La galleria 10 A.M. ART di Milano, nella sua sede di corso San Gottardo 5, organizza la mostra “Giovanni Pizzo. Works from the 60s to 2022”, progetto articolato in una serie di eventi che approfondiscono la figura dell’artista.
“La mia ricerca, se avrò il tempo e le forze, è quella di moltiplicare il coefficiente combinatorio delle immagini, creando una dinamica sempre più ricca di rimandi luminosi e cromatici tra un gruppo di immagini e l’altro. Voglio moltiplicare questa dinamica, sempre di più. Un po’ come ha fatto Pollock in un altro campo, quello prettamente segnico, con il dripping. Pollock ha moltiplicato gli spezzettamenti dei segni in maniera informale. Io vorrei farlo in modo ordinato. Mi piacerebbe trasformare la bellezza in un canone operativo, dove non c’è intervento umano, ma solo una miriade di elementi che proliferano seguendo una logica matematica, naturalmente umanizzata attraverso la loro trasposizione su tela o pannello“.
Giovanni Pizzo
Conversazione con Fabio Cherstich, agosto, 2022
Dopo la mostra monografica dedicata a Lucia Di Luciano, presentiamo una mostra “gemella” in omaggio a Giovanni Pizzo, compagno di vita e di arte di Lucia per quasi settant’anni. Come la moglie, anche Pizzo è oggi al centro di una riscoperta che ha portato il lavoro di entrambi all’attenzione della critica e del collezionismo internazionale. La mostra offre una breve panoramica dei suoi capolavori storici e, per la prima volta, presenta al pubblico una serie di opere recenti, tutte realizzate nel suo studio di Formello, nella campagna romana. Tra i protagonisti dell’Arte Programmata, Giovanni Pizzo ha sperimentato le potenzialità gestaltiche dei moduli, delle geometrie e del linguaggio matematico. La sua carriera di pittore iniziò negli anni ‘60, influenzata dalle letture di Bertrand Russell e Albert Henry Munsell. Pizzo sviluppò una ricerca artistica personale, basata sull’uso e la combinazione di moduli geometrici, linee, quadrati e rettangoli, inizialmente attraverso una tavolozza minimale di bianchi e neri, per poi includere colori saturi come il blu e il rosso. Il titolo “Sign-Gestalt” riflette l’importanza del processo operativo che conduce alla forma, considerato primario rispetto alla forma stessa. Per questa occasione, ho deciso di condividere con il pubblico un estratto dell’ultima conversazione che ho avuto con l’artista nell’agosto del 2022, pochi mesi prima della sua scomparsa.
Fabio Cherstich
Milano, agosto, 2024
FC: Vorrei iniziare questa conversazione parlando del momento cruciale della tua carriera artistica: la mostra di Mondrian curata da Palma Bucarelli nel 1956 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Come ha influenzato la tua pratica artistica?
GP: Prima di Mondrian, la mia pittura era figurativa-accademica, poi si è evoluta verso una matrice informale, in parte segnica, in parte materica, con un esplicito riferimento alle pitture rupestri dell’antichità: una sorta di pittura delle origini in chiave novecentesca. Quando vidi le opere di Mondrian, rimasi sbalordito. Lui, un grande pittore classico, aveva abbandonato le vedute naturalistiche e la figurazione per dedicarsi alla pura geometria, a quella che sarebbe diventata l’ABC della mia pratica.
FC: Quindi un pittore deve saper lasciare le sue sicurezze per evolvere?
GP: Esatto. Ero affascinato dall’evoluzione della ricerca di Mondrian, soprattutto dal modo in cui riduceva un albero all’essenziale: tronchi e rami sempre più semplificati. Era la ricerca di un’essenza, dell’astrazione. Questa mostra scatenò feroci discussioni tra amici, ma alla fine decisi di abbandonare il figurativo e adottare un approccio più lineare, ispirandomi proprio a Mondrian. Lo feci con mia moglie, Lucia Di Luciano, anche lei pittrice. Una straordinaria pittrice. Eravamo giovani, erano gli anni ’60 e insieme abbiamo fondato il Gruppo 63 Pittura.
FC: Come si è trasformato il tuo lavoro dopo la mostra di Mondrian?
GP: Ho iniziato a semplificare le forme, eliminando il superfluo dalle mie figure. Nel tempo, ho sviluppato un segno tipico, astratto, senza legami con il mondo reale. Seguendo Mondrian, il mio lavoro è diventato una combinazione di elementi geometrici, con l’obiettivo di esprimere concetti puramente mentali.
FC: Hai detto che negli anni ’60 il tuo lavoro si legava al calcolo matematico. Qual è il processo dietro le tue opere?
GP: Il processo è mentale. Mi ispiravo alla logica-matematica di Whitehead e Russell, usando combinazioni e progressioni per creare strutture complesse. Ogni elemento segnico e cromatico aveva una funzione precisa, organizzata attraverso un calcolo rigoroso. L’obiettivo era creare una dinamicità nelle figure geometriche dell’opera, un ritmo.
FC: Anche se il tuo lavoro è astratto, c’è un collegamento con la realtà. Mi hai detto che gli uomini sono diventati numeri grazie al computer, che siamo tutti numeri soggetti a calcoli, e che la tua arte anticipa questa idea applicandola alla superficie del quadro… Questo rende il tuo lavoro una metafora della società?
GP: Potrebbe sembrare una metafora, ma l’obiettivo resta puramente estetico. Il mio non è un lavoro politico o sociale. È astratto-geometrico. Non conosce ambiguità.
FC: Come spiegheresti il tuo lavoro a un bambino?
GP: Lo semplificherei così: prendi tre numeri, ognuno corrisponde a una forma geometrica. Cambiando la loro posizione, si creano combinazioni sempre nuove e sorprendenti. È un gioco semplice, ma efficace.
FC: Cos’è per te l’arte?
GP: L’arte per me è innanzitutto bellezza, questo è indiscutibile. Questa bellezza è legata alla variazione cromatica degli elementi che costituiscono il quadro. Gli elementi cromatici, cambiando posizione, offrono visioni diverse e dinamiche di uno stesso “pixel” – chiamiamolo così – che a seconda delle sequenze cambia colore. Questo arricchimento cromatico dona gioia, conferisce una dinamicità ottica che stimola la percezione dell’osservatore, facendogli vedere che la bellezza, la continuità e la variazione avvengono nell’ambito di questa combinatoria mentale. Questo è per me ciò che significa fare un quadro. Senza questa componente di arricchimento per chi guarda, il quadro non ha nessun valore.