversi sono i registi che consacrano il proprio lavoro alla narrazione biografica di un creativo, di un’opera, di una visione.
Jennifer Lane, ad esempio, sceglie di raccontare in Robert Irwin: A Desert of Pure Feeling (2022) l’universo dell’artista attraverso le sue installazioni effimere di luce e spazio, fino all’ultimo progetto per il paesaggio desertico di Marfa in Texas.
Amanda Kim presenta, invece, in anteprima italiana Nam June Paik: Moon Is the Oldest TV (2023), documentario dedicato alla figura di un precursore assoluto che con la sua arte ha saputo creare nuovi pensieri sulla tecnologia, nuove forme di espressione e di comunicazione muovendosi dalla Corea, attraverso l’incontro con John Cage e il movimento Fluxus, fino agli Stati Uniti.
Domenico Palma ripercorre in Dead Dance (2023) il processo di realizzazione della grande installazione di Giulia Cenci in occasione della Biennale di Venezia del 2022, proiettandolo in anteprima mondiale; mentre Roxanne Bagheshirin Lærkesen in Ragnar Kjartansson: I’m Not An Authentic Human Being (2023) esplora – nel corso di un’intervista nel suo studio di Reykjavík realizzata dalla troupe del Louisiana Channel ¬– la carriera dell’artista islandese, a partire dai primi video sino ai grandi progetti internazionali.
Heinz-Peter Schwerfel nel suo documentario Canyon – Katharina Grosse (2023) segue la realizzazione dell’opera permanente dell’artista tedesca per la Fondation Louis Vuitton di Parigi, un lavoro monumentale tra pittura e scultura che interagisce con l’architettura dello spazio progettato da Frank O. Gehry.

MEMORIA (AUTO)BIOGRAFICA

Tema che sembra scorrere sotterraneo in alcuni tra i lavori più intensi di questa rassegna, è quello del ricordo, della memoria, dell’omaggio alle figure genitrici, nonché alla figura paterna.
Elettra Fiumi lavora nell’arco di quasi dieci anni al bellissimo documentario Radical Landscapes (2022) dedicato al padre Fabrizio, cofondatore nel 1968 del gruppo fiorentino di architettura radicale 9999. Tra i tanti progetti del Gruppo, uno in particolare contribuì a ridisegnare il volto della Firenze di quegli anni, lo Space Electronic, un club che sarebbe diventato leggendario come luogo di ritrovo, ricerca, svago, musica e sperimentazione totale. Portatore di una visione dirompente e all’avanguardia, il Gruppo 9999 e, Fabrizio Fiumi in particolare, fu in grado di connettere le innovazioni tecnologiche con le più urgenti tematiche ecologiche ed etiche.
In modo analogo Fiona Tan rende omaggio al suo rapporto con il padre presentando il film Dearest Fiona (2023), che cuce insieme storie di vita quotidiana ambientate nei Paesi Bassi a inizio Novecento, rappresentate da rare immagini dell’epoca, con quelle raccontate dal padre dell’artista nelle pagine delle lettere che lui stesso le spediva dall’Australia negli anni Novanta mentre lei si trovava a studiare ad Amsterdam. Questo lavoro è un intreccio tra parola e immagine, tra suono e musica, ipnotico ed emotivamente coinvolgente che scivola con delicatezza e senza soluzione di continuità, dalle microstorie familiari quotidiane alle macrostorie che hanno segnato un’epoca.
Ospite d’onore del festival l’artista olandese Guido van der Werve, che oltre a presentare la sua produzione precedente, accompagnata da una lecture presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, propone in anteprima italiana il suo ultimo lavoro Nummer Achttien – The Breath of Life (2023), un racconto di eccezionale potenza evocativa, a cui concorrono la struttura formale delle immagini quanto la narratività insolita della musica da lui composta. In seguito a un incidente quasi fatale, dopo un mese di coma e una lunghissima riabilitazione, l’artista torna a poco a poco alla vita. Con la lucidità amara e melanconica e lo humor sagace che contraddistingue il suo lavoro, van der Werve rivolge lo sguardo al passato, elaborando una riflessione sulla propria storia autobiografica di bambino problematico e sulla consapevolezza della propria e dell’umana fragilità. Con un omaggio ai padri, sia biologici (spesso presenti nel film i dipinti del padre venuto a mancare pochi anni fa), che spirituali (accennato apertamente il legame col lavoro emblematico del connazionale Bas Jan Ader, più volte evidenziato dalla critica, la cui parabolica, misteriosa, nonché tragica fine sancì la sua opera d’arte totale), confermano un’adesione completa e radicale al concetto di arte-vita che però van der Werve coscientemente travalica in un messaggio delicatamente dirompente quanto universalmente salvifico.

EXTRA

In occasione della personale “Glassa” al Centro Pecci di Prato, Diego Marcon presenta in sala insieme a Stefano Collicelli Cagol, una selezione dei suoi lavori precedenti, formulando un format monocanale che permette di stressare ulteriormente i punti focali della sua ricerca: dallo scardinamento della grammatica delle immagini (Untitled (All Pigs Must Die), 2015); allo spaesamento percettivo-sonoro (ToonsTunes (Four Pathetic Movements), 2016); dalla rieducazione dello sguardo (Monelle, 2017); alla seduzione delle immagini e il potere della ripetizione (Il malatino, 2017 e Ludwig, 2018).
Tra presenze in sala di artisti, registi e curatori, talk, lecture e masterclass, collaborazioni importanti come quella con MYmovies.it, supporti alla produzione come il VISIO – European Programme on Artists’ Moving Images curato da Leonardo Bigazzi e giunto alla sua XII edizione, e il VISIO Production Fund, in collaborazione con il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci (Prato), la Fondazione In Between Art Film (Roma) e il FRAC Bretagne (Rennes) che supporta concretamente il lavoro delle nuove generazioni, Lo schermo dell’arte si conferma uno dei festival più originali e completi tra quelli dedicati alle immagini in movimento a livello internazionale.

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Marta Silvi