Ad un anno dall’apertura della nuova sede in Via Lazzaro Papi 2, nel cortile dello stesso edificio che ha ospitato per più di vent’anni la galleria, Artopia è lieta di inaugurare la stagione espositiva 2024-2025 con la mostra collettiva dal titolo “Farewell to the Stage. Tools for reassembly”, con la partecipazione di Ornella Cardillo, Giuseppe Lo Cascio, Ludovico Orombelli, Alice Peach e Matteo Pizzolante, a cura di Arnold Braho.
Il progetto espositivo intende indagare le strutture di messa in scena, ossia dispositivi a supporto del concetto di “mostrare”: dal palcoscenico all’archivio, dall’immagine pittorica all’idea di modulo, fino ad arrivare alla mostra stessa, ideata con l’obiettivo di attivare lo spazio della galleria come soggetto, enfatizzando i punti prospettici delle sue caratteristiche architettoniche. “Farewell to the Stage. Tools for reassembly” suggerisce l’idea di un addio al palcoscenico, di una riduzione dello “stage” come struttura portante: una macchina del mondo e della Storia vista attraverso una lente capace di mettere in luce ogni suo singolo ingranaggio.
Ad aprire la mostra nei suoi due ingressi sono da un lato lo spolvero a parete di Ludovico Orombelli, palcoscenico svuotato dai suoi soggetti e inteso come riapparizione fantasmatica di immagini pittoriche, e dall’altro gli archivi monumentali di Giuseppe Lo Cascio, composti in modo da contenere loro stessi, tramite cartelline svuotate da ogni informazione. Allo stesso tempo la pratica modulare di Alice Peach esaspera determinati formati, fino alla ricomposizione di nuovi linguaggi di esposizione dell’immagine, ricordando allo stesso tempo il modulo alla base della composizione degli spazi della galleria. Nella sala retrostante, il lucernario illumina ad occhio di bue il teatro delle marionette di Ornella Cardillo, costruito attraverso soggetti architettonici sempre aperti al movimento, come teatri del tempo mai fisso, mentre nello spazio sovrastante l’idea di una miniaturizzazione dell’architettura per Matteo Pizzolante determina il passaggio di scala come metodologia per la messa a fuoco della memoria.
Quando si supera la soglia di “Farewell to the Stage. Tools for reassembly” attraverso le due grandi vetrate della galleria, ci si trova di fronte a strumenti smontati e rimontati, spogliati da qualsiasi funzione originaria attraverso pratiche artistiche capaci di decostruire qualsiasi narrativa. Questi apparati hanno la caratteristica di avere a che fare con i regimi di visibilità, e pertanto di non essere mai neutrali. Le opere degli artisti in mostra si rivelano allora nella loro capacità di ripensare le proprietà manifeste nelle strutture prese in esame, riproponendo così le loro potenzialità inespresse. Gli apparati della messa in scena hanno infatti la capacità di liberare un potenziale e di presentarsi come il luogo dove le contraddizioni si rivelano: permettono di ascoltare il non detto e il desiderato, ma anche di visualizzare il non ancora manifesto, il nascosto, il dimenticato, oppure di percepire l’invisibile, il non voluto, il dormiente. Queste strutture, non sono la forma delle cose, ma i principi che stanno alla base di come le cose ci appaiono 1, e quindi di come un sistema di relazioni opera in funzione della comprensione, più o meno approfondita, di un dato elemento. La convinzione è che queste manifestazioni abbiano una loro simbologia intinseca, espressa attraverso una serie di rimandi, contaminazioni, scambi e proiezioni, fittizie o reali.