Appartengono tutti alla generazione Z, nati tra il 1995 e il 2001, e hanno dunque meno di trent’anni le artiste e gli artisti protagonisti de “La prima volta”, la mostra a cura di Marta Cereda che Casa Testori. Con la loro ricerca, che utilizza mezzi espressivi differenti – pittura, fotografia, video, scultura, performance – nel percorso espositivo entrano in dialogo non solo con le altre opere, ma anche e soprattutto con l’architettura, con la biblioteca e con le preesistenze domestiche della casa natale di Giovanni Testori, a Novate Milanese dove per tutta l’estate, dal 16 giugno al 26 ottobre 2024, occupano l’intero piano terra.
A 15 anni dall’esordio e dall’inizio delle attività, avvenuto con identico spirito nel 2009, Casa Testori, la grande abitazione di inizio Novecento alle porte di Milano, conferma in questo modo il suo ruolo come punto di riferimento per la creatività contemporanea e il suo desiderio di continuo rinnovamento, aprendo le porte a una nuova generazione creativa. «15 anni fa Casa Testori iniziava la sua avventura proponendosi come palcoscenico per nuovi talenti artistici. Con il ciclo di Giorni Felici dal 2010 al 2014 artisti in tanti casi al debutto e comunque molto giovani avevano avuto la possibilità di esporre a fianco di artisti consacrati», afferma Carlo Maria Pinardi, Presidente di Casa Testori. «In qualche modo è stata una “prima volta”. Oggi molti di loro hanno conosciuto un grande successo, come Andrea Mastrovito, Gianmaria Tosatti o Davide Rivalta, solo per fare alcuni nomi. È uno spirito che Casa Testori non ha mai smarrito e che viene riaffermato con convinzione con questa proposta espositiva di 19 artisti nati dopo il 1995, selezionati da Marta Cereda. Anche per loro, a diverso titolo, è una sorta di “prima volta”. Con questa mostra Casa Testori riafferma la sua identità di luogo di ricerca, di vitalità artistica nel panorama contemporaneo».
«“La prima volta” è un progetto che vuole smitizzare ogni idea di eccezionalità e di primato, in ogni ambito, che vuole riflettere sul valore dei tentativi e del fallimento – afferma la curatrice, Marta Cereda -. “La prima volta” è una mostra che parla di tempo, vissuto, ricordato, immaginato, proiettato, di ricerche in costruzione, della possibilità di sperimentare, di andare avanti, di tornare sui propri passi».
Ogni volta è “La prima volta”, dunque, non un debutto, ma un’esperienza, un’idea, un progetto che si mostra per la prima volta. Le artiste e gli artisti coinvolti – Martina Andreoni, Erica Bardi, Andrea Camiolo, Roberto De Pinto, Giuseppe Di Liberto, Benedetta Fioravanti, Agnese Galiotto, Pietro Guglielmin, Luca Lombardi, Enrico Loquercio, Sara Lorusso, Francesca Macis, Federica Mariani, Camilla Marrese, Alice Pilusi, Giulia Querin, Adelisa Selimbašić, Ilaria Simeoni, Jacopo Zambello – si incontreranno nelle stanze della casa, condivideranno gli spazi mettendo accanto le loro opere, guardandosi, confrontandosi per la prima volta in modo corale, tutti insieme.
Ad aprire la mostra è Sara Lorusso (Bologna, 1995) che presenta Diari, una serie fotografica iniziata nel 2018 che cattura l’intimità e la nostalgia dell’estate attraverso immagini di corpi e paesaggi. Nella prima stanza Roberto De Pinto (Terlizzi, BA, 1996) espone diverse opere tra cui Papaveri e l’inedito Un chant d’amour, in cui, utilizzando tecniche come encausto, pastelli e carboncino, esprime la sensualità del Mediterraneo attraverso rappresentazioni vegetali e umane. Con lui Erica Bardi (Napoli, 1998), la cui fotografia in bianco e nero richiede un’osservazione ravvicinata per comprendere il rapporto tra elementi organici e inorganici. Agnese Galiotto (Chiampo, VI, 1996) nel salone della casa presenta Scheletro, un’installazione ambientale che riflette sull’impermanenza attraverso un collage di cartoni preparatori di affreschi destinati alla distruzione, insieme ad alcuni disegni. Francesca Macis (Oristano, 1996) con la sua serie Fairytales trasforma i parchi giochi notturni in scenari luminosi e surreali, esplorando la transizione dall’infanzia all’età adulta. La veranda ospita Federica Mariani (Milano, 2000) che con il video Empress Margareth’s Speech e con le sculture Worm e Bat denuncia la condizione femminile, utilizzando come alter ego Margareth Cavendish, eclettica intellettuale secentesca. Con la serie Cakes, ospitata nella cucina della dimora novatese, Alice Pilusi (Pescara, 1997) critica la superficialità dei valori moderni attraverso torte esteticamente attraenti ma strutturalmente vuote, rappresentando la feticizzazione della bellezza e del successo. Le sue opere dialogano con quelle di Adelisa Selimbašić (Karlsruhe, 1996) che affrontano l’inadeguatezza derivante dalla pressione di conformarsi a standard estetici, con figure che occupano prepotentemente la tela per sfidare l’idea di un canone unico. Nell’atrio Pietro Guglielmin colloca la sua opera Mermaidia, in cui dipinge foglie e recinzioni per evocare l’immaginazione, e invitare a riflettere su cosa si cela oltre il visibile. Ed è qui, in una sezione della biblioteca di Testori, che Ilaria Simeoni (Montebelluna, TV, 1995) ha trovato lo spazio per il suo giardino portatile, tavole praticamente tascabili che riflettono sull’interazione tra natura incontaminata e giardini curati. Il percorso prosegue nelle stanze dove le sculture di Giulia Querin (Venezia, 1997) fanno capolino muovendosi senza vincoli: a terra, sulle pareti, su altri oggetti. In questo stesso spazio le tele di Luca Lombardi (Brescia, 1996) rappresentano l’ossessione per l’identità digitale attraverso gesti ingigantiti di swipe, criticando la superficialità delle notizie sensazionalistiche. Al digitale e all’intelligenza artificiale si ispira anche Andrea Camiolo (Leonforte, EN, 1998) con The Manhattan Project, in cui presenta immagini fotorealistiche di esplosioni nucleari generate dall’AI, interrogandosi sull’autenticità e l’autorialità. Proseguendo, il video Give me a moment, I leave the light on di Benedetta Fioravanti (Ascoli Piceno, 1995) mescola memorie personali e found footage. Le opere di Jacopo Zambello (Rovigo, 1999) sono ispirate all’Epopea di Gilgamesh e creano un’atmosfera di spaesamento, così come i dipinti di Enrico Loquercio (Napoli, 1996) che presentano figure indistinte su sfondi teatrali. Camilla Marrese (Bologna, 1998) con Thinking Like an Island esplora l’identità di un’isola mediterranea, ammettendo l’impossibilità di rappresentarla completamente. Combinano tradizioni artistiche storiche con elementi contemporanei le opere in cera e argilla di Giuseppe Di Liberto (Palermo, 1996) che con Chiurenne l’oucchie pare e te verè esplora le forme del lutto e del suo rito. Chiude il percorso della collettiva Martina Andreoni (Segrate, MI, 2001) che in Sensation is Painless affronta la morte e la finzione della vita attraverso still life fotografici, esprimendo empatia e consapevolezza del dolore.