“Geometrie a mano” è il titolo della seconda mostra ospitata nel neo-spazio Circolo, inaugurato lo scorso ottobre in Via della Spiga 48. Luogo polifunzionale, pensato per esposizioni, incontri, laboratori e altro ancora, diviene in questa occasione punto di appoggio e di incontro delle due gallerie londinesi Greengrassi e Corvi-Mora, che hanno deciso di presentare quattro artisti americani, Joanne Greenbaum, Richard Hawkins, Jim Isermann e Pae White, il cui lavoro è accomunato da quel rigore geometrico richiamato dal titolo, stemperato però dalla vivacità del colore, dai toni caldi, dalla diversità dei materiali e da un fare, appunto, “a mano”.
La scelta dei due galleristi, Cornelia Grassi e Tommaso Corvi-Mora, è stata quella, nonostante l’ancora piena attività degli artisti, di proporre dei loro lavori degli anni Novanta e inizi anni Duemila, ovvero di una fase matura delle loro carriere, in cui le singole ricerche si collocano all’interno del più ampio panorama internazionale neo-geometrico (o neo-minimalista che dir si voglia) che già dalla fine degli anni Ottanta apre a una nuova fase di riflessione sulle possibilità dell’arte astratta.
Sebbene si tratti di un periodo che può essere percepito come ancora vicino nel tempo, è indispensabile considerare queste opere mantenendo una prospettiva storica, evitando così giudizi ingannevoli. In questo senso la mostra si offre come un’opportunità per iniziare a misurarsi con delle ricerche che hanno contribuito a definire il panorama artistico di circa trent’anni fa.
Tra le opere più interessanti, i dipinti di Richard Hawkins – Red and blue plus, Yellow, blue, reddish brown, upside down, Mostly green with yellow (2000) – si caratterizzano per il loro essere griglie geometriche che si sviluppano in orizzontale, attraverso sovrapposizioni di riquadri colorati più o meno precisi nella forma, mentre in verticale, attraverso l’utilizzo delle colature dell’olio che scorrono dai bordi creando linee sottili. In bilico tra estrema precisione e libertà espressiva manuale, queste opere svelano l’interesse di Hawkins per il collage fotografico, una pratica a cui si è dedicato nei primissimi anni della sua carriera e che ha, di lì in avanti, costantemente permeato la sua attività, con un gusto per la sovrapposizione di immagini, qui ridotte all’essenziale in blocchi di colore stratificato, che mantengono la memoria di una possibile impaginazione grafica.
Un maggior rigore formale caratterizza le opere di Jim Isermann: nei suoi Senza titolo, dipinti o sculture, Isermann adotta linee e forme minimali archetipe che, con la semplicità di ritmi ripetitivi, definiscono pattern illusori e otticamente complessi, suscitando diverse risposte cognitive negli osservatori. Tale dinamismo delle forze visive è messo alla prova dall’utilizzo di materiali diversificati, come nei due grandi quadri esposti – Untitled (Shag Ptg) (0490), Untitled (Shag Ptg) (0590) (1990) – realizzati per metà con un pannello smaltato, conferendo alla superficie un gradiente di lucidità, mentre per l’altra metà con fibre sintetiche, che aggiungono elementi tridimensionali e una diversa texture, a indicare anche l’interesse dell’artista per il mondo del design.
Astratti ma decisamente poco geometrici, i dipinti di Joanne Greenbaum, si caratterizzano per delle composizioni guidate da forme in continua mutazione e strettamente interconnesse tra loro. È l’esito di un approccio spontaneo, quasi un automatismo psichico, che permette al linguaggio artistico di fluire liberamente, senza restrizioni, alla ricerca di una forma di espressione pura. Nelle due opere esposte, Untitled (1998) e Untitled (1999), il motivo del diagramma emerge come un elemento strutturale distintivo, contribuendo a definire una dimensione di spazio fantastico e giocoso. Infine, seppur in una soluzione ridotta e certamente originaria rispetto alle installazioni più complesse a cui ha abituato il pubblico, l’artista Pae White è in mostra con Chat (1998), uno dei suoi affascinanti, leggeri e ludici mobile, composto da colorati pezzi di carta sospesi a corde multicolori che scendono dal soffitto.
“Geometrie a mano”, rappresenta un cambio di passo netto rispetto alla mostra con cui Circolo ha aperto le sue porte, “Perché questo è un tempo duro. Linguaggio sensibilità politica”, a cura di Sergio Risaliti, che si offriva come un osservatorio intergenerazionale sull’arte da una prospettiva femminile, con opere delle artiste Francesca Banchelli, Chiara Bettazzi, Elisabetta Di Maggio, Rä di Martino, Chiara Gambirasio, Veronica Greco, Sophie Ko e Sofia Silva.
La chiave per comprendere questa apparente apertura indiscriminata della programmazione e la sua flessibilità – prevista anche per il futuro – sta nella singolare visione dello spazio da parte della fondatrice Nicole Saikalis Bay come luogo dichiaratamente senza confini predefiniti, un ambiente in cui invitare artisti, curatori e gallerie con legami pregressi con l’Italia per consentire loro di riscoprire le opportunità offerte da Milano e, al tempo stesso, inserirsi nella scena artistica nazionale. Non si può allora che attendere di essere sorpresi dal prossimo passo.