Un esemplare di cervo sambar – incuriosito dalla presenza di una recinzione metallica consumata dal tempo – tenta di farsi strada oltrepassando i confini della foresta. Un contenitore di plastica nera – originariamente utilizzato per la raccolta dei rifiuti – offre ora una possibilità di sosta per quelle specie di uccelli migratori che attraversano oceani e continenti. Due varani di piccole dimensioni lottano nel letto naturale di un torrente riemerso a seguito della rottura di un canale di scolo di epoca coloniale.
Questi sono solo alcuni dei frame che costituiscono The Owl, The Travellers and The Cement Drain (2024), video a due canali presentato da Robert Zhao Renhui, artista invitato a rappresentare il Padiglione Singapore in occasione della 60a edizione della Biennale d’Arte di Venezia. Il progetto – intitolato “Seeing Forest”, a cura di Haeju Kim, Senior Curator presso il Singapore Art Museum – si concentra sull’analisi strutturale delle foreste secondarie di Singapore: spazi liminali che testimoniano le interferenze e le interazioni tra società umana e natura. Le foreste secondarie ricoprono circa il 4% del territorio insulare ed occupano siti in cui la flora originaria è stata cancellata nel corso degli anni a causa di politiche agricole e di sviluppo urbanistico. La formazione di queste foreste è evidentemente intrecciata con la storia di Singapore, basti pensare che gran parte delle specie che le costituiscono sono state introdotte sull’isola in tempi relativamente recenti. Un ecosistema così eterogeneo – formatosi anche grazie alla presenza discontinua di specie migratorie – conserva le memorie del passato e testimonia la diversità ecologica formatasi attraverso l’intreccio di flora e fauna autoctona con specie più recentemente introdotte. Documentare la vita delle foreste secondarie significa perciò dare forma a un archivio che riguarda un sistema complesso in cui i margini tra urbanizzazione e natura semi-selvatica tendono sempre più a dissolversi.
Il titolo del progetto espositivo sottintende un’accezione dello sguardo sia non-umana che antropica, includendo non solo la percezione visiva di un’azione, bensì anche le reazioni che derivano da tale comprensione. Zhao Renhui insiste sull’indagine dell’interferenza dell’essere umano sulla natura e su come questa, a sua volta, reagisca a tali contaminazioni. L’imprevedibilità di queste interazioni si rivela nel corso di un ampio periodo di osservazione durante il quale l’artista compie registrazioni a lungo termine. Le scene che costituiscono The Owl, The Travellers and The Cement Drain (2024) sono state selezionate e montate dall’artista attingendo a un bacino di videoregistrazioni ottenute posizionando attentamente diverse telecamere che catturano i movimenti e il calore corporeo emesso dalle forme di vita presenti nella foresta. Le riprese sono statiche, i tempi dilatati. L’esperienza visiva è ritmata, simile alla proiezione di una serie di diapositive alterna immobilità e azione. La presenza dei due schermi sottolinea il contrasto e l’interazione tra soggettività umane e non: quando lo schermo posizionato a sinistra inquadra un branco di cinghiali intenti ad attraversare il fianco di una collina, il display a destra mostra una squadra di operai durante gli scavi, in quel medesimo luogo. Ancora, mentre un dispositivo presenta la deforestazione di un’estesa area boschiva, simultaneamente il secondo ledwall inquadra una serie di specie animali che fuggono dirigendosi verso una differente zona della foresta.
Sin dai suoi esordi, Zhao ha concentrato la propria ricerca artistica sull’osservazione della natura, attraverso il tentativo di attuazione di quel movimento “antropodecentrante” che gli permette di comprendere le dinamiche che costituiscono quella contraddizione ontologica che sussiste tra natura e artificio. Rifiutare l’oggettivizzazione della natura non significa necessariamente allontanarsi da tecniche artificiali nel tentativo di ridurre il mondo naturale a una concezione primitiva. Per definizione, con stato di natura si intende lo stato della materia prima che non ha subito elaborazione alcuna da parte dell’uomo; diventa perciò evidente come sia netta la distinzione che separa essere umano e natura, nonostante esso ne abbia teorizzato il concetto stesso. La recente pandemia ha costituito un’occasione per intensificare la propria ricerca, applicando un metodo di archiviazione sia correlativo sia causale, volto alla raccolta e catalogazione dei materiali che costituiscono “Seeing Forest” a Venezia. Zhao vive una condizione ambivalente – in parte contradittoria – secondo cui è sia visitatore che intruso, un tentativo di rispettosa comprensione e allo stesso tempo un atteggiamento inevitabilmente colonizzatore. Per estensione, questo atteggiamento può essere considerato come una tacita dichiarazione del ruolo che ricopre l’essere umano nel tardo Antropocene, il quale può infatti essere individuato come principio, ad esempio, di alterazioni climatiche e diminuzione della biodiversità. Come già anticipato, il concetto di ibridazione svolge un ruolo fondamentale per la comprensione del più ampio progetto. Le foreste prese in esame sono per definizione siti di intersezione e di intreccio tra diverse specie vegetali, animali e non e tra diverse tipologie di reperti – naturali e artificiali – che testimoniano l’identità storica e contemporanea di Singapore.
Attraverso “Seeing Forest”, Zhao adotta strategie fotografiche e documentarie declinate secondo la creazione di nuovi immaginari ecologici e biopolitici. L’artista tenta di riformulare il concetto di urbanizzazione dal punto di vista ontologico, definendo la foresta secondaria come un ambiente contaminato dalla presenza dell’essere umano e allo stesso tempo un ambiente postumano. L’installazione presente nel padiglione – intitolata Trash Stratum (2024) – riunisce questi aspetti secondo un’impostazione formale che ricorda paradossalmente una Wunderkammer come metodo di raccolta e organizzazione. Si presenta come un anti-monumento, costituito dalla sovrapposizione di elementi storici e naturali. Dodici schermi mostrano registrazioni di differenti specie animali e sono disposti all’interno della struttura lignea la cui decostruzione suggerisce un approccio elastico alla conoscenza e alla sua conseguente categorizzazione, un atteggiamento che mette in crisi la tendenza coloniale e antropocentrica volta al controllo e alla conquista. La scultura è composta inoltre da numerosi oggetti di recupero come bottiglie vuote, album e mattoni raccolti dall’artista durante il suo processo di ricerca, grazie ai quali ha conferito alla struttura un’impostazione proteiforme che ricrea il concetto di foresta inteso come stratificazione e deposito di diversi periodi storici e diverse forme di vita, animali e non.
Le foreste secondarie di Singapore sorgono su quelli che Marc Augé con il saggio 1 del 1992 avrebbe definito come nonluoghi, ovvero quei siti che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici. Zone di transito, soggette allo sfruttamento incondizionato, dove nessuno risiede e che solo la natura ha saputo convertire nuovamente. Quelli presi in oggetto da Zhao sono ambienti biosemiotici, dove elementi naturali e culturali convivono attivamente, profilando una struttura tentacolare in cui l’esistenza di ogni singola soggettività è determinata da un sistema dinamico e complesso di relazioni e interdipendenze.