TBA21–Academy inaugura a Ocean Space la mostra Re-Stor(y)ing Oceania, che presenta in anteprima due commissioni site-specific delle artiste indigene del Pacifico, Latai Taumoepeau e Elisapeta Hinemoa Heta. Curata da Taloi Havini, artista originaria di Bougainville e recente vincitrice del premio Artes Mundi, la mostra presenta un nuovo capitolo nella collaborazione tra Havini e TBA21–Academy, iniziata con la mostra personale dell’artista nel 2021. Re-Stor(y)ing Oceania è commissionata da TBA21–Academy e Artspace, Sydney, e realizzata in collaborazione con le OGR Torino, hub di cultura e innovazione.
Re-Stor(y)ing Oceania invita il pubblico a connettersi con le voci degli/delle artisti/e delle comunità che abitano e operano nella vasta e diversificata regione delle isole e degli atolli dell’emisfero australe. Le isole del Pacifico sono una delle regioni più colpite dagli effetti nefasti del cambiamento climatico. I/Le leader e le comunità indigene hanno chiesto per decenni indagini più estese e una maggiore consapevolezza delle crisi che ne derivano. I popoli del Pacifico occupano oltre un quarto del pianeta, con legami ancestrali che si estendono da Taiwan alle Filippine fino a Papua Nuova Guinea, alle Isole Salomone, Tonga, le Samoa, le Figi e Palau, le Hawaii a nord, l’isola più meridionale di Aotearoa, Rapa Nui a est, e la costa occidentale del continente australiano.
Tuttavia, nonostante l’indipendenza di molti stati insulari nell’Oceano Pacifico a partire dal 1962,l’eredità della colonizzazione continua a pesare sulle comunità oceaniche, sia dal punto di vistasociale che economico, attraverso lo sfruttamento continuo delle loro risorse naturali. In un’epocasegnata dalla crisi climatica e ambientale, Re-Stor(y)ing Oceania si impegna a sovvertire questa traiettoria estrattiva attraverso forme d’arte, l’oratoria, il canto, la genealogia, la performance, “embodied knowlege” (conoscenza empirica) e i sistemi di credenze cosmologiche oceaniche.La visione curatoriale di Havini è guidata da un metodo ancestrale di chiamata e risposta. Per queste nuove commissioni, Havini ha invitato l’artista Latai Taumoepeau a proporre un appello con l’opera Deep Communion sung in minor (ArchipelaGO, THIS IS NOT A DRILL) e l’architetta Wāhine Elisapeta Hinemoa Heta a rispondere con The Body of Wainuiātea.
L’artista tongana Latai Taumoepeau presenta Deep Communion sung in minor (ArchipelaGO, THIS IS NOT A DRILL), un’installazione sonora immersiva a 16 canali che invita il pubblico a partecipare a una “durational performance” risvegliando l’attenzione globale sui pericoli legati all’estrazione mineraria in alto mare nel Pacifico.
Attraverso la realizzazione di un’arena composta da macchine sonore e per pagaiare, quest’opera evoca il culto congregazionale di massa e stratifica gli attori geopolitici all’interno delle complessità culturali che circondano le credenze spirituali e le pratiche rituali, realizzando una “durational performance” faiva (incentrata sul corpo).Onorando l’antica pratica cerimoniale del Me’etu’upaki eseguita a Tongatapu all’inizio di quest’anno, Taumoepeau invita il pubblico a unirsi a lei in un’invocazione per richiedere assistenza e cura collettiva di Moana (Oceania).
L’installazione immersiva rappresenta l’interpretazione di Taumoepeau dell’antico rituale corale chiamato Me’etu’upaki, dove me’e sta per danza, tu’u significa in piedi e paki – con le pagaie. Quando il pubblico partecipa a gruppi per alimentare le macchine per pagaiare, amplifica il cerimoniale Me’etu’upaki del popolo di Taumoepeau, contribuendo con un lavoro di squadra alla resistenza contro l’estrazione mineraria in acque profonde (DSM). Al centro di quest’opera c’è l’antico obbligo culturale di mantenere viva la cosmogonia degli/delle antenati/e tongani/e dell’artista oltre il vā (spazio/tempo), in cui Kele (sedimenti marini) e Limu (alghe) rimangono intatte. Taumoepeau solleva l’interrogativo, chi è disposto a darsi da fare in questo esercizio di responsabilità ecologica?
The Body of Wainuiātea di Elisapeta Hinemoa Heta presenta una nuova installazione che incarna rituali e cerimonie guidati dai concetti Māori di kawa e tikanga, radicati nelle sue terre ancestrali di Aotearoa Nuova Zelanda. Leader e promotrice del cambiamento Māori, Samoano e Tokelauano, attraverso la propria opera offre prospettive Māori e Pasifika sull’importanza del luogo da progettare e dell’identità culturale, in relazione a whenua (terra). Con la sua pratica artistica, Heta crea spazi ed esperienze che rendono visibili storie spesso celate, ponendo particolare attenzione alle voci indigene e Wāhine (femminili).
The Body of Wainuiātea è composto da karanga (appello spirituale delle donne Māori), vasi di zucca intagliata, olio di cocco profumato, legno, mattoni, tessuto e acciaio inossidabile. La disposizione dei mattoni di terra evoca gli antichi siti cerimoniali per il riconoscimento degli atua (divinità). Questa Ātea è stata appositamente progettata da Heta per invitare i visitatori a riconoscere Wainuiāteae a portare con sé i/le propri/e antenati/e in questo luogo cerimoniale. Sedici sedute sono state posizionate in relazione ai punti cardinali, al sorgere e al tramontare del sole. In alto, dodici pieghe graduali di tessuto onorano Ranginui / Rangi / Lagi e i dodici livelli del cielo. Un karanga (appello cerimoniale) composto e intonato da Rhonda Tibble risuona tre volte al giorno per onorare Moana (Oceania) come tapu (sacra).
Derivato da “tika”, che significa modo giusto o corretto, tikanga è la definizione di ciò che è corretto per mantenere l’equilibrio nelle nostre relazioni, sia con il mondo umano che con l’ambiente. I/Le visitatori/trici sono invitati/e a entrare in The Body of Wainuiātea per apprendere, condividere e riconnettersi alle storie ancestrali. Per tutta la durata della mostra, questo spazio ospiterà un programma di conversazioni, performance e azioni con il contributo di professionisti/ e multidisciplinari. Entrare in The Body of Wainuiātea implica decidere consapevolmente di superare il divario tra l’individuale e il collettivo, tra il privato e il pubblico, per sperimentare la relazionalità con il prossimo.