Già dal nome la rivista E IL TOPO svela la propria essenza e modalità operativa: deliberatamente incompleto, inizia con una congiunzione, suggerendo l’esistenza di qualcosa o qualcuno che lo precede, a cui si aggiunge l’immagine di un topo, un animale astuto, veloce e piccolo, noto per la sua tendenza a rimanere nascosto e a scomparire nell’ombra. Il risultato è uno spazio su carta dedicato allo scambio e all’interazione tra gli artisti, operante in maniera sorprendente e clandestina.
E IL TOPO nasce nel 1992 a Napoli da un’idea di Gabriele di Matteo, Piero Gatto, Franco Silvestro e Vedovamazzei. Stampato offset bianco e nero su carta riciclata, ogni numero accoglie progetti inediti di giovani artisti italiani e internazionali – tra cui Stefano Arienti, Maurizio Cattelan, Mark Dion e Dominique Gonzalez-Foerster – impiegando “un’insolita strategia editoriale” che fa dell’ironia e del detournement la sua cifra distintiva. Nel 1996, dopo la pubblicazione di undici numeri, l’esperienza della rivista sembra essere conclusa. Nel 2010, però, l’artista Francesco Fossati, al tempo studente all’Accademia di Brera, la rilancia all’insaputa della storica redazione, utilizzando E IL TOPO come piattaforma per presentare un progetto di ricerca sugli artist run spaces. Da qui si innesca un confronto intergenerazionale con un nuovo gruppo di lavoro che porta alla “rinascita” della rivista stessa.
Il progetto editoriale promosso da Viaindustriae ed edito da a+mbookstore (Milano) racchiude e ripercorre questa storia intermittente e per molti versi imprevista con una corposa antologia in due volumi a cura dei “topisti” Gabriele di Matteo e Franco Silvestro, presentata in un cofanetto contenente anche otto poster d’artista e realizzata nell’ambito dell’11a edizione dell’Italian Council. Il primo tomo è dedicato alla riproduzione dei trentatré numeri di E IL TOPO, presentati integralmente in stampa anastatica; il secondo, invece, ricostruisce attraverso i contributi critici di tre figure legate in modi differenti alla storia della rivista – Anna Cuomo, Françoise Lonardoni e Giorgio Verzotti – il fondamento teorico da cui scaturisce questa forma di editoria indipendente e collettiva. Inoltre, un’ampia selezione di materiali d’archivio e fotografie mette in luce l’evoluzione di ogni numero, i rapporti che intercorrono tra gli artisti e i molti eventi e performance che hanno accompagnato la vita stessa della rivista.
Proprio questo secondo volume si pone come una guida essenziale, facilitando il lettore nella comprensione del percorso di una rivista che, al primo impatto, potrebbe apparire complessa e non immediatamente accessibile. Se infatti, da un lato, la ristampa anastatica di tutti i numeri offre l’occasione unica di seguire linearmente i passi di una rivista che ha sempre rifuggito quella stessa linearità, dall’altro sfida il lettore, oggi come allora, a scoprire e comprendere i significati nascosti dietro ogni contributo. E IL TOPO presenta scritti degli artisti, riproduzioni fotografiche e interventi manuali, con esiti che appaiono spesso enigmatici codici da decifrare. Del resto, sin dalla sua fondazione, la rivista non mira a essere uno strumento di critica o informazione ma uno spazio di ricerca artistica in cui l’unico limite per chi vi partecipa è rappresentato dai margini della pagina su cui lavora. Più che un punto di partenza, E IL TOPO è quindi il risultato di un processo collaborativo, fungendo principalmente come luogo di interazione sociale tra gli artisti coinvolti, un “regno”, come indicato nel primo numero del 1992, da cui il lettore si può sentire felicemente estraneo, mai sicuro di aver completamente colto o compreso il significato della pagina, proprio come accade con le opere.
Nel contesto degli anni Novanta, caratterizzato dalla prevalenza del sentimento individuale su quello collettivo, E IL TOPO afferma il valore della relazione, anticipando per molti versi quell’idea di “interstizio sociale” su cui avrebbe insistito Nicolas Bourriaud pochi anni dopo nel saggio Estetica Relazionale (1998). Ma E IL TOPO rappresenta anche una forma di libertà di azione rispetto al sistema dell’arte che in quegli anni diviene sempre più definito e normato dalle leggi del mercato; a riaffermare questa dimensione alternativa sembra essere anche la scelta rigorosa del bianco e nero – mantenuta fino ad oggi con l’eccezione degli interventi rossi delle Edizioni Lettera Rossa introdotti nel 2012 – una voluta contrapposizione alla prevalenza di immagini patinate e glamour tipiche della società e dell’editoria degli anni Novanta, così come un distacco dalle immagini digitali e dalla sovraesposizione mediatica iperrealista recente. È una scelta stilistica e operativa che posiziona idealmente la rivista in una linea di “discendenza” che affonda le radici nella produzione editoriale degli anni Sessanta allineandosi a movimenti artistici quali Fluxus, il situazionismo e le pratiche concettuali, modelli che si ritrovano nelle pagine in forma frammentata e isolata, liberati dalle rigide ideologie e norme del passato, sempre alleggeriti da un’ironia dissacrante.